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Golem irretisce, stupisce, ma tosto sparisce

Golem irretisce, stupisce, ma tosto sparisce

Ci sono avventure che durano un battito di ciglia. Arrivano, magari ti stupiscono, magari no, ma hanno il buon gusto di sparire in fretta. Golem si piazza esattamente a metà fra le due cose. L'indie di Longbow Games porta con sé l'effetto stupore ma finisce sul più bello, dopo dieci livelli che mettono fine alle peripezie della protagonista prima che si sia davvero entrati in sintonia con lei e con il gioco.

Siamo in un mondo desertico, forse un futuro così remoto da essersi trasformato in passato. La narrazione è striminzita, il gioco è fatto di silenzi e musiche quiete. Sappiamo solo che anticamente i Golem erano il fulcro della civiltà, oggi sono estinti e non si usano più. Pare ne sia rimasto uno, che va riattivato, per tornare a servire il popolo della protagonista. Senza ulteriori spiegazioni, ci ritroviamo in questa enorme costruzione, una torre che può ricordare per certi versi le folli costruzioni di Fumito Ueda, come il suo castello di ICO, fatto di saliscendi, carrelli, leve, ponti e catene. DI livello in livello, il golem verrà effettivamente costruito e dovremo avanzare di pari passo con lui, senza il quale non potremo accedere alle nuove stanze. Inizialmente è solo una sfera da portare in giro ma ottiene poi arti con cui muoversi, via via sempre più simili a quelli umani.

La sfera luminosa, che è il cuore attorno a cui si assembla mano a mano il golem.

Ognuna delle dieci stanze è un grosso puzzle game e il compito finale è di ritrovare golem e ragazza nello stesso punto, generalmente a fine stanza, per proseguire verso la prossima. Visivamente il gioco è bellissimo, con la sua grafica colorata e fiabesca e pochi poligoni messi al punto giusto, una semplicità accentuata dalla visuale laterale, che trasforma il gioco in un platform 2D e mezzo. Se inizialmente dobbiamo solo far rotolare la sfera e capire come farla arrivare a noi, magari spostando piattaforme o caricandola su montacarichi, poi la situazione finisce col complicarsi. Quando il golem ottiene una sorta di vita, inizia a muoversi seguendo i nostri movimenti, spostandosi contemporaneamente alla nostra protagonista. Ovviamente, se incontra un ostacolo si ferma, quindi tocca a noi muoverci come burattinai con fili invisibili e cercare di simulare un percorso che il nostro amico di roccia compie poi davvero.

Ci sono elementi magici che si attivano solo con la presenza del golem e altri, come leve, che sono attivabili dalla protagonista. Quindi, viene da sé che la chiave è spesso l'alternare le due cose per far sì che le stanze si aprano davanti a noi, a volte dividendo i due personaggi. Man mano che i livelli proseguono, si aprono anche in più direzioni, soprattutto quando ci si ritrova sulle mura esterne della torre, con passaggi che ci portano da un lato piuttosto che un altro. Il golem spesso resta indietro, gli si prepara la strada (segue la protagonista in automatico ma si può anche dargli l'ordine di restare fermo in un posto).

Le stanze di Golem non sono enigmi incredbilmente complessi, tranne nelle battute finali, ma è il gioco stesso a complicarsi (anzi complicarci!) la vita. Le inquadrature sono spesso fuorvianti e ci è impossibile avere un'idea chiara degli stage. Questo finisce col portarci a fare supposizioni molto limitate delle prossime mosse, costringendoci spesso a un vero e proprio trial and error. Tentare continuamente le fortuna, a volte, toglie la soddisfazione di avercela fatta. A peggiorare la situazione sono i lenti movimenti del protagonista e delle strutture, per fortuna velocizzabili tenendo premuto un tasto. Il problema è che così il gioco prende un tono da fast forward quasi comico e si spezza un po' l'atmosfera, che ribadiamolo, è ispiratissima.

Il bilanciamento fra silenzi e musiche è semplicemente perfetto, per minuti interi si è sopraffatti dal vento che si agita nei meandri della torre, poi lo sferragliare del ponte che abbiamo attivato per permettere alla creatura di raggiungerci. Improvvisamente, la musica, le note che esplodono, a segnalare un passaggio aperto, o un portale che ci trasporta nella prossima area, oppure ancora nuovi pezzi di roccia che si attaccano al golem, mutandone di nuovo il corpo.

In qualche ora si arriva alla fine del percorso, ma sembra quasi di aver appena iniziato, quasi si avesse giocato a un lungo tutorial. Una specie di enorme coito interrotto, di cui si vorrebbe al più presto la prosecuzione, insomma. Che però manca. L'impressione è quella della prova generale, per vedere se lo spettacolo grossomodo può reggere, cosa che con i giusti accorgimenti può pure essere. Ma sarebbe stato meglio assistere al debutto vero e proprio. Se davvero ve la sentite di pagare per quache ora di prove generali, magari perché la scenografia vi piace da matti, buttatevi.

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Ho giocato a Golem grazie a un codice Steam fornitomi direttamente dallo sviluppatore. Ho completato le dieci stanze in circa tre ore, ma la durata dipende dall'abilità nel completare qualche enigma più ostico, mista a una dose di fortuna.

Racconti dall'ospizio #141: Favola di Venezia

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Old! #261 – Giugno 1998

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