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Abzû è una fantastica metafora in forma di videogioco

Abzû è una fantastica metafora in forma di videogioco

È difficile descrivere cosa sia Abzû senza entrare nel cuore della sua narrazione e del suo messaggio, che sono tra gli aspetti principali che rendono il titolo dei Giant Squid così memorabile. Eppure è imprescindibile analizzare l’opera di Matt Nava e soci senza nemmeno accennare a ciò che il suo gioco vuole comunicare. Abzû è la storia della vita (e della natura) che ritorna e rifiorisce lì dove c’è la morte (e l’aridità dello sviluppo tecnologico incontrollato). Questa invece non è una recensione, o per lo meno non nel senso che molti intendono di “disamina delle specifiche componenti” del gioco.

E questo non perché Abzû “non è un videogioco”, come parte dell’utenza non fa che ripetere dai tempi di Journey per progetti simili. In Abzû l’interazione è, per quanto semplice, fondamentale e fondante non solo per l’esperienza da “art game”, ma anche per il proseguimento del giocatore dall’inizio ai titoli di coda. Tramite un sonar, l’innominato sommozzatore può e deve interagire con alcuni elementi dei fondali per sbloccare porte e nuove zone da esplorare; in più, può farsi “dare un passaggio” da alcuni esemplari delle molte specie marine per “utilizzare” la loro agilità nell’esplorazione delle profondità. Ma soprattutto, il subacqueo può (e talvolta deve) incedere nell’esplorazione, alternando bracciate e sgambate per darsi la propulsione, rallentando, godendosi il viaggio e lo scenario spesso impreziosito da splendidi colori e pesci (e mammiferi marini) di ogni specie e forma.

Ed è proprio nell’esplorazione, nei minuti in cui mi sono concesso deviazioni e pause da un percorso ben più lineare di quanto era lecito aspettarsi, che ho amato Abzû. Non solo per lo spettacolo audiovisivo sicuramente affascinante, ma per il senso di illusoria libertà e genuina curiosità che il vagabondare, quasi svolazzante, dell’avatar del gioco restituisce. Non mi piace lanciarmi in paragoni improbi, ma l’esplorazione e il perdermi nei fondali marini di Abzû mi hanno ricordato quella sensazione, bellissima, che provai da bambino la prima volta che misi mano a Super Mario 64 nel negozietto di giocattoli del mio paesino. 

Quello stupore della prima prova, almeno per il sottoscritto, della vera terza dimensione che lasciava man mano passo alla voglia di esplorare ogni centimetro del giardino della principessa Peach saltando, volteggiando, indugiando in ogni angolo e scalando ogni singolo albero per poi gettarmi di corsa nel fiumiciattolo. Io ogni pomeriggio tornavo in quel negozio e mi piazzavo una buona mezz’ora a zompettare con il baffuto e tridimensionale idraulico in quel verdissimo spiazzo, e poco importava se il negoziante mi diceva di saltare in quel quadro con le Bob-ombe. Ecco, girovagare negli azzurrissimi, ma talvolta scurissimi o verdognoli, mari di Abzû è quella stessa cosa: la voglia di scoprire cosa c’è oltre l’evidente strada da seguire, senza per questo che ci siano subquest o particolari tesori nascosti ad invogliarti come in quelli che molti definiscono “i veri giochi”.

Uno dei tanti mosaici che provano a supportare la narrazione.

Uno dei tanti mosaici che provano a supportare la narrazione.

In ciò Abzû è preziosissimo, ancor più del suo “cugino” Journey, da cui, però, il primo vanta anche delle sostanziali differenze. Perché lì dove il gioco di thatgamecompany è un viaggio solitario, dove l’arrivare improvviso - se si gioca online - di un altro viaggiatore appare come un piacevole diversivo, quasi un ritorno al contatto con l’umanità in un viaggio altrimenti tutto votato all’introspezione, in Abzû gli “altri viventi” sono quasi sempre presenti. Le zone in cui l’assenza di pesci e piante è totale sono pochissime e sempre ben motivate dalla narrazione, in particolar modo se si pensa allo splendido crescendo finale. Abzû punta così tanto sul proporre ambienti e specie marini che offre statue su cui “meditare”, grazie alle quali prendersi qualche minuto di pausa per osservare placidamente, con occhio quasi documentaristico, lo spettacolo della vita subacquea plasmata dalla visione estetica dei Giant Squid. 

A voler proprio essere pignoli, potrei dire che la narrazione di Abzû, che si esaurisce solo in parte nella già citata metafora ambientalista, trova la sua completa illuminazione solo in una delle ultime righe dei titoli di coda. Il momento dell’epifania è stato per me tanto esaltante quanto rivelatorio, ma credo si potesse osare un po’ di più nel corso del paio d’ore scarso che porta alla suddetta sequenza di nomi. 

A volte resti semplicemente incantato.

A volte resti semplicemente incantato.

Un personalissimo, quanto opinabile, pelo nell’uovo che però si perde come una goccia nello splendido mare di Abzû. Un gioco che consiglio senza remore, nonostante alcuni di voi alla lettura possano non voler spendere venti euro per un paio d’ore scarse di gioco che, altri di voi, probabilmente considererebbero di “non gioco”. Sbagliando, però. 

Ho esplorato le profondità marine di Abzû, grazie a un codice di gioco per Steam offertomi dagli sviluppatori, per circa due ore, ma credo proprio che mi farò qualche altro tuffo tra un po’. Voi potete giocarci anche su PlayStation 4 ,se volete, sempre a 19.99€.

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Buon Ferragosto!

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