Racconti dall'ospizio #84 - Castlevania: Symphony of the Night tra salassi di pixel, chiodi vampirici e indiani dai denti spuntati
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Castello Demoniaco Dracula X: Notturno del Chiar di Luna o la sua titolazione occidentalizzante e ben meno poetica e fascinosa, ovvero Castlevania Dracula X: Sinfonia della Notte appartiene ad una assoluta elite di titoli di riferimento. Veri e propri [A]rtefatti videoludici, frutto di una partigianeria del videogioco ormai desueta e assai poco remunerativa. Titoli come Symphony of the Night andrebbero ben illuminanti nel nostre vetrine. Il Notturno è fuor di dubbio, uno dei migliori Castlevania di tutti i tempi, ancora oggi insuperato per quanto concerne profondità del sistema di gioco, musiche, vastità dell'avventura proposta, carisma del protagonista, raffinatezze della trama, design di livelli e mostri, assolutamente geniale, autentico artigianato. Completano il quadro bossfight di qualità immensa, tonnellate di armi ed armature e persino poteri speciali e mosse segrete. La grafica era il top del 2D, combinato col meticoloso intreccio dimensionale del 3D. Oltre a ciò, Symphony of the Night non pare invecchiare. Mai. Non soffre di cedimenti strutturali. Richiama esattamente la sua controparte con i canini appuntiti, il cui emblema è vita e giovinezza eterna.
Contrariamente a quel che si crede, ho ricordi estremamente particolari riguardo a Notturno del Chiar di Luna... ricordo distintamente quella giornata. E le successive. Credo fosse il 1997. Dico "credo" perché avevo vent'anni, eh, ora ne ho quaranta. Fate voi i conti. Ero immerso nella completa e rincuorante apatia domenicale, che di solito trascorrevo rintanato in casa, guardando demo di CD allegati a riviste che puntualmente non leggevo quasi mai. Mentre il clima stava rapidamente degenerando a ritmi ben più rigidi, stavo per essere, quel pomeriggio, al centro di qualcosa di estremamente epico, che mi avrebbe coinvolto e sconvolto.
Ad un certo punto, nel bel mezzo dell'introduzione di qualche scalcinata demo con qualche shimmy elettro pop europeo, una telefonata mi irrompe in casa e la sua insistenza mi trapana il cervello. Il trillo del diavolo e del telefono, quello grigio tabacco e rigorosamente a rotella, gentilmente fornito dalla SIP (Società Italiana Paraculi - cit.), mi riporta alla brusca realtà.
"Uff...devo fare la scale"
"Ma chi sarà?"
"Ma che vogliono?"
"Ma...non smette?"
Mi alzo pigramente dal mio divano color mattone e mi dirigo verso le scale del primo piano. Dovete sapere, cari nonni, che il mio nido videoludico, all'epoca, era una tavernetta, posta in prossimità di quella che si definirebbe cantina. Comunque.
Al telefono, mi accoglie una voce familiare, Claudio.
“Ciao, Ale, che fate, oggi?
“Niente di che… ”
“Volete venire da me?”
“Certo, ma... ci sono solo io”
“Ah”
Claudio era un caro amico di mio fratello, non mio, anzi, spesso, per quel che ricordo, si litigava, quando si passava del tempo assieme. Non so perché, ma accadeva spesso. L’ invito era stato rivolto ai fratelli "Aku", ma quando lo raggiunse la specifica che il mio consanguineo era, di fatto, assente, non poté ritirare l’invito. Quel suo "Ah" fu quantomeno rivelatore. E lo fu almeno tanto quanto io realizzai che non avevo minimamente voglia di andare a casa sua, specialmente da solo. Distava pochi isolati da casa mia. Ma non era il percorso, il problema. L'ultimo dei problemi era quello. Avevo cose decisamente più importanti da fare, tipo finire di guardare le demo di euro beat-shit o guardare le ambigue immagini nella gallery di certe pubblicazioni della Play Press.
Insomma, cercate di capire, a volte ti trovi in quelle situazioni che potremmo definire spiacevoli. Hai già dimostrato che la tua presenza fisica è certa e quindi non puoi rifugiarti in qualche pretestuosa e raffazzonata condizione di vacuità fisica non meglio specificata. Insomma, non puoi dire che non ci sei, se hai appena detto che c’eri. Che razza di figura ci fai? Oltretutto, pure lui ha già esteso l'invito, non può ritirarlo e farmi capire, così smaccatamente, che ha esteso l'invito ANCHE a me, solo perché sicuro della presenza ANCHE di mio fratello. Oltre a questo, avevo un cruccio. Accettare l’invito di uno che, alla fin fine, non ti è poi così simpatico, potrebbe essere più drammatico di quanto uno possa pensare: passare rapidamente da lunghi ed interminabili silenzi di coppia, davanti ad uno schermo che sfarfalla, ad una noia imperante spalmata su tutto il sacro ed inviolabile pomeriggio domenicale, che volevo dedicare, finito quelle demo schifose a Fighters Megamix, quell'adorabile guazzabuglio di Yu Suzuki a base di rullacartoni che riuniva Fighting Vipers, Virtua Fighter e Pepsi Man. Forse, però, la memoria mi gioca qualche brutto scherzo. Mi pare fosse Fighters Megamix, eh.
Avevo anche una scassata PlayStation. Ci giocavo molto spesso. Era pure modificata. Di cose, insomma, ne avevo da fare. Ma gli eventi, tutto sommato, non andarono così male, quel pomeriggio, se devo essere del tutto sincero. Perché Claudio, quell’indimenticabile mezzodì di novembre, mentre iniziavano a soffiare venti piuttosto freddini, mi introdusse a sua maestà Castlevania: Simphony of the Night, o Gekka no, come lo chiamano gli amici più intimi.
A ben pensarci, quel pomeriggio si palesò in maniera assai differente, visto che mi spinse a mettere sotto stress la mia PlayStation. All’epoca, prima di costruire una collezione di castlevanioso e degno rispetto, si giocava sulla play ai giochi pirata. Non fate quelle facce contrite e di disappunto, suvvia, sono assolutamente certo che avete già letto, e proprio in questo specifico reparto geriatrico, che cura le turbe e le afflizioni della memoria del videogiocatore, questa novella. La PlayStation non si è affermata solo per la qualità dei giochi, eh. Specialmente perché la gente copiava e passava a manetta, bastavano un buon masterizzatore e un paio di fili e chip. Non mi rivolgo ai collezionisti di vent'anni che adesso ti parlano di Tombi, ti fanno le stime e scuotono la testa. Cinquantamila lire per un gioco erano soldi. Mi rivolgo quindi ai sonari che si sono visti presentare la PlayStation in negozio, e al sottoscritto è capitato, dovete credermi, un indimenticabile pomeriggio. Il negozio che si ferma, il corriere che viene aggredito, il gestore che lo accoglie urlando “È Lei?!?” - ”È Lei, raga! È LEI!!!”
lo stuolo di curiosi, tutti appassionati e chiaramente giocatori. Roba dell’altromondo, l’E3 lo si leggeva su Megaconsole o Consolemania. Oppure su The Games Machine. Ma l’impaginazione più seria e meno Apecar non ha mai trovato del tutto il mio appoggio incondizionato. Perdevo le diottrie, quando a bordo della mitica ritmo di mia madre cercavo di orientare la rivista a favore della luce ridicola dell’abitacolo della fiat color panna. Perché, un tempo, il lungo tragitto verso casa era aiutato solo dai lampioni che punteggiavano le strade.
Aku. Castlevania.
Eh?
Symphony!
Aggià.
Ma che dire, di Symphony of the Night? Cosa aggiungere a quanto di già detto dal 99,9 % dei videogiocatori, che puntualmente producono materiale su questo capolavoro? Onestamente, moltissimo in sede di analisi. Ho autenticamente studiato il gioco, tramite le sue guide ufficiali giapponesi. Ho creato dal nulla così tanto materiale, nel corso degli anni, che vi potrebbe sconvolgere pensare a quanto tempo, e a detta di qualcuno "talento", ho dedicato a questo capolavoro. Disamine di ogni tipo, file di approfondimento, riferimenti narrativi, uditivi, visivi. La diffusione della traduzione corretta dalla versione giapponese, l'adattamento e la traslitterazione corretti delle armi e degli oggetti... ho raccolto, condiviso, spiegato, letto, ogni aspetto di questo gioco, su Castlevania Dungeon ho letto avidamente ogni discussione "related", su CastleItalia o CastleVaniaMoon, forum ahimè ormai svuotati o pressoché morti, ho partecipato a decine di discussioni. E ben prima dell’epoca degli smartphone e dei +1.
Ma qui si parla di ricordi, giusto?
Beh, i ricordi sono ancora vividi, intensi e cristallini. La prima volta con Alucard non si scorda mai, del resto. Contrariamente a moltissimi che si riempiono la bocca con Symphony of the Night, all’epoca non avevo giocato al precedente episodio, ovvero Akumajō Dracula X Chi no Rinne, quello che viene chiamato Chi no Rondo e Rondo of Blood, uscito per PC Engine qualche anno prima, nel 1993.
In Giappone, landa bucolica del pixel immacolato, sono sicuro che il 100% dei fan dell'Akumajou Dorakyura nazionale - aveva giocato al precedente gioco, loro e Dan The HeroDen (e pure io! ndgiopep). Ovviamente. In Italia era un attimino più complicato investire una certa cifra, spesso onerosa, presso uno dei tanti rivenditori che impestavano letteralmente le riviste con i loro annunci tabbozzi, e decidere di comprarsi una console-pc giapponese. Lo stesso dicasi affidarsi ad un negoziante, che magari manco ti mandava a prendere i giochi, come avveniva poi con il Saturn, dannati. Insomma, c’erano il Saturn, il SNES, il Mega Drive, La PlayStation, il Neo Geo di cui occuparmi… non potevo materialmente e mentalmente comprare un'ennesima console e solo per un gioco. Considerando, poi, che il PC Engine era pieno di giochi full-jap. Certamente, ne valeva la pena. Ma lo scoprii molti anni dopo, che “Il castello demoniaco Dracula X: Il circolo (rondò) del sangue" valeva l’acquisto di un PC Engine.
Insomma, diciamolo chiaramente: Symphony of the Night ha un inizio a dir poco strabiliante, un battito di cuore e di ali di pipistrello, che non ha nulla a che invidiare con le migliori produzioni dell’epoca, in quanto a pathos ed energia narrativa, oserei definire cinematografica. Ti faceva piombare nel bel mezzo dell’ultima battaglia contro nientemeno che Dracula, nella sua final confrontation con Richter Belmont, aiutato dalla piccola Maria Larnett. Il gioco di Toru Hagihara e del sempiterno Koji Igarashi (e non il contrario) ti faceva rivivere gli ultimi momenti prima del confronto finale con nientemeno che il principe della notte.
Stavo giocando a qualcosa che nella timeline castlevaniosa, di cui non vi parlerò in questa sede, si incastrava cent'anni dopo Simon Belmont (Simòn Belmondo/Berumondo). Al solito, Dracula risorge e rapisce un manipolo di ragazze, tra cui Annett Lernett, fidanzata dell’ennesimo membro del clan Belmondo, e Maria Renard, una bambina di dodici anni, rapita dal suo villaggio natale, assieme a Terra e Iris (le altre ragazze). Successivamente, il provetto cacciatore di vampiri, verrà aiutato proprio da Maria a sconfiggere il Re dei vampiri, usando le quattro bestie-spiriti cinesi (gli stessi di Gekka no Kenshi/The Last Blade), un potere segreto in possesso della bambina.
Dopo una battaglia divenuta epica, innalzata ad autentico status-quo della serie, anche grazie all’uso di voci pre-compilate e compresse malissimo nella versione PAL e NTSC-USA, che diventeranno comunque, a discapito della qualità, genuini ed inossidabili meme, ricordi indelebili di ogni buon giocatore che si rispetti, il prode Richter mette fine all’ennesima macchinazione di Dracula. Egli è sconfitto, ancora una volta.
Ma tornerà.
Una fotografia che lentamente brucia, un fermo immagine monocromo, fisso nella memoria, impossibile da dimenticare, e una musica magniloquente annuncia al giocatore l’inizio del gioco vero e proprio. Ero elettrizzato. In pochi minuti mi ero completamente scordato della presunta poca sintonia con Claudio, ero ipnotizzato. Mi martellava solo una cosa in testa: dovevo recuperare questo gioco al più presto, ad ogni costo. Forse, con un po’ di fortuna, l’avrei trovato nella videoteca alla stazione. Sapevo che il negoziante - un senza Dio - piratava i giochi e modificava le console. Avrei potuto anche cercarlo originale… la tentazione, però, rende l’uomo pirata.
A rendere magica la saga di Castlevania sono sempre state l'ambientazione e la narrazione, attraverso la quale il giocatore si trova catapultato in reami dove regnano incontrastati fantasia e pixellaggio selvaggio, caratteristica unica e tutto sommato irraggiungibile del videogioco giapponese dei tempi andati. Se vogliamo tracciare una sorta di leiv-motiv per la imperitura saga di Konami, Castlevania è sempre stato il VIAGGIO santo e iniziatico dell'eroe di turno attraverso cupi scenari o distese assolate, che si chiami Simòn, Ralph C, o... Alucard.
Il protagonista, un impavido vampire-killer, superando terre maledette, rovine di antiche città, brulle distese di ossa, santuari e città infestate, si porterà sempre più vicino alla sua meta finale, sigillare ancora una volta il conte Dracula nella sua fetida bara e spedirlo nuovamente in letargo vampirico. Questa volta, però, l’arduo compito è assegnato ad un albino protagonista dai lunghi capelli biondo-argentei, che sembra uscito da un dipinto ovale vittoriano, rispetto al classico barbaro impellicciato con immancabile fascetta cinta alla fronte. Questo apparentemente efebico protagonista, flemmatico e di poche, misurate parole, sulle prime, mi rapì. Era uguale, o perlomeno assomigliava davvero molto a D, il misterioso cacciatore di taglie illustrato da Yoshitaka Amano, tratto a sua volta dai romanzi di Kikuchi.
Riccamente agghindato con decorazioni dai finimenti barocchi, grazie specialmente a un art design che lasciava senza fiato, mi ero già innamorato di Alucard. Adrian Fahrenheit Ţepeş è il figlio di Dracula. Un dhampir, figlio di madre umana e padre vampiro (Dracula!). Il protagonista indiscusso di Symphony of the Night è nientemeno che un mezzosangue, disprezzato dai fedeli servi del Conte ma sufficientemente ignorato dai medesimi, in quanto mai si è opposto alla volontà del padre... almeno finora. Metà anima di Alucard è vampira, ciò gli conferisce poteri sovrumani ed abilità uniche, ma metà del suo essere ha pulsioni fin troppo umane per assoggettarsi completamente al male. Lo scontro con il padre è dunque inevitabile e solo questione di secoli. Nel 1797, a causa della scomparsa dei clan Belmont, Alucard si risveglia dal suo sonno eterno per indagare sulla questione e decide di infiltrarsi dentro Castlevania. Anni dopo, scoprirò il perché di questa scomparsa... ma questa è un’altra storia. Alucard invece, dovrà vedersela nientemeno che con la dimora del padre, un castello empio e maledetto, colmo di nemici e trappole mortali.
Per il nuovo capitolo di Akumajou Dracula, Hagihara e Igarashi decidono di basarsi sull'epilogo di Chi No Rinne, presentato nientemeno che nel preludio del gioco. Hanno in mente di stravolgere in maniera coraggiosamente storica la classicità della serie di punta di Konami: la formula "whip and jump" sta per essere accantonata, sostituita da una nuova struttura di gioco che strizza l’occhio al mondo JRPG e stravolgerà per sempre l'identità della serie, ma regalerà al mondo intero dei videogiochi un'opera d'arte immortale. Una saga del videogioco moderno senza eguali, sulle sue ceneri verranno centinaia di cloni, centinaia di giochi ispirati, decine di giochi coreani per smartphone (TohuVania), decine di indie game. Ancora oggi, dozzine di devteam copiano più o meno spudoratamente Symphony of the Night. Tutto ciò a cui avete giocato, o giocherete, probabilmente, deve qualcosa ai giochi di Iga e Hagiwara, da Bloodborne a Ori and The Blind Forest, da Cave Story ad Axiom Verge. Odallus? Pick one.
Si decide di chiamare "Gekka" e "Chi no Rinne" Akumajou Dracula X per un duplice motivo: il primo è che "Dracula X" riprende in parte la storia e i personaggi che abbiamo incontrato nel precedente gioco e la seconda motivazione, è che la "X" è l'incognita. L'indefinita, nuova identità della serie, è il mistero, il luogo non raggiungibile, L'AkuMeto o, come definito da noi "Il metroidvania", costola della saga principale.
Hagihara e Iga riescono a mettere dentro al loro gioco un’anima gotica. Era il 20 marzo 1997. Ci giocai, se non ricordo male a novembre dello stesso anno. Fu un caso: in epoca PlayStation, non si giocava spesso al fatidico day one. Ricordo che comprai subito solo Resident Evil e Silent Hill. Ero un devoto di Konami, dopotutto.
Scelte assolutamente fortuite, o assolutamente indovinate, restituiscono ai giocatori un capolavoro indiscusso dell'allora neonata PlayStation, che a distanza di anni rimane sentimentalmente legato ad ogni giocatore della prima, indimenticabile, console di casa Sony e che ogni giocatore di Castlevania ammira profondamente e rispetta con assoluta devozione di causa.
Symphony of the Night non ha praticamente difetti. Non ha nessun tipo di problema, è un gioco lungo, longevo, musicato in maniera unica, ricco di segreti, divertente. Non è quasi possibile fare critica, su Symphony of the Night, si può solo levarsi la feluca e osservare quello che a distanza di anni tantissimi hanno provato a rifare. Nemmeno Igarashi, producer compianto della serie, riuscirà a tornare a quell’equilibrio unico di elementi di gioco, mano, e immagine cerebrale. Symphony of the Night è il Metal Gear Soild della saga di Castlevania. È difficile opporgli qualcosa o farlo rivaleggiare; le uscite successive della serie ne escono spesso con le gambe rotte, anche se Byakuya, "Il Concerto della Notte Bianca" alias Castlevania : Harmony of Dissonance, è bello come un dio greco e lisergico.
Il gioco è un autentico gioiello, ricco, appagante, straordinariamente longevo. Tutto è gestito a regola d'arte, ogni più piccolo dettaglio straborda di cura, la grafica è ricca e colorata, gli sprite sono pazzeschi, la giocabilità è eccellente, le meccaniche sembrano quanto di più fervido e vivo si possa trovare sul mercato. Alucard, il protagonista, il dhampir, si muove con agilità dentro il castello del padre, sottoponendosi alla redenzione della sua anima vampira. Una colonna sonora classica, che ha guizzi di musica fusion, rock, jazz, punteggia con straordinaria efficacia il suo pellegrinaggio che, tra armi da padroneggiare, segreti da svelare, magie da apprendere e reliquie da scoprire, sembra non avere mai termine, come una notte eterna... o l'ingiuriosa stirpe della notte stessa. Sospeso in un indefinito atto di romanticismo notturno che l'avvolge e diventa tutt'uno.
Symphony of the Night è un gioco profondamente intimo, assolutamente straordinario sotto ogni aspetto, dalla trama alla cura delle boss battle, dal semplice attraversamento di un'area alle esplorazioni multiple che il gioco propone. È così elegante e spropositatamente affascinante che conquisterà praticamente tutti, utenti e stampa da GameSpot a EGM e IGN, ricevendo premi ed onorificenze a pioggia (di sangue) Secondo praticamente tutte le testate giornalistiche del pianeta, finirà nei migliori cento giochi di sempre e alcuni suoi momenti verranno definiti "Best Moment of Videogame History" (vi invito a capire quali possano essere).
All’epoca, sul Mivar di Claudio, ero senza parole, stentavo a credere a quello che mi stava davanti e che si muoveva con una fluidità tale che mi lasciava, per l'appunto, senza parole. E poi la musica di sottofondo, che suggellava tutto quello che vedevo e si apriva trionfalmente a sprazzi, come se se in quel momento stessi sbirciando dietro a un drappo di una tenda teatrale. Sulle prime, pensai che la colonna sonora fosse di Mozart o Beethoven.
Non so quale forza mistica operò quel pomeriggio, ma ricordo distintamente che fu indimenticabile. Non vidi nemmeno il 10% del gioco, poiché Claudio si era puntualmente bloccato in uno dei numerosi punti del gioco che vedono la mappa riempirsi pian piano di zone, biforcazioni, percorsi e suggestioni, ma diventare anche un labirintico dedalo su cui mettere neuroni per venirne a capo, tra zone apparentemente inaccessibili, porte chiuse da mistiche auree e ogni tipo di ostacolo. Symphony of the Night non aiutava in nessun modo il giocatore. Era un gioco tosto, in possesso persino di un doppio finale: un blocco abnorme veniva oscurato se il giocatore non indossava, in uno specifico scontro, un oggetto speciale, la cui descrizione, rivelava, per certi versi, la sua utilità.
Ma tutto questo lo avrei scoperto dopo.
Il mondo frenetico delle console, però, stava procedendo a passi spediti: non c'è un felice epilogo per l'esordio di una fra le più alte vette mai toccate dalla serie. Con l'avvento di PlayStation (nel 1994), l'intero settore dei videogiochi sarebbe cambiato. L'efficace e solida grafica bidimensionale stava per essere messa in disparte, complice un nuovo e accattivante hardware, che riusciva a muovere con più disinvoltura poligoni e texture, e una maggiore tridimensionalità degli ambienti, con conseguente disinteresse per i metodi artigianali di creazione dei giochi classici (a mio parere senza rivali).
La grafica bidimensionale, l'amato parallasse e lo scrolling orizzontale stavano per essere allontanati dalle nuove formule di gioco dei maggiori publisher. Non sarebbe certo spariti del tutto, ma si sarebbero congedati per parecchio tempo. I gusti del pubblico, del resto, avevano decretato il successo di nuove IP destinate a fare storia e crescere nel tempo, come Resident Evil o il rinato Final Fantasy. PlayStation, inoltre, aveva lanciato giochi in tre dimensioni praticamente per ogni genere, basti ricordare nel mondo picchiaduro Tonshinden, Tekken o Tobal N.1, o Pandemonium e Medievil per i giochi di piattaforme.
Una nuova alba stava lentamente sorgendo e sembrava ormai certo che sarebbe stato il mondo delle tre dimensioni a dominare le future generazioni di videogiochi. Sul mercato non c'era più spazio per l'artefatto gotico di Hagiwara, Iga e Arukādo.
Mentre il sole giocava a nascondino tra le cupe nubi dell’imbrunire, mentre delle rigide raffiche di venticelli climaticamente poco generosi mi sferzavano le caviglie, dopo un interminabile pomeriggio di salasso videoludico, Claudio mi stava accompagnando al cancello. Nella mia testa, sottilmente velata da un impercettibile dolore, c’erano ancora le tracce di quella magnificenza visiva e sonora a cui avevo assistito. Conoscevo già Castlevania e non ero ancora quello che si può definire un fan, ma da quel giorno lo ero, avrei scoperto tutto su questa saga. Per anni avevo dimenticato l’estasi che mi avevano dato il primo Castlevania e, successivamente, Haunted Castle al bar. Era il momento di recuperare quello che mi mancava.
Poco prima di congedarmi, Claudio, con un rapido gesto, sfilò un CD da una tasca del suo chiodo.
“Ti ho fatto una copia… scusa... dovevo dartela prima, ma scommetto che saresti andato a casa subito.”
Rimasi letteralmente senza parole, tipo quando Death ruba i ferri del mestiere ad Adrian.
Si sa che chi indossa il nero è un figo della madonna.
Se volete approfondire ulteriormente, potete trovare a questo indirizzo il racconto del Post Mortem che Koji Igarashi ha dedicato al gioco durante la GDC 2014.