Persona 5 va oltre la sua nippofilia
Devo essere sincero: nonostante abbia passato in rassegna negli ultimi anni diversi JRPG, dai più inflazionati fino alle zozzerie peggiori, la saga di Persona è sempre mancata al mio curriculum videoludico. Vuoi perché Persona 4, il penultimo capitolo della saga, uscì in Europa fuori tempo massimo su PlayStation 2 (cioè nel 2009, anno in cui la mia adorata PS2 era bella che andata, in favore di quella che allora era la current-gen), vuoi perché sì, dai, sono relativamente giovane, quindi volendo è anche comprensibile. Comunque, col tempo e con l'andare della mia permanenza in quel magico mondo che è l’internet, ho compreso quale fosse l’importanza di Persona, prendendo sempre più coscienza di quanto fosse gravosa la mia lacuna videoludica. Proprio per questo aspettavo con una certa trepidazione il quinto capitolo, che finalmente si è palesato dopo quasi dieci anni di assenza. E io, nel mentre, non solo mi sono redento da tale peccato, ma ho anche goduto, goduto tantissimo di fronte a quello che è un vero must-have.
Con Persona 5 è stato amore a prima vista: appena avviato il gioco, si viene catapultati in una Tokyo coloratissima e brillantissima, caratterizzata da uno stile urban e quindi ricco di graffiti, piccoli vicoli e con l’immancabile metropolitana a fare da snodo all’intera avventura. Coerentemente a Tokyo si dipana anche la veste stilistica adottata dal menù, intuitivo e perfettamente in linea con la veste grafica del gioco: palette cromatica dominata dai toni del rosso, del nero e del bianco, font realizzato in stile collage e metropolitana sullo sfondo... una bomba. Perfetto collante, poi, è il cel-shading, che maschera bene la natura cross-generazionale del gioco e ben si adatta alle transizioni, animate in stile manga.
Tokyo, però, non è l’unica ambientazione di Persona 5: senza aggiungere altro, al fine di evitare spoiler di sorta, all’interno del gioco è infatti presente anche il Metaverso, cioè una dimensione che distorce personaggi e ambiente circostante, facendo dunque mutare radicalmente la stessa Tokyo. L’atmosfera si fa più cupa, i bordi degli oggetti diventano sfocati e immagini tremolanti a non finire si succedono una dopo l’altra. Un pacchetto stilistico che fa da cornice alle gesta eroiche dei Phantom Thieves, ovvero gli eroi mascherati protagonisti che vanno a comporre il nostro party, e che di giorno controlliamo, nella Tokyo normale, nei panni di normali sedicenni a scuola. Sedicenni che però di notte, a nostra discrezione, attraversano il Metaverso, per riparare ai torti subiti nel mondo reale.
Il protagonista principale di Persona 5 è il classico ragazzino slanciato delle scuole superiori, caratterizzato in questo caso da un excursus che lo ha costretto a cambiare casa e scuola in seguito a un fumoso episodio che gli macchia la fedina penale. Insomma, una base di partenza abbastanza classica, che lo obbliga a ripartire solo e con un futuro da costruire. Ed è proprio questo il punto di partenza per formare il nostro personaggio e renderlo un individuo autosufficiente, nonostante i pettegolezzi e i pregiudizi che lo accompagneranno durante la sua vita scolastica.
A dispetto di quella che potrebbe apparire come la tipica storia da shonen adolescenziale, Persona 5 riesce a narrare splendidamente non solo gag e sketch, presenti a profusione, ma anche tematiche profonde, tratteggiando una società, come quella nipponica, densa di preconcetti e con vincoli che incatenano il protagonista stesso a una vita contraddistinta da un livello di sopportazione appena sotto la soglia del “Mò quanto è vero iddio prendo e sfascio tutto”. Non stupisce dunque che i nemici da sconfiggere durante il nostro percorso siano le manifestazioni dei veri “io” nascosti delle svariate persone che incontriamo lungo il nostro cammino, e che il più delle volte sono incarnate da rappresentazioni dei vizi capitali. Per affrontare tutte queste manifestazioni, denominate appunto Persona, facciamo uso del nostro “io interiore”, cioè quella parte di noi liberata da ogni costrizione sociale. In ogni caso, l’intero plot riesce a tenere alta l’attenzione grazie anche a tutta una serie di colpi di scena dosatissimi, spiazzanti e che non fanno mai urlare al WTF ingiustificato.
A sorreggere la trama, poi, c’è un solidissimo lore inerente ai personaggi secondari, accessibile (al contrario di quanto avviene proprio in quei Souls che hanno portato alla ribalta il concetto di "lore") solo se si è disposti a spendere del tempo con loro, al fine di migliorare i vari rapporti. E badate bene, “spendere del tempo” in Persona 5 assume una valenza letterale: le statistiche del personaggio, infatti, sono divise tra le abilità in combattimento e le capacità sociali e dunque, per poter accrescere il nostro livello di socialità e riuscire ad approfondire il legame con alcuni personaggi, è necessario appunto spendere del tempo in diverse attività come studiare, andare al cinema, allenarci in palestra o fare lavoretti part-time per guadagnare soldi. Riuscire a organizzare il proprio tempo libero è fondamentale per avere dei buoni risultati nel gioco, visto che le scorribande nel Metaverso consumano completamente il tempo libero giornaliero, impedendoci così di seguire altre attività durante la giornata.
La gestione del tempo libero influenza poi anche le missioni della trama principale: ogni colpo dei Phantom Thieves ha una data di scadenza oltre la quale non si può procrastinare, ma anzi bisogna aver pianificato completamente il colpo senza sacrificare la vita sociale e le altre attività necessarie allo sviluppo del personaggio. Insomma, un gran casino di roba, ma tutto ben cadenzato. Le missioni principali del gioco, infatti, sono ben calibrate e necessitano di una buona strategia e di una solida pianificazione dell'esplorazione. Restare per troppo tempo infognati nel Metaverso consuma le nostre scorte di medicinali e di mana, portandoci a dover sceglier di ritirarci anche se il nostro obiettivo sembra a un passo da noi.
Per quanto riguarda i combattimenti, ho giocato sia a Normal che a Hard (sono disponibili anche altri due livelli di difficoltà inferiore), e ho appurato quanto gli scontri siano ben bilanciati, a dispetto delle difficoltà dovute agli aumenti delle statistiche dei nemici. Il combat system di Persona 5 è infatti il classico sistema a turni, tuttavia il suo gameplay riesce comunque a risultare più profondo e stratificato grazie alla possibilità di effettuare attacchi a sorpresa. Esempio pratico: se siamo noi a balzare fuori da un nascondiglio per colpire un gruppo di nemici, ogni componente della nostra squadra attaccherà prima di un turno del nemico; al contrario, se verremo colti di sorpresa, saremo accerchiati dai nemici e ognuno di loro attaccherà prima.
A parte questi dettagli, i combattimenti sono strategici, al limite del cervellotico, di quello snervante che però dà piacere. Colpire un nemico con l'elemento in cui è debole ci consentirà di effettuare un'altra azione con lo stesso personaggio, oppure utilizzare il “baton pass”, cioè effettuare uno switch a un altro elemento del party. Questo, insieme a tante altre componenti, rende Persona 5 un meraviglioso rompicapo in termini di gameplay. Era dai tempi di Dark Souls 3 che non mi incazzavo con così tanta felicità, un sentimento di soddisfazione impagabile.
Se c’è però un aspetto in cui Persona 5 pecca, e di molto, è sotto il punto di vista tecnico. Okay, capisco la natura cross-generazionale, il fatto che Atlus non sia nota per spingere al massimo gli hardware a cui fa riferimento, tutto quello che volete, ma qui l’ottimizzazione è veramente all’acqua di rose: texture in bassa definizione, animazioni facciali assenti, modelli con poca densità poligonale, reattività dei comandi da rivedere... questi i principali problemi che saltano fuori negli appena primi venti minuti di gioco, e che si protraggono fino alla fine.
Sul versante artistico, però, Persona 5 tocca le vette di eccellenza di cui sopra. Se ho già avuto modo di citare l’estetica, tutto quello che devo dire sulla colonna sonora è che è davvero bellissima: ispirata e coinvolgente, in particolare la traccia dedicata alle varie boss fight (il pezzo è Life Will Change, una bomba), capace di caricare di pathos anche la persona più insensibile di questo mondo. Ecco, forse abbiamo centrato il punto. I JRPG possono piacere o no, ma se avete il giusto tempo da dedicargli, e quel minimo di sensibilità, non ci sono dubbi: Persona 5 vi piacerà. Gli unici scogli potrebbero essere, a onor del vero, una certa verbosità nei dialoghi (è pur sempre una roba giapponese) e la natura dei JRPG in quanto tali, logicamente. A parte ciò, chiunque potenzialmente può amare alla follia un gioco come questo, fidatevi.
Ho giocato a Persona 5 grazie ad una copia PlayStation 4 gentilmente inviatami dal distributore italiano. Nonostante abbia completato l'avventura, mi rendo conto di aver appena scalfito la punta dell’iceberg. Quest’estate spero dunque di ricominciarlo da capo, spolpandomelo per benino. Ah, come al solito, se acquistate il gioco su Amazon passando dai nostri link, ci fate ricevere una piccola percentuale di quanto spendete, senza sovrapprezzi per voi. Potete farlo su Amazon Italia a questo indirizzo qui o su Amazon UK a quest'altro indirizzo qua. Ché tanto cambia poco, in quanto Persona 5 ha come lingue disponibili solo l’inglese ed il giapponese.