Racconti dall'ospizio #41: La stagione dell’amore
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Da videogiocatore, mi viene facile annotare legami tra le stagioni e i videogiochi. Legami non necessariamente oggettivi (anzi), che possono benissimo dipendere in parte o completamente da robe personali, dal momento in cui abbiamo giocato a questo o a quel titolo. Poi ci sono pure quei giochi (e quelle periferiche) che per loro natura sono evidentemente ascrivibili a un particolare periodo dell’anno: un simulatore di snowboard difficilmente uscirà in agosto, ma più plausibilmente in autunno o in inverno.
È anche vero, a prescindere dai videogame, che esiste una relazione tra le stagioni e qualsiasi cosa facciamo: una relazione semplice e complessa allo stesso tempo, che coinvolge ricordi, emozioni, sensazioni.
Metto le mani avanti: ho attaccato a scrivere questo pezzo un po’ a cazzo di cane, senza avere in testa un filo preciso (a parte la faccenda delle stagioni, non propriamente granitica), per lubrificare un ricovero ospedaliero a causa di una roba tranquillissima ma noiosa. Erano anni che non passavo la notte in ospedale, tra l’altro. Tipo dalla terza elementare. A quei tempi, per ingannare il tempo leggevo Topolino, giocavo con i Transformers e i trasferelli o chiacchieravo con la mia compagna di stanza, una ragazzina di otto anni con cui imbastimmo anche una specie di relazione. Ma non durò: lei era di confessione valdese, e non mi permetteva nemmeno di sfiorarle la mano (non che all’epoca sperassi, o addirittura immaginassi, che si potesse fare qualcosa di più ardito); quando ruppi per errore il Veritech giocattolo del suo fratellino, rompemmo anche noi. Proprio come Rick Hunter e Minmay.
All’epoca, comunque, i videogiochi me li potevo scordare, in ospedale: il Game Boy probabilmente era solo una mezza idea nella mente di Dio (Yokoi); di Game & Watch ne avevo pochi, noiosi, ma soprattutto tarocchi, e certamente non potevo traslocare in reparto la mia console casalinga (una macchina già vecchia per l’epoca, rimediata tramite uno zio, e che chiamavo amichevolmente “Il Giocone”).
Oggi, invece, posso contare su una lussosissima Switch (che è femmina), su uno smartphone che mi fa pure da router di fortuna, su un Kindle e su altri ammenicoli che bene o male me la fanno passare (oddio, volendo, l’ospedale offre anche un servizio pay per view, “tre giorni di digitale terrestre in chiaro = venti sacchi”, ma ho preferito lasciarlo lì). Rispetto al ricovero dei miei otto anni, è cambiata anche la compagnia. Al posto della ragazzina bacchettona, divido la stanza con un paio di signori anziani: uno, alla mia destra, bonario e silenzioso; l’altro, alla mia sinistra, irrequieto, polemico ed estremamente chiacchierone, per quanto simpatico.
Comunque, dai, niente di insostenibile, anche se a pensarci solo una settimana prima del ricovero stavo benone (almeno per i miei standard di piangina): ero a casa bello tranquillo a gustarmi Fairpoint per PSVR con annesso Aim Controller recapitatomi dal sig. Amazon. Tra l’altro, quel pezzo di plastica a forma di dildo-fucile che sulla carta non mi diceva un granché, in realtà, non è affatto male; Impulse Gear è riuscita a impacchettarlo così bene con l’esperienza di gioco di Fairpont (un’esperienza semplice, ma solida) da alzare un po’ l’asticella dell’immersività. Merito di un feedback tattile, di un “peso” e di un bilanciamento che lo spingono oltre la funzione meramente sparacchina, trasformandolo in un “braccio” per il giocatore. Un ponte in più verso il mondo simulato, insomma, una sorta di effetto Wiimote dove un po’ ci sei e un po’ ci fai.
- Il signore alla mia sinistra è partito a raccontare di quella volta che, «su per il lago», ha incrociato George Clooney. Gli butto un occhio, mentre con l’altro noto il vecchietto sulla destra che scuote la testa. -
Tutto bellissimo, se non fosse che ‘sta figata dopo un po’ mi ha sganciato. E non tanto per il motion sickness o le solite beghe da realtà virtuale, che alla fine uno le mette pure in conto (come il mal d’auto sulla Cisa o il vomito sulla strada per Nesso). No, a rompere il gioco è stato il caldo primaverile che, mescolato all’ingombro del visore e al leggero “sbilanciamento” tipico della VR, mi ha fatto sciogliere di sudore, costringendomi a togliere l’ambaradan anzitempo per farmi una doccia. E considerato che PSVR me l’ha portato Gesù Bambino a dicembre, col freddo, questa cosa non mi era ancora capitata. Chissà, magari Sony ha tenuto conto di questa problematica, quando ha deciso di lanciare la periferica in ottobre, o magari è solo un caso e sono io che sto facendo dietrologie da italiano, ché il mondo è grande e quando da una parte fa freddo, da un’altra fa caldo. Comunque sia, per quanto mi riguarda la VR non è una roba estiva.
Su questo pensiero della stagionalità di giochi e periferiche ci son tornato qualche giorno dopo in spiaggia, dove a metà di un pomeriggio lacustre e sonnacchioso ho estratto la mia Switch per farmi una partitella a Mario Kart 8 Deluxe. Dopo nemmeno mezz’ora, si avvicina un ragazzetto con la metà dei miei anni che mi sfida ad Ultra Street Fighter II. Gioca abbastanza bene ma lo batto (oh, una cosa so fare). Gli spiego che Ken lo uso dal 1991. Lui ammette che nemmeno era nato, nel ‘91, ma si dimostra un osso duro anche con Mario Kart. Il pomeriggio successivo, la Switch quasi non la sfioro, visto che viene occupata per tutto il tempo da amici e passanti in un revival da baretto che non assaporavo dagli anni Novanta.
- Il signore rumoroso alla mia sinistra, che a quanto pare era nel giro grosso delle affettatrici Berkel, dice che da ragazzo aveva amici tra la mala del Giambellino e che faceva judo. Sembra che una volta sia riuscito a sedare una rissa attraverso le sue tecniche, e che tuttavia non abbia potuto esagerare «perché se fai cazzate, la federazione ti leva il tesserino». Il vecchietto a destra non sembra impressionato. -
In genere detesto stare in spiaggia. Quando andavo in vacanza con i miei, da ragazzino, la spiaggia era solo una side-quest, uno scialbo contorno del vero piatto forte: sale giochi e baretti. Oddio, più baretti, che lungo la Riviera ligure di Ponente degli anni Ottanta/Novanta – quella del Gabibbo – erano fantastici per giocare in santa pace. Rispetto al glamour dell’Adriatico, dove potevi imbatterti in sciccherie come Teenage Mutant Ninja Turtles, Street Fighter II': Champion Edition, Ghouls 'n Ghosts o Wonder Boy in Monster Land, al baretto ligure standard le cose stavano un pochino più indietro, tipo le puntate di Beautiful su Rai 2 rispetto agli USA.
Eppure quei box di lamiera erano capaci di affiancare uno Space Harrier a Vigilante, o Dynamite Düx a un picchiaduro uno-contro-uno fighissimo con personaggi super deformed che attaccavano briga al suono di «Are you ready?» (o così pareva a me: magari parlavano giapponese!).
Sempre in Liguria, d’estate, mi ero fatto regalare la cartuccia di The Legend of Zelda: Link's Awakening a seguito di una rosicatissima promozione, e ricordo di averlo DIVORATO, dividendomi tra la spiaggia di Koholint e quella di Pietra Ligure, che ha un certo punto hanno finito col mescolarsi in una maniera che a pensarci mi sento male. Tra l’altro, ora che ci penso, pure la mia prima partitella col Game Boy era immersa nell’afa: quella del 1989, direi, visto che avevo potuto provare la console in anteprima sull’uscita italiana grazie a un amico ricco di ritorno dagli USA. Che roba, che nostalgia.
Pure il signore ciarliero è scivolato nella nostalgia e ha iniziato a rivangare i tempi del collegio, dove era diventato l’eroe della classe smontando e rimontando un motoretta Guzzi pezzo per pezzo («non è molto diversa da un’affettatrice Berkel»). La squadra di calcio della sua scuola, inoltre, era fortissima. Indovinate per merito di chi?
Proseguendo a casaccio con la mia lista di esperienze videoludiche estive (ah, le vacanze di tre mesi!), o alla brutta infilate nelle sue pieghe tardo-primaverili o inizio-autunnali, non posso fare a meno di nominare Wonder Boy in Monster Land per C64, iniziato sotto Pasqua e proseguito in cross-platform in una sala giochi di Cervia qualche mese più tardi (però non sono mai riuscito a terminarlo). Poi c’è il primo Sonic, a cui non ho mai giocato nella sua versione originale per Megadrive, ma solo qualche anno dopo, emulato. Eppure, ricordo come fosse ieri la copertina di Computer+Videogiochi del settembre 1991, rivista che avevo scoperto per caso in un’edicola di Bormio e che sfoggiava tra le sue fila alcuni ex redattori Xenia che avevo dato per dispersi. Leggendo e rileggendo le stesse recensioni (il suddetto Sonic, SimCity per SNES, Bonanza Bros., Alien Storm, etc.), ero riuscito in qualche modo a gestire la mestizia delle serate in albergo.
Proseguirei con Rainbow Islands, e non tanto perché il titolo di Taito è effettivamente estivo di suo fino al midollo, ma perché mi ero andato a comprare la cassettina per C64 il primo giorno delle vacanze del 1990, in bici. Era tipo la prima volta che coprivo in bicicletta la distanza casa-città, e ricordo le bandiere dell’Italia appese dappertutto per via dei Mondiali.
- Pare che uno dei compagni di scuola del solito signore sia rimasto ucciso in Cina a causa di certe faccende brutte legate a Mao tse-tung.-
Poi c’è Sensible Soccer, provvidenziale distrazione durante l’ennesima trasferta in montagna, questa volta a casa di un amico che aveva le cugine fighe ma più grandi e impegnate. Distrazione, tra l’altro, corroborata da sessioni su Street Fighter II per SNES (“Dodici scenari per un massacro”) e su Dune di Cryo Interactive, che sull’onda del successo di Twin Peaks aveva modellato i lineamenti di Paul Atreides su quelli Kyle MacLachlan, come nello sfortunato film di Lynch uscito qualche anno prima.
Chiudo la carrellata di ricordi estivi da vecchio col numero di TGM “luglio/agosto 1991” (i numeri doppi erano sempre bellissimi), che conteneva un resoconto a firma Reynaud/Gallarini del meeting bolognese organizzato da CTO per presentare la line-up LucasArts dell’epoca (Monkey Island 2 e Indiana Jones and the Fate of Atlantis, eh: la line-up della vita). Eppure, non è tanto per i giochi sfavillanti che mi ricordo così bene di quel servizio, quanto piuttosto per il box finale (qui a destra).
Mi era salita una roba allo stomaco a metà tra la figata e la frustrazione per l’attesa di un 1997 che pareva lontanissimo. Attesa che si sarebbe poi prolungata di un altro paio di annetti, e che comunque non fu mai ripagata.
- Intanto, anche al signore della branda a sinistra è salita una roba allo stomaco. Dice di avere «un po’ troppa aria»: colpa senz’altro del purgante e della zuppa di legumi servita sciaguratamente a cena. Noto che il signore a destra si sta coprendo il naso con le lenzuola. -
Ovviamente, così come ci sono giochi che vestono bene la primavera/estate, ce ne sono altri che funzionano meglio durante i mesi freddi. I vari giochi di Mario, ad esempio, al netto della vastità e della varietà degli scenari, tendo a legarli irrimediabilmente alla neve. Per me, tutta la serie dell’idraulico baffuto ha il sapore del Natale. Era Natale quando regalarono a mio cugino il NES col primo Super Mario ed era sempre Natale quando mi regalarono lo SNES (GiG) con il monumentale Super Mario World. Il Natale del 1992, per essere puntigliosi, anno che mi vedeva un po’ alle corde e che si chiudeva con la chiusura di Zzap! (ormai ero già passato fisso ai 16 bit e a TGM e comprai l’ultimo numero per pura coincidenza: ricordo che tra editoriale, saluti e posta, ci rimasi secco).
Durante le festività del 1993, mi girava senz’altro meglio, e non solo per merito delle idee di Stefano Accorsi, ma altresì del favoloso Super Mario All-Star. L’escalation delle festività mariesche è poi proseguita negli anni successivi con due Mario Land per Game Boy, i Galaxy; più o meno tutti i titoli della serie “New” e, in tempi più recenti, Super Mario 3D Land e Super Mario 3D World.
- Adesso il solito signore sta borbottando qualcosa riguardo gli anni del suo servizio militare, collegando in maniera piuttosto spericolata la caserma di Cagliari con fattacci della guerra in Corea, con il Vietnam e - alzando la posta, forse per guadagnarsi completamente la mia attenzione o il mio rispetto - persino con l’omicidio Kennedy. Il vecchietto alla mia destra è ancora nascosto sotto le lenzuola. -
Super Mario 64 merita un trafiletto a sé, e non soltanto per la sua dirompente carica innovativa. Ricordo di averlo acquistato in versione NTSC a un prezzo da rapina nel dicembre del mio primo anno di università, in un negozio milanese (via Dante, credo) ferrato sull’importazione parallela. A fottermi completamente era stata una recensione entusiastica di, boh, Auletta? Forse mi confondo con quella di Super Mario World. Comunque, fatto l’acquisto folle, me ne torno bello bello a casa col mio scatolone a bordo di una carrozza di legno delle FN. Scomodissime, ma natalizie come un trenino alpino. Sentivo di essermelo meritato, quel regalone: la vita mi sorrideva, ero carico di ottimismo e non avevo ancora svaccato tutte le sessioni d’esame primaverili (rimasi fregato dalla frequenza facoltativa e dal lassismo delle aulette occupate; in poche parole, dal ‘68).
L’ottimismo, comunque, si spense già dopo qualche giorno: proprio nel bel mezzo di una sessione di gioco, mi salì un’indigestione brutta, finii addirittura al pronto soccorso e dovetti slittare di qualche giorno una vacanzina sulla neve a casa di amici dove c’era una che mi piaceva. In compenso, mi è rimasto un bellissimo ricordo del viaggio in auto fatto assieme a mio padre fino alla meta montanara. Anzi, la metto giù da serva: probabilmente quello è il più bel ricordo padre-figlio che ho al momento*.
Mario per me è come il panettone col mascarpone, come Una Poltrona per Due, come i Gremlins, come Il canto di Natale di Topolino o La spada nella roccia, come le storie natalizie di Richard Scarry, come la neve per Lorelai Gilmore o come il vin brulé della vigilia. Sarà per colpa di tutta questa verve dicembrina che non ho MAI giocato a Super Mario Sunshine? Vai a sapere™.
- Mentre ci penso, a ‘sta cosa di Super Mario Sunshine, in camera proseguono i racconti di taglio militaresco del signore chiacchierone. A quanto pare, vuole mettere bene in chiaro il suo ruolo di maschio alfa. Tra le varie, dice di aver fatto il bagno nudo tuffandosi da un cingolato (un M60 Patton, per la precisione), di aver salvato il suo capitano durante un fattaccio in polveriera, di aver rifiutato per modestia il grado di sergente e cose così. L’esercito, del resto, ce l’ha nel sangue: durante la guerra mondiale (non ho capito quale, ma presumo la prima) il padre e i sui quattro fratelli, spediti in unità diverse nei luoghi più disparati d’Italia, hanno finito col ricongiungersi sul campo della stessa battaglia, in un tripudio di baci e abbracci a ridosso di un bombardamento. -
Altri giochi che in qualche modo mi fanno autunno/inverno, per ragioni loro o mie, sono Turrican II per C64 (con relativa cover del numero di Zzap!, febbraio 1991) e Robocop II, pure per C64, acquistato viziosamente su cartuccia per sfregio verso il C64 Games System (sensato quanto un 2DS) e giocato col sottofondo televisivo di Good bye Cortina, con Chiambretti e Sandro Paternostro intenti a visitare la Russia come non si era vista mai. E mentre loro entravano nel mausoleo di Lenin, io sparavo agli spacciatori di Nuke e pensavo ai topless di Occhio alla Perestrojka, ché l’adolescenza è gran calderone di vaccate.
Ruotando la consonante finale di Robocop si passa direttamente a Robocod, un gioco - stavolta sì - oggettivamente invernale, col suo mondo coperto di neve e pieno zeppo di marzapane e balocchi assassini, figlio di quella fantasia malata, kitsch eppure bizzarramente armoniosa tipica della scena Amiga dei primi Novanta.
Senz’altro invernali, per me, sono stati pure Metal Gear Solid (import), Symphony of the Night e Final Fantasy VII, che in mi sono giocato di filotto la notte durante il Servizio Civile. Per la fotta di stare dietro a Cloud e alle sue fregnacce, tra l’altro, ho persino bucato la festa di Capodanno (col senno di poi, avrei fatto meglio ad andarci).
Il vecchietto, intanto, mi spiega con rammarico che, di tutti i suoi compagni del servizio militare, oggi ne è rimasto in vita soltanto uno. In un momento di epifania, ha deciso di saltare le prossime vacanze al mare per fargli visita. Speriamo in bene.
E mentre ci abbandoniamo alla nostalgia, ciascuno alla sua maniera, la minestra di legumi servita per cena sta iniziando a chiedere il suo tributo: gli infermieri del turno di notte passano da una camera all’altra bestemmiando e invocando maledizioni contro quelli della mensa. I pazienti sembrano impazziti. È come essere nel pieno di una rivolta carceraria. Io e il signore chiacchierone ci guardiamo, facciamo spallucce e spegniamo la luce.
*Puntualizzo che il papà sta bene.