Racconti dall'ospizio #69: La purezza di Final Fantasy IX
Racconti dall'ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Dopo anni di preghiere inascoltate e incontri fugaci a casa di amici, parenti e conoscenti vari, i miei decisero di regalarmi una PSone. Era l’estate del 2001 e festeggiavo la promozione a pieni voti (sì, intendo vantarmene tantissimo) in seconda media. Più che mamma, era papà a nutrire verso la console Sony quello scetticismo tipico di chi è diventato genitore negli anni Novanta. Avrebbe iniziato a ricredersi dopo aver conosciuto un collega patito di Gran Turismo, che gli fece toccare con mano le meraviglie di cui era capace quello scatolotto grigio. Probabilmente pensò che se uno stimato professionista era così entusiasta di quell’hobby che tendeva ad associare a bambini e perdigiorno, forse i videogiochi non erano poi così pericolosi. Ovviamente sbagliava, come testimonia l’incidente quasi fatale in cui è incorso il succitato professionista, colpevole di aver sopravvalutato le nozioni apprese con l’amato simulatore automobilistico. A quanto pare, guidare una supercar su pista è un’esperienza leggermente differente, ma questa è un’altra storia.
Papà mi aveva procurato la pillola rossa, ora toccava a Luca a guidarmi fra le profondità della tana del Bianconiglio. Era il mio amico più caro, possedeva la Play da più tempo di me e una collezione di giochi apparentemente sconfinata: non potevo chiedere un maestro migliore. Vi confesso che avemmo alcune divergenze. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a farmi piacere quel Final Fantasy VIII che tanto adorava. Preferivo di gran lunga ascoltare i racconti delle sue avventure, piuttosto che dedicarmici in prima persona. Odiavo con tutto il cuore i personaggi principali; trovavo ridicoli i Gunblade - quelle bizzarre spade con il manico da pistola - e, più di ogni altra cosa, provavo una profonda repulsione verso la melensa storia d’amore fra Squall e Rinoa. Ero un ragazzino dai gusti semplici, ero interessato solo a menare le mani.
Ancora oggi fatico a capire come riuscì a convincermi ad acquistare Final Fantasy IX; probabilmente mi stuzzicava la prospettiva di giocarci in contemporanea. Per la prima volta non mi avrebbe visto come un allievo desideroso di abbeverarsi alla fonte della conoscenza, ma come un pari. Del resto, le lunghe chiacchierate in cui parlavamo dei nostri progressi, delle strategie adoperate per sconfiggere un determinato boss o delle dicerie che circolavano in rete sono la memoria più cara che ho legato al capolavoro di Sakaguchi.
Dopo aver usato un termine così perentorio, è doveroso un piccolo inciso. Come ogni persona sana di mente, non nutro una grande fiducia verso i me stesso del passato, in particolare verso quelli precedenti la maggiore età. Basti pensare che uno di loro riteneva che Il codice da Vinci fosse un buon romanzo (brrr). Ciò nonostante, voglio credere al candore dell’Aurelio dodicenne e al suo entusiasmo per le peripezie di Gidan. Se delle centinaia di titoli provati in quel periodo ho delle reminiscenze confuse, mentre di Final Fantasy IX ricordo distintamente i momenti più toccanti, un motivo ci sarà
Ogni volta che viene citato Final Fantasy IX, penso immediatamente a un evento del gioco che non voglio anticiparvi se non avete avuto ancora il piacere di provarlo in prima persona. Se appartenete alla categoria, passate senza remore al paragrafo successivo e lasciatemi versare una lacrima assieme agli altri vecchietti che popolano l’ospizio. Chi è rimasto avrà già intuito che mi sto riferendo alla morte di Vivi. A metà fra il Pinocchio di Collodi e i Replicanti di Blade Runner, l’adorabile maghetto è stato creato in laboratorio. A dispetto delle sembianze fanciullesche, è il prototipo di un androide sviluppato come arma di distruzione, ma la perdita della memoria e una serie di (s)fortunate peripezie lo porteranno a unirsi alla nostra combriccola di eroi. Come apprenderà nel corso dell’avventura, la durata prevista del suo ciclo vitale è di appena un anno. Vivi arriverà allo scontro finale con la consapevolezza che, anche in caso di trionfo, gli resta soltanto una manciata di mesi prima di spegnersi. Non avremo modo di stargli vicino durante i suoi ultimi momenti ma nel corso dell’epilogo, mentre osserviamo i suoi figli rincorrersi spensierati, possiamo leggere le sue ultime parole: “I'm so happy I met everyone... I wish we could've gone on more adventures. But I guess we all have to say goodbye someday. Everyone... Thank you. Farewell. My memories will be part of the sky”. Stacco a nero, cala il sipario, scendono le lacrime.
Subito dopo, mi viene da sorridere ricordando le massime della mia cuoca preferita (meglio un rospo oggi che un principe domani!). Alla stregua di tutti i capitoli più riusciti della serie, Final Fantasy IX riesce a stemperare i toni melodrammatici della trama con gag esilaranti e trovate sopra le righe. Quina è il pilastro della linea comica, un Martellone ante litteram che risulta immediatamente simpatico per la sua faccetta buffa e la parlata romanesca. Membro di una tribù di semiumani noti come Qu, il suo unico interesse consiste nell’abbuffarsi di rane (come sottolineato da una missione secondaria che la vede protagonista). Soltanto dopo diversi anni, quando ebbi la sventurata idea di iscrivermi al forum di GamesRadar, scoprii che questo irresistibile pagliaccio era oggetto delle ire di quella frangia di fan che non ne aveva apprezzato la traduzione. Sulla falsariga dei Qu, tutti gli abitanti più umili di Gaia presentano un forte accento dialettale. Si pensi che Cinna, uno dei compagni di malefatte di Gidan, nella versione de noantri è noto come “Er Cina”. Si tratta di una caratteristica assente nell’edizione inglese, ma che ben riflette la sceneggiatura originale, in cui i personaggi appartenenti ai ceti nobili parlano un linguaggio altolocato, mentre la plebaglia si esprime in una varietà di vernacoli locali. Dal canto mio ho sempre adorato questa scelta, non solo perché rende i dialoghi con Quina ancora più spassosi, ma perché riesce a rafforzare la sensazione che ci stiamo muovendo all’interno di un mondo credibile; non un semplice palcoscenico che si limiti a fare da sfondo alle nostre gesta, ma un microcosmo pulsante di vita.
In ultimo, anche se ormai persino i punti salienti della storia mi risultano nebulosi, non dimentico l’esaltazione che provavo nello scovare quei segreti celati agli occhi dei più distratti. Dedicai un quantitativo demenziale di ore a dissotterrare ogni singolo tesoro presente sul suolo di Gaia in compagnia del mio Chocobo, per non parlare dei numerosi tentativi necessari per sconfiggere Ozma, un boss opzionale ancora più impegnativo di Necron. Non pago, provai ripetutamente a raggiungere lo scontro con Lich entro dodici ore dall'inizio dell’avventura, in modo da sbloccare la leggendaria Excalibur II. Per quanto mi sforzassi, non ci riuscii, convincendomi che si trattasse di una diceria priva di fondamento. A distanza di ben sedici anni, a volte ripenso ancora a questa sfida che non sono mai riuscito a completare e mi viene voglia di impegnarmi in nuovo tentativo. Purtroppo l’età avanza e, senza un Luca con cui condividere una simile epopea, temo che non avrei la forza di sopportare l’ormai vetusto sistema di combattimento e le lungaggini tipiche dei JRPG dell’epoca. Preferisco preservare le emozioni che mi ha lasciato senza contaminarle con il cinismo dell’Aurelio trentenne, pure come solo quelle di un bambino sanno essere.