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Agony - L'agonia è giocarci

Agony - L'agonia è giocarci

Agony è quel tipico gioco che sulla carta è interessante. Nessuna censura, violenza infinita, una rappresentazione dantesca dell’inferno con dannati nudi, demonesse nude, stupri, sangue a ettolitri e nessuna concessione al politicamente corretto. Soprattutto, a poter interessare, era però nello specifico la sua volontà di rappresentare l’inferno in maniera “brutale”, un luogo realmente privo di speranza, pieno di panorami alieni e incomprensibili ma al tempo stesso sempre inequivocabilmente orrendi e comunicanti di quel senso di disperazione e sofferenza eterna che l’inferno dovrebbe rappresentare.

La cosa a suo modo tragica è che in un certo senso Agony riesce davvero nel suo proposito.

Chi ha seguito la scena dei giochi indipendenti, specificatamente i giochi horror indipendenti, non potrà non aver notato il marasma galleggiante di prodotti tutti uguali che si basano sulla fuga ripetitiva da mostri impossibili da sconfiggere. A volte, la formula viene fuori anche moderatamente bene, ma il più delle volte si tratta di passeggiate atroci nella valle della noia. Agony rientra in questa seconda categoria. L’inizio è anche promettente, scaraventa il giocatore in uno scenario d’incubo, ma dopo che l’impatto con la particolare estetica del gioco inizia a scemare, quello che rimane è un simulatore di passeggiata in cui ci si muove lentamente per evitare mostri spesso invincibili, che possono uccidere sul colpo.

La trama si muove attorno alla ricerca di una “Dea Rossa”, unica entità nell’inferno con il potere di liberare l’alter ego del giocatore, la cui identità è resa misteriosa, sebbene alcuni personaggi facciano oscuri riferimenti alla sua malvagità e lo chiamino per nome: Amraphel. Peccato che chiunque abbia una formazione religiosa, o molto più semplicemente l’accesso a Wikipedia, possa scoprire in circa due secondi chi sia il personaggio in questione. Durante la ricerca della via di fuga dall’inferno, il giocatore è spinto a visitare luoghi tutto sommato diversi tra loro, a volte risolvendo alcuni semplici puzzle, con la possibilità di trovare lungo il tragitto alcune lettere e documenti lasciati da altri dannati. L’idea di trovare “lettere” sparse in giro per l’inferno è a mio avviso ridicola, e anche la narrazione tramite testi da trovare lascia molto a desiderare, ma si tratta in fondo di nulla più dei meccanismi visti nei giochi horror indipendenti a cui accennavo prima.

Alcune particolarità del sistema di gioco sono da ricercarsi fondamentalmente nella possibilità di possedere altri dannati. Dato che in fondo non si sta usando l’ultimo degli sfigati morti ma qualcuno di una certa importanza, quando il corpo fisico che si occupa viene distrutto si ha la possibilità, per breve tempo, di muoversi in forma incorporea e prendere il controllo di un’altra anima sfortunata. Col tempo, il potere del giocatore aumenta e diventa possibile possedere demoni, e qui vi è l’unica variante sul tema, dato che nel corpo di un demone si può difendersi e ci si muove più rapidamente e più agilmente. Sfortunatamente, l’implementazione lascia molto a desiderare. Innanzitutto, nel corpo di un demone non si può interagire con i punti di salvataggio né con i puzzle; inoltre, si può rimanere nel corpo di un demone solo per un periodo limitato di tempo, prolungabile solo e soltanto uccidendo altri dannati, ma dato che sono di fatto “vite extra”, significa condannarsi al game over. L’unico uso sensato che ho trovato della possessione demoniaca è stato di possederli, usarli per uccidere alcuni nemici e poi suicidarsi per tornare a muoversi nel corpo di un dannato “normale”. Uno spreco.

Il problema principale di Agony è che punta quasi tutto sull’effetto “shock” causato nel giocatore. Ma dopo il centesimo cadavere squartato e la ventesima volta che si vedono “neonati” (con la faccia da vecchio e il sangue viola, però) morire in malo modo, subentra in modo inevitabile l’assuefazione e il resto delle componenti del gioco sono semplicemente insufficienti a tenere in piedi l’intera struttura. Dal punto di vista tecnico, poi, Agony è discreto ma lontano dalla perfezione. L’uso dell’Unreal Engine 4 è piuttosto tipico di uno studio agli esordi, alcuni scenari colpiscono per il colpo d’occhio ma buona parte dei modelli, soprattutto i volti umani, lascia molto a desiderare.

Tirando le somme, Agony è un gioco mediocre, privo di caratteristiche davvero degne di nota se non per la direzione artistica dello scenario infernale. Per assurdo, sarebbe stato più apprezzabile se avesse abbandonato le pretese di gioco e avesse puntato realmente ogni cosa sull’esplorazione e sull’atmosfera. Il risultato finale si macchia del crimine più grande che un videogioco possa commettere: essere noioso.

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Ho sbloccato il gioco grazie a un codice Steam fornito dallo sviluppatore, gettandomi poi all’avventura per una decina di ore. Ho sperimentato alcuni finali alternativi, ma sono bastate due ore per vedere tutto quello che il gioco aveva da offrire. Per quanto possa essere spiacevole dirlo, Agony rappresenta una fra le peggiori esperienze di gioco che ho provato in tutta la mia vita. Se comunque ci tenete a toccare con mano, sappiate che è disponibile anche su PlayStation 4 e Xbox One.

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