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Blood Bowl è un fantastico gioco di merda

Blood Bowl è un fantastico gioco di merda

Fin da ragazzino ho desiderato avere un team di Blood Bowl, orchi per essere precisi, e sfidare amici e conoscenti in epici scontri all’utlimo blocco e all’ultima meta. 

Peccato che, abitando in provincia, non avessi modo di comprare tale pupazzame e, peggio ancora, nessuno di mia conoscenza era appassionato di boardgame… figuriamoci di giochi con miniature.

Super fast forward nella mia vita, trasloco a Milano. Entro in un gruppo di gioco prima per LCG e poi per uno strano misto tra giochi di miniature e gioco di carte (sempre LCG) chiamato Warhammer Underworld, il mio “gateway” verso quello strano mondo che gli anglosassoni chiamano “the hobby”. Quello che poi è passato prima a Kill Team e poi da altri tanti giochi pieni di plastica e dadi. Tra cui, finalmente, Blood Bowl.

La situazione si è presentata nel 2020, con un nuovo “core set” - un bundle per iniziare agilmente per due giocatori - con tanto di nuovo regolamento. In Ludic, associazione del gruppo di gioco di cui su, con veterani dei campi e nuove leve come me decidiamo di iniziare un gruppo organizzato proprio di Blood Bowl. Un’associazione molto numerosa e dedita di questo gioco esisteva già a Miragliano. Solo che io non so dove sia Miragliano e soprattutto non possiedo - per fortuna più - un’automobile, quindi non era cosa.

Dicevo, si va in Casa dei Giochi, sede della sopracitata Ludic, e si inizia a muovere i miei Lizardman: uomini lucertola che mi han detto essere pure forti, ma che ho scelto perché attirato dalla loro estetica.

Belli e bravi insomma. Dicono. Io perdo miseramente.

Il primo pezzo dipinto in assoluto per Blood Bowl. Bruttino ma rapido e scattante, ottimo per fare meta.

Perché Blood Bowl è un gioco facilissimo da iniziare, con barriere all’ingresso piuttosto basse per un titolo della casa di Warhammer 40K e Age of Sigmar: un team viene qualche decina di euro, talvolta anche solo con un box, ed è pieno zeppo di case terze che vendono STL da stampare o propongono loro bellissime miniature alternative. Tra cui l’italianissima Greebo, che è pure la mia preferita del lotto. Undici pezzi sono quelli che servono per un team, a differenza di decine e decine di pupazzetti necessari per i titoli a larga scala più noti dell’editore. E poi, ripeto, è lecitissimo stampare roba: Blood Bowl è un gioco di cui Games Workshop non ha un circuito competitivo e quindi i vari tornei in giro per l’Italia sono pieni zeppi di pezzi third party dal costo molto inferiore. Insomma: se si vuole si inizia facile.

Solo che Blood Bowl è il cosiddetto “easy to learn, hard to master”. Bisogna conoscere bene i team avversari per anticiparne forze e debolezze, c’è tutta la meccanica dei supporti in attacco da imparare e soprattutto c’è il fattore casualità da provare a governare, o quantomeno arginare.

Perché Bloodbowl è un fantastico gioco di merda. E il dio della merda ha la forma di un dado.

Immagini che parlano. Bestemmiando.

Ci sono due tipi di giocatori di Blood Bowl. C’è chi lo prende estremamente sul serio: ascolta i podcast in merito, conosce i matchup a menadito, magari si allena persino su simulatori online o versioni videoludiche per tenersi sempre in forma; mastica i vari formati di gioco, conosce le differenze tra team “da lega” e team” da torneo… Insomma, chi è bravo studia e si applica. Poi c’è il secondo tipo, che abbraccia la casualità e prova ad attutire il più possibile le botte della sfiga che prima o poi inevitabilmente arriverà.

E io, da scarsone, sono decisamente del secondo tipo.

L’intuizione geniale di Blood Bowl che lo rende così amato ancora oggi è tutta nella sua modalità “a lega”, che è il modo migliore per giocare. Di fatto, ogni giocatore parte con una determinata quantità di soldi “virtuali”, da spendere per comprare i giocatori della fazione prescelta, più altre amenità come staff medico del team, cheerleader o birre. Blood Bowl è un gioco che non si prende troppo sul serio nella definizione della sua “lore”, invogliando e abbracciando ogni stramberia partorita nel corso degli anni dalla parte fantasy di Warhammer

Una volta formate le squadre, parte appunto la lega, un campionato generalmente a gironi, possibilmente con playoff, in cui i diversi team, in base ai risultati in campo, possono acquisire soldi e punti esperienza: con i secondi, i diversi pupazzi/membri del team possono acquisire nuove abilità, per essere ancora più performanti in campo... o magari deludere ancor di più una volta sul pitch di gioco.

Voi lo vedete grosso e minaccioso. Dopo la prima partita si è rotto il braccio ed è stato licenziato dal team.

Perché il dio dado esige i suoi tributi e sono spesso fatti di sangue e bestemmie: non è raro che nel corso della lega qualche giocatore si infortuni, chi anche in modo permanente... e c’è chi può lasciarci persino le penne. E se è il proprio personaggio più costoso/livellato, le invocazioni non gradevoli al dio dado si sprecano. 

Insomma, nelle leghe di Blood Bowl si crea quella che nei vari Football Manager si chiama spesso “narrativa emergente”, ovvero una serie di microstorie all’interno del proprio team e tra team avversari che rendono ogni lega di Blood Bowl molto più che una semplice serie di partite. Io sono proprio questo tipo di giocatore: forse per compensare la mia mancanza di abilità rispetto ai veterani del gruppo, preferisco proprio godermi ogni lega come se fosse una sorta di campagna di Dungeons & Dragons. Una campagna in ui il master è completamente ubriaco e dice cose a caso, che magari una volta sono incredibilmente a tuo favore ma la successiva devastano tutta la tua partita.

E quindi ogni fallimento sull’ultimo passo verso la meta, di quelli che fanno inciampare il tuo giocatore che caracollando muore (facendo tutto da solo!), diventa occasione di una risata, ogni meta è una piccola celebrazione, ogni blocco il capitolo di un racconto che si costruisce insieme, giocando. Non a caso una fra le abitudini più belle - stranamente perse nella lega in corso - delle serate è proprio il recap post partita, spesso condiviso con il resto del gruppo proprio in forma di piccolo racconto scritto del match appena finito, sempre un po’ a metà tra il goliardico e il sarcastico.

Un pezzo Greebo, casa alternativa alla Games Workshop che fa miniature fantastiche.

E probabilmente non è neanche un caso che Blood Bowl, per lo meno nella mia esperienza, sia stato in grado di attrarre una piccola comunità forse non sempre puntuale, ma squisitamente eterogenea: c’è chi come me sperimenta tanti altri giochi e si ritrova sul pitch quasi di corsa, ma pronto a vendere cara la pelle; c’è il veterano che fa da chiarificatore per ogni interazione tra microregole un po’ strana e tiene tutti gli altri scalmanati del gruppo nei ranghi; c’è quello che a ogni lega ti infortuna inevitabilmente metà squadra ma col sorriso..

Insomma, ce ne  ho messa un bel po’ per coronare il mio “piccolo sogno” di giocare a Blood Bowl, ma forse è capitato nel momento migliore possibile. 

E credo proprio che, nonostante non sia il mio gioco “principale” al momento, avrò sempre pronti undici o sette pupazzetti di plastica pronti a battagliarsi nella versione più violenta, caotica e scema del football americano che potessero immaginare. Perché Blood Bowl è proprio un gioco di merda fantastico.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Sport mostruosamente proibiti”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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