Librodrome #3 – La realtà in gioco
Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.
Questa rubrica, in teoria, sarebbe curata da Fotone. In pratica, una volta c'è quello che vuole scrivere dei libri di The Witcher, un'altra volta Fotone c'ha da fare e mi rivolgo d'urgenza a RuMiKa per il suo articolo sui diari di Jordan Mechner, un'altra volta ancora decidiamo di far diventare la rubrica quindicinale ed eccomi qui a tappare il buco. Ma tranquilli, prima o poi potrete tornare a leggere gli avverbi arditi e le costruzioni sintattiche arzigogolate del nostro filosofo del tecnoludo da Chieti. Nel mentre, scrivo due cosette su un libro che ho acquistato nel negozietto della Game Developers Conference 2011 e che da allora a oggi è pure uscito in edizione italiana, pubblicata da Apogeo. Il titolo originale è Reality is Broken: Why Games Makes Us Better And How They Can Change The World. Il titolo italiano è La realtà in gioco: Perché i giochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo. L'autrice è Jane McGonigal.
Jane McGonigal è salita alla ribalta nel mondo dell'internet quando, a inizio 2010, si è esibita sul palcoscenico del TED. TED sta per Technology, Entertainment and Design (ma gli amici lo chiamano Ideas Worth Spreading), ed è un'insieme di conferenze e chiacchierate pubbliche in cui personaggi più o meno famosi espongono le loro idee. Capita che vi appaiano figure legate al mondo dei videogiochi (per esempio, qualche tempo fa, Tetsuya Mizuguchi), viene dato spazio a cani e porci, molto spesso ne vengono in effetti fuori pensieri parecchio interessanti. E scommetto un rene di Fotone che, anche se non avete idea di cosa sia il TED, avete visto la finta conferenza di Peter Weyland all'edizione 2023, organizzata nel carosello di promozione virale per Prometheus, il prequel di Alien in arrivo a giugno settembre che segna il ritorno di Ridley Scott a quello che sa fare meglio (HINT: la fantascienza) e che aspettiamo tutti con ansia.
Nel suo intervento sul palco del TED, che potete guardare nel filmato qua sopra e di cui abbiamo fra l'altro parlato in un vecchio episodio del vecchio Outcast, Jane McGonigal ha raccontato della propria esperienza e delle proprie teorie sull'importanza del gioco, prima ancora che del videogioco, nella vita umana. Ha spiegato come secondo lei i (video)giochi possano essere una fonte di tante belle cose e generare sentimenti, forza, applicazione, risultati in maniera concreta e positiva nel mondo reale. Jane si è interrogata sulla devozione, il lavoro, la capacità di collaborare e costruire comunità unite in maniera assolutamente positiva, tutte quelle belle cose che si verificano regolarmente nel contesto degli MMO, insomma, e che regalano ai giocatori soddisfazioni e momenti di orgoglio che mancano invece nella vita di tutti giorni. O dove comunque, per la maggior parte delle persone, non si trovano con la stessa frequenza e lo stesso rapporto diretto di causa effetto. Insomma, Jane vuole riuscire a travasare nel reale tutto ciò che di buono troviamo nel virtuale. Un concetto interessante, se vogliamo, che sembra volersi riferire da un lato al modo in cui i videogiochi già esistenti sono a volte in grado di trovare applicazioni nel mondo reale (penso a certi studi condotti sull'epidemia di Corrupted Blood in World of Warcraft), dall'altro alla possibilità di creare videogiochi e applicazioni che, tramite la partecipazione degli utenti, riescano a generare conseguenze sul mondo reale (penso a quelle applicazioni che chiedono di risolvere problemi “reali”, o a quelli che provano ad aumentare la consapevolezza su determinate problematiche e offrono la possibilità di elargire somme in beneficenza). E poi, nel mezzo, c'è la cosiddetta gamification, l'applicare meccaniche e strutture di ricompense da videogioco ad attività quotidiane.
Partendo da questa base, Jane McGonigal ha scritto il suo libro, in cui fondamentalmente apre esponendo le proprie teorie e poi parte per la tangente finendo per arrivare a sostenere che i videogiochi salveranno il mondo e rappresentano l'unica via possibile (va bene le iperboli, ma a tratti sembra di leggere il manifesto di una dissociata mentale). Si tratta di un libro che molti hanno liquidato come coacervo di fesserie da nerd che vuole darsi un tono e altri, decisamente meno, hanno molto apprezzato. Mi verrebbe banalmente da dire che la verità sta nel mezzo, che pensare di dover ridurre tutto a un gioco per poter combinare qualcosa nella vita sappia un po' di scappatoia e un po' di non cogliere il centro del problema, ma anche che in realtà molto di ciò che la McGonigal propone ha gran senso e che se anche non me ne fregasse niente di conquistare badge ogni volta che passo l'aspirapolvere, beh, non c'è nulla di male e c'è anzi molto di bene nel voler rendere più gradevoli e sopportabili esperienze come la convalescenza da una brutta malattia infilandoci dentro un po' di attività giocosa. Che, in fondo, rimane pur sempre fra le cose più belle da fare nella nostra vita. Quindi diciamo che La realtà in gioco, nonostante esageri forse un po' nel sostenere la sua tesi a tutti i costi e a tutti i livelli, nonostante sia strutturato come un continuo reiterare gli stessi concetti facendo esempi per trecento pagine, nonostante a tratti c'abbia un po' il tono del volantino promozionale per i vari progetti della McGonigal, nonostante a conti fatti, dopo averlo letto, non è che mi sia rimasto addosso molto più di quel che già mi aveva lasciato il filmato là sopra, è un libro abbastanza interessante, gradevole alla lettura, che riesce a dire qualcosa. E adesso scusatemi ma devo andare a fare il check-in su Miso.