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Metal Gear Rising: Revengeance - L'importanza di chiamarsi Raiden?

Metal Gear Rising: Revengeance - L'importanza di chiamarsi Raiden?

A voler parlare di Raiden attraverso le sue apparizioni videoludiche, si ottiene una storia quantomeno bizzarra, di un personaggio maledetto che non riesce mai ad essere compreso pienamente dal suo pubblico. In principio fu Metal Gear Solid 2: protagonista per la grossa fetta del gioco, disprezzato dalla stragrande maggioranza dei fan e della stampa perché, oltre a non essere il Solid Snake di MGS (impresa piuttosto ardua, converrete), era stato accusato di essere il suo completo opposto, un concentrato di misoginia che poco aveva a che fare con i concetti dell'arte bellica Kojimiana. Preso in giro per gran parte di Snake Eater (fin dai trailer) attraverso la figura del somigliante Raikov, Jack è poi tornato in Metal Gear Solid 4 in una veste rinnovata. Il femminile Raiden, che nessuno avrebbe voluto giocare in Metal Gear Solid 2, nel quarto capitolo della saga appare come un ninja cibernetico, capace di affettare soldati, gekko e carri armati come un provetto Goemon Ishikawa 2.0, grazie ad una lama ad alta frequenza. Insomma, Raiden in Guns of the Patriots era diventato decisamente affascinante, e tutti avrebbero voluto mettere da parte il vecchio Snake, anche solo per una piccola fetta di gioco, per prendere in mano quella spada e camminare in quel corpo a prova di proiettile. Il pensiero di Kojima era palese: “Sai che c'è? Che prima non volevate giocarci, ora ve l'ho reso figo così volete giocarci, ma io non ve lo faccio fare!”. Mai fare incazzare un giapponese.

Poi, però, si sa come vanno a finire certe cose, e Kojima annuncia un titolo tutto per Jack e la sua nuova mise nel 2009, in cui avremmo vissuto il cambiamento di Raiden da effemminato reietto a ninja che cammina sui missili in una nuova (per la saga) ottica action, in cui tagliare chirurgicamente tutto il tagliabile attraverso la spada. Hideo però si rende conto di non avere esperienza in questo tipo di giochi, e decide di interrompere lo sviluppo, salvo poi rinsavire e affidare il titolo ai Platinum Games, divinità nel campo action e freschi del successo di critica e pubblico ottenuto con Bayonetta. Il gotha dell'industria videoludica nipponica si incontra e crea un titolo su misura per Raiden: è fatta, c'è già odore di santità.

Peccato che Raiden sia evidentemente un personaggio al limite del fantozziano, a cui, come detto quasi duemila caratteri fa, non riesce bene esprimersi in pubblico. Intendiamoci, Metal Gear Rising: Revengeance è esattamente quello che doveva essere nelle intenzioni, un action game che racconta la storia di Jack, ne approfondisce aspetti psicologici e ne racconta l'evoluzione anche al di là del fatto che, rispetto all'idea originale, sia ambientato dopo gli eventi di Metal Gear Solid 4 e non prima.

Revengeance è infatti perfettamente inserito nel contesto della saga di Kojima in tutti i suoi aspetti: dalla profondità della storia, presente nonostante il genere sia poco avvezzo a simili elementi, passando per le innumerevoli cutscene attraverso le quali viene raccontata, la scrittura certosina, anche delle parti marginali come le conversazioni codec, tanto superflue quanto gustose, e alcuni personaggi assolutamente Kojimiani.

È però nella componente action, ossia quella che sarebbe dovuta essere la colonna portante del gioco, che Revengeance mostra il fianco alle critiche. Sebbene, anche qui, l'idea alla base del progetto sia rimasta invariata, con il taglio millimetrico dei più disparati elementi di gameplay ad essere protagonista, l'impressione di non essere davanti al capolavoro annunciato che ci si aspettava da Platinum Games c'è.

Il Blade Mode, ossia il taglio libero di avversari/gekko/elicotteri/missili/quellochevolete, non è infatti l'idea alla base del gioco, ma è, di fatto, l'unica idea su cui è incentrato il gameplay. OK, ad onor della cronaca sottolineo che è possibile effettuare alcune – poche, eh! - sezioni con fare stealth, nascondendosi agli occhi dei nemici e tenendo la spada nel fodero fino a destinazione, ma sono abbastanza convinto che non vogliate spendere quasi 70 euro in un gioco action per giocarlo come uno stealth, nonostante le inevitabili chicche autoreferenziali che Kojima non poteva non inserire.

Dicevo, il Blade Mode: i nemici da tagliare, in Revengeance, non mancano di certo, e tutti sono dannatamente gustosi da fare a fette, sia all'abbacinante (almeno per le console) ritmo dei 60 frame al secondo, sia con il rallenty del Zandatsu, in cui le piccole fette degli avversari vengono setacciate alla ricerca di celle energetiche che garantiscono alla barra del Blade Mode di rigenerarsi, in un circolo continuo. Tuttavia, il gusto dell'affettare tende a diminuire non appena si scopre che questo circolo continuo è davvero tale, tanto che le poche combo disponibili non sono che un mero divertissement da alternare ad un'idea di gameplay che rimane fine a se stessa, non innovandosi mai nel corso delle poche ore di gioco.

Senza contare che questo continuo rallentare un gioco altrimenti forsennato risulta amplificato proprio dagli elementi made in Kojima menzionati prima: le cutscene non sono esattamente snelle (anche se siamo ovviamente lontani dai “fasti” di MGS4) e le conversazioni al codec legate alla trama rallentano l'andatura di Raiden per brevi tratti. Altro elemento che impatta sull'immediatezza del gameplay è sicuramente quello riguardante la scelta delle armi secondarie, legata come ormai è abitudine alla croce digitale, ma qui proposta con un menu a parte, che, pur strizzando l'occhio ai vari Metal Gear Solid, risulta piuttosto “pesante” per un gioco che dovrebbe fare della rapidità e dell'immediatezza gli elementi chiave.

Altro elemento di gameplay che fa storcere il naso è sicuramente il sistema scelto per effettuare le parate, attraverso la combinazione del tasto di attacco leggero e dello spostamento della levetta analogica sinistra nella direzione da cui proviene l'attacco. Abbinato ad una telecamera al limite dell'insopportabilità e ad un lock-on automatico non propriamente inappuntabile, questo sistema risulta spesso impreciso, non tanto nelle fasi di gioco standard, quanto durante gli esigenti boss fight, che alzano decisamente l'asticella della difficoltà rispetto alle altre fasi del gioco e richiedono un approccio ben più tattico.

Alla luce di questi elementi, potete capire perché Metal Gear Rising: Revengeance ci restituisce ancora una volta un Raiden incapace di splendere finalmente di luce propria, messo in ombra da due mondi che non hanno trovato un punto d'incontro capace di valorizzare il lavoro di Kojima e di Platinum Games, questa volta non propriamente al suo miglior livello. A voler ben vedere, però, tali critiche risultano aspre proprio perché da questa combinazione ci si poteva aspettare una pietra miliare, un punto di incontro tra due realtà diverse che, con il giusto equilibrio, avrebbe rivoluzionato ancora una volta un genere che tre anni fa ha vissuto l'avvento di Bayonetta.

Al netto del blasone e del peso delle aspettative, infatti, Revengeance è un action godibile, divertentissimo nella sua frenesia a colpi di lama ad alta frequenza, galvanizzante durante i quick time event ed esigente negli spettacolari boss fight, costantemente coadiuvato dalla bella sensazione dei 60 frame al secondo e da una colonna sonora assolutamente perfetta. Ovviamente, poi, c'è quel quid che solo un videogioco nipponico può restituire e che è sempre più raro nell'industria attuale: da solo vale l'acquisto per gli appassionati.

La cura maniacale del dettaglio, i personaggi squisitamente sopra le righe, i dialoghi mai banali e un design che riesce a far convivere la palette cromatica da zona di guerra con spine dorsali blu elettrico e katane rosso fluo, assieme al Tarantiniano senso di Kojima per la citazione costante e per la regia di classe, sono elementi ovviamente presenti in Revengeance, che di certo non fa brutta figura per quanto riguarda lo stile dell'opera.

Insomma, nonostante i difetti, forse dovuti alla gestazione travagliata e alla voglia di stupire a tutti i costi, l'avventura solista di Raiden regala comunque bei momenti, presentando un'idea “nuova” che funziona (leggasi "meglio di Afro Ninja") e la vagonata di stile che sicuramente ci si aspetta da un action nato nella terra del Sol Levante. A conti fatti, si può dire che l'unica colpa di Metal Gear Rising: Revengeance sia quella di non essere l'inappuntabile capolavoro che ci si aspettava, finalmente capace di dare lustro una volta per tutte alla figura di Raiden.

Ho giocato a Metal Gear Rising: Revengeance su Xbox 360, perché forse la versione PS3 sarà stata anche meglio, ma usare quei grilletti è pura follia. Ricordo ancora i crampi alle mani per le parry di Bayonetta e proprio no, guarda. Comunque, se siete dei nippomaniaci dovete comprarlo, poche storie.

Voto: 7

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