Old! #40 – Novembre 2003
Old! è esattamente quella stessa rubrica che da vent'anni vedete apparire su tonnellate di riviste o siti di videogiochi. Quella in cui si dice "cosa accadeva, nel mondo dei videogiochi, [inserire a piacere] anni fa?" Esatto, come su Retro Gamer. La facciamo anche noi, grazie a Wikipedia, pescando in giro un po' a caso, perché siamo vecchi nostalgici, perché è comoda per coprire il sabato e perché sì. Ogni settimana, anni Settanta, Ottanta, Novanta e Zero, o come si chiamano. A volte saremo brevissimi, a volte saremo lunghissimi, ogni singola volta si tratterà di una cosa fatta senza impegno, per divertirci assieme a chi legge, e anzi ci piacerebbe se le maestrine in ascolto venissero a dirci "oh, avete dimenticato [inserire a piacere]".
Oggi si parla di novembre del 2003 e, com'è facile immaginare, dopo tre episodi di magra per la rubrica, ci sarebbero circa ottocentomila giochi da menzionare. Ragion per cui faccio una cernita del tutto arbitraria delle cose di cui parlare. Se poi proprio qualcuno ci tiene ad assalirmi a botte di “Ma nooo!!!111!!1 Hai dimenticato [inserire a piacere]”, i commenti stanno lì per quello. Quindi, insomma, cominciamo e cominciamo con un gioco di cui probabilmente non importa niente a nessuno: True Crime: Streets of L.A.
Perché parlare del primo episodio di una serie mediocre della quale un giorno non si ricorderà più nessuno? Beh, così, perché mi va. True Crime è il tentativo targato Activision di salire sul carrozzone dei giochi criminali open world, figlio dei tempi in cui chiunque provava a proporre una qualche rilettura del modello Grand Theft Auto. I cocci di quegli anni sono ancora in giro sotto gli occhi di tutti e, a conti fatti, forse, Saints Row è il suo rimasuglio migliore. La seconda uscita, True Crime: New York City, finisce per vantare una qualità forse superiore, ma le vendite non sono comunque strepitose e il brutto periodo per i prodotti “di mezzo” degli ultimi anni porta Activision ad abortire successivamente il progetto True Crime: Hong Kong. Per fortuna, però, il team di sviluppo non si arrende, Square Enix decide di metterci i soldi e noi ci ritroviamo fra le mani l'ottimo Sleeping Dogs. Poteva andare peggio, no?
Molto, ma molto, ma molto più interessante è il primo dei due giochi Ubisoft usciti a novembre 2003 che vado a menzionare oggi, vale a dire Prince of Persia: Le sabbie del tempo. Sei anni dopo il complicato progetto The Last Express, Jordan Mechner torna a mettere le mani in prima persona nello sviluppo di un videogioco, assieme al team già responsabile del primo Tom Clancy's Splinter Cell, e spazza via dalla nostra memoria gli incubi legati al primo tentativo di portare Prince of Persia nella terza dimensione. Le sabbie del tempo, infatti, è un gioco splendido, moderno, intelligente nel modo in cui adatta i concetti base della serie alla diversa gestione degli spazi, divertentissimo nell'utilizzo dei balzi temporali e perfino graziato da una narrazione neanche poi così banale, soprattutto con un finale a modo suo toccante. In più, si concede anche il lusso di una sezione, subito prima della parte finale, che omaggia con affetto il gameplay intransigente degli episodi bidimensionali. Meglio di così, giusto un Lucano.
Prince of Persia: Le sabbie del tempo è, semplicemente, un gioiello, uno fra i giochi più riusciti di quel periodo, un raro caso di classico del passato “aggiornato” con gusto e uno fra i primi esempi della nuova ondata di titoli occidentali che da lì a qualche anno avrebbe finito per dominare il mercato. Ricordo che all'epoca Hideo Kojima riuscì a sintetizzare (non il suo forte, per altro) la cosa in maniera perfetta: “Sembra un gioco giapponese.” Già, sembrava un gioco giapponese. E all'epoca, un'affermazione del genere aveva un significato ben diverso da quello che avrebbe oggi. Il pubblico, per altro, apprezza e Ubisoft si trova improvvisamente fra le mani una nuova serie di successo, che andrà a generare altre quattro uscite (senza contare le edizioni portatili) e offrirà fra l'altro finalmente a Jordan Mechner l'opportunità di lavorare su un grosso progetto cinematografico, con l'adattamento per il grande schermo del suo gioco più famoso. Dando vita, per altro, a un film non eccezionale, ma tutto sommato più riuscito – e sicuramente di maggior successo – rispetto a tanti altri film videoludici. Fra l'altro, in un certo senso, Prince of Persia è ancora oggi una fra le saghe più famose e vendute del pianeta: Assassin's Creed, prima di cambiare faccia “in corsa”, era nato proprio come progetto per un rilancio della serie.
L'altro giocone targato Ubisoft di quel novembre 2003 è Beyond Good & Evil, titolo amatissimo dai suoi fan, ma che non riesce a riscuotere successo pari a quello di altri marchi del publisher francese, tant'è che ancora oggi, dieci anni dopo, siamo qui che ci trasciniamo dietro i deliri di Michel Ancel sul fantomatico seguito. Peccato, perché quella specie di rivisitazione occidentale (anzi, francese) di The Legend of Zelda è davvero un altro gioiello (ma quanto mi stava più simpatica, Ubisoft, in quegli anni?), pieno di idee e di cose da fare, ricco, profondo, forse non originalissimo in molti suoi aspetti, ma stra-azzeccato nella capacità di costruire un mondo e raccontare una storia al suo interno.
Insomma, la verità è che Beyond Good & Evil avrebbe meritato destino migliore. Anche perché, parliamoci chiaro, se siamo arrivati a giocare il terzo episodio di True Crime, seppur sotto falso nome, vi pare giusto che non si sia mai visto il seguito delle avventure di Jade e Pei'j? No, non è giusto, c'è poco da discutere. E invece ci siamo dovuti accontentare della riedizione HD, come da trailer che agevolo.
Ma a novembre del 2003 escono diversi altri giochi dagli esiti decisamente più fortunati, perlomeno sul piano delle vendite e del generare cento e mille e più seguiti negli anni a venire. Su Game Boy Advance arriva Mario & Luigi: Superstar Saga, che recupera il filone errepiggistico dell'idraulico baffuto nato addirittura ai tempi del Super NES e inaugura una serie viva ancora oggi su Nintendo 3DS. Su GameCube arriva invece Mario Kart: Double Dash!!, ennesima incarnazione del gioco di automobiline che vanta più tentativi d'imitazione. L'episodio del cubetto, a onor del vero, non viene esattamente inquadrato come il più riuscito della serie, ma insomma, è comunque un gran divertimento per milioni di persone.
E a proposito di giochi inquadrati più o meno bene, a novembre del 2003 si manifesta anche Final Fantasy X-2, primo episodio della serie pubblicato dalla neonata Square Enix, primo episodio della serie a fare da seguito diretto di una precedente uscita, secondo molti definitivo spartiacque che segna l'imbarbarimento di una saga storica. Che poi, diciamocelo, a molti dava semplicemente fastidio vedere Yuna che si esibiva nei concertini J-pop. E per oggi chiudiamo qui. Anche perché, se dovessi parlare di altro, tipo, che so, il cinema, mi toccherebbe citare Matrix Revolutions. No, dico.