Per Broken Age non serve una recensione, ma la posta del cuore
Scorrendo i titoli di coda del primo atto di Broken Age, non ho potuto fare a meno di pensare che non volevo nemmeno cominciarlo. Ho pagato il mio codice più di quanto costa su Steam già l’anno scorso (and all I’ve got was this lousy t-shirt), mi sono trattenuto dal guardare i piccoli documentari sullo sviluppo che mi venivano recapitati via mail, e quando il mio codice del gioco è arrivato, in anticipo di qualche giorno rispetto all’uscita su Steam, mi sono detto che quasi quasi avrei aspettato anche il secondo atto, per giocarlo di botto, ché i videogiochi a episodi ultimamente mi causano insofferenza... poi, però, è arrivata una sera con tre ore a disposizione e ho ceduto: troppa voglia di vedere il lavoro di Schafer, troppa voglia di puntacliccare qualcosa, troppa voglia di rivivere, anche non del tutto, quelle belle sensazioni e quei bei ricordi legati alle avventure LucasArts. E, beh, durante lo scorrere dei titoli di coda, mentre cercavo Ugo senza trovarlo (ma c’è, ho solo bisogno di nuovi occhiali), ho finito per metabolizzare quelle tre ore, ripensando ai personaggi, alle trovate, alla rinfrancante bellezza visiva e quasi sensoriale, e ho realizzato che se mi fossi dato ascolto, e non avessi cominciato e finito adesso il primo atto di Broken Age, me ne sarei sicuramente pentito con l’uscita del secondo.
Perché Double Fine sembra aver pescato il suo gioco da un universo parallelo, in cui la fine ingloriosa del periodo d’oro dei punta e clicca non è mai avvenuta e in cui Broken Age è l’ennesima punta di diamante di uno studio capace di conquistare il cuore di tutti, avventura dopo avventura. Strutturalmente, la nuova avventura di Tim Schafer si propone con una freschezza quasi dimenticata, fatta di personaggi adorabili e picchiatelli, ambientazioni gustose e curate al dettaglio, un accompagnamento musicale mirabile e, soprattutto, la capacità di far sorridere con una battuta o un enigma, mentre si sta raccontando una storia interessante e coinvolgente. OK, gli enigmi, rispetto a quell’epoca lì, non sono né ostici né spaccacervella (e forse non lo erano neanche allora e io me li ricordo tali perché ero giovane, imberbe e grassottello), ma sono comunque quanto basta per esplorare i vari quadri alla ricerca dell’oggettino perduto, o per dare modo di fare il collegamento mentale giusto per proseguire nell’avventura, e va benissimo così.
Può anche capitare, però, di ritrovarsi un attimo persi, senza capire esattamente quale sia la prossima mossa da fare, ed è qui che entra in scena la comoda possibilità di passare da un protagonista all’altro. Broken Age, infatti, segue le storie di Vella e Shay, due giovani che non si conoscono e che vivono in due mondi molto distanti: la prima è, diciamo così, una vittima della routine del suo villaggio, mentre il secondo è un ragazzo ossessivamente protetto dall’I.A. genitoriale che gestisce la sua astronave. Sebbene la possibilità di cambiare personaggio possa richiamare alla mente dei più nostalgici le meccaniche di Day of the Tentacle, in realtà le analogie finiscono qui, visto che le due storie di Broken Age possono essere completate anche singolarmente, senza la reale necessità di passare da una situazione all’altra per proseguire nelle vicende.
Io, ad esempio, ho cominciato e finito prima la parte con protagonista Vella, pescando casualmente tra le due, e, non lo nego, mi sono innamorato di più o meno tutto quello che è capitato su schermo. Colori, fatti, situazioni, enigmi (anche i due che mi hanno “paralizzato” per più di qualche minuto), accompagnamento musicale… sarà che in alcune parti è difficile non trovarci un pochino di atmosfera da Monkey Island, sarà che lo stile grafico di Broken Age si sposa meglio con questa metà del racconto che non con quella di Shay, sarà che c’è Jack Black, ma il risultato finale, semplicemente, scalda il cuore come non accadeva da parecchio.
Ovviamente, sia chiaro, anche la metà di gioco con protagonista Shay è assolutamente deliziosa, forse anche più “schaferiana” in senso stretto (qualunque esso sia) rispetto a quella di Vella, ma forse un po’ meno potente, anche per via della situazione di reclusione in cui ci si trova. Ad ogni modo, comunque, anche con il ragazzino spaziale i bei momenti non mancano di certo, soprattutto in relazione all’azzeccato finale, in cui un depistaggio tira l’altro e si finisce inevitabilmente a pensare di aver capito come andrà a finire, per poi ritrovarsi con il sorriso ebete da “Schafer t’ha fregato ancora”.
Giocare a Broken Age, in buona sostanza, è un delizioso ritorno al passato per estetica e modalità, il cui unico difetto è quello di finire sul più bello, ché c’è ancora metà della storia da raccontare e tu sei lì, arrivato alla fine, che pensavi di aver aspettato già abbastanza dall’ultima volta che hai messo mano a un gioco di Schafer, e invece niente. Ma va comunque benissimo, perché questo primo atto è la testimonianza giocabile della cura, della meticolosità e dell’amore di Double Fine per il suo lavoro e per il genere, dal momento che tutto, nel gioco, è assolutamente impeccabile e, ancora una volta, bello bello in modo assurdo… nonché tutto adattato, con i sottotitoli, anche nella nostra lingua in maniera davvero, davvero ottima.
Al di là degli spiegoni, del tono distaccato, degli omissis per non parlare della trama e delle ripetizioni inutili di roba che avete già letto o giocato, Broken Age mi ha ricordato quanto ho amato i giochi di quel signore lì e quanto sia stato brutto “perderli”, fino quasi a dimenticarli… in amore è meglio aver amato e aver perduto, certo, ma fortunatamente Broken Age è un amore che ritorna e ti dà un caldo abbraccio ristoratore, che rimette in pace col mondo e dà la consapevolezza che certe cose vanno godute sul momento, ché sono più belle così.
Davvero, giocatelo, non vi serve una recensione. Ho giocato a Broken Age in ritardo, l’ho pagato tanto, ho avuto la maglietta, Steam, PC, inglese, italiano, doppiaggio, Elijah Wood colera, tutte cose che sapete già. Tim, continua a fare avventure grafiche e non fermarti, per favore.