Racconti dall'ospizio #130: Mai prendere l’ascensore in un picchiaduro
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Guardando l’ultimo God of War e la sua capacità di amalgamare narrazione, epica, botte, paternità e arroganza visiva a secchiate sembra quasi impossibile considerarlo non solo parte di una saga che era molto diversa nei toni, ma anche solo immaginare che sia il punto più avanzato di un genere, quello dei picchiaduro a scorrimento, che arriva da molto lontano e sembrava aver già detto tantissimo.
Un cammino lungo, che parte più o meno nel 1984 con Kung-Fu Master, ma io nell’84 avevo tre anni, quindi passerò direttamente a un titolo che arriva proprio quando finalmente riesco almeno ad arrivare ai controlli: Double Dragon. Avevo sei anni, il cabinato si trovava nel circoletto dove mia madre mi portava a fare judo (sì, la mia vita è stata per molto tempo un disco di Elio e le Storie Tese) e mi erano concesse una partita prima e una dopo. L’amore vero però, quello che fa dilatare le pupille e battere forte il cuore arrivò dopo, quando il genere cominciò a spiccare il volo, raffinandosi e diventando una sorta di collage pop appiccicato su un’ambientazione di fondo.
Ecco dunque Final Fight, che mescola Guerrieri della notte, il wrestling che guardavo alla TV e ti ricorda tanto Street Fighter (capirai poi perché), Golden Axe che offre il brivido di cavalcare un drago o addirittura evocarlo (quelli bravi usavano il nano, sappiatelo) e poi Streets of Rage, che sta a Final Fight come un Negroni sta a un Americano. The Punisher, Cadillacs & Dinosaurs, Battletoads e le sue odiose sezioni di guida, quello sugli X-Men, sulle Tararughe Ninja e via così, fino all’avvento della terza dimensione che inizialmente rese tutto più legnoso, per poi esplodere in capolavori come i vari Ninja Gaiden, Devil May Cry, Bayonetta, giochi che forse hanno poco a che fare con i turbamenti paterni di Kratos ma che in fondo conservano alcune idee e cliché che arrivano dritti dritti dall’epoca degli arcade.
Ci sono infatti alcune regole fondamentali dei picchiaduro a scorrimento, non tutte devono essere rispettate allo stesso tempo, ma le troverete quasi sempre, come un’inquadratura ravvicinata dei piedi di una donna nei film di Tarantino.
Tendenzialmente in questi giochi la storia prevede che te la cavi da solo, perché la polizia è corrotta, perché sei l’unico che vede i mostri, perché è così che deve andare. Al massimo puoi avere qualche amico al tuo fianco... ma l’epica non vive di scontri alla pari, quanto più di eroi che si arrampicano sui corpi di molti nemici. Anzi, in alcuni casi l’abbondanza di nemici è fondamentale per inanellare quella combo da cento colpi che stai inseguendo da giorni.
Fondamentale è l’ambiente: se il contesto è urbano non deve mancare un livello in una metropolitana, perché i Guerrieri della Notte sono sempre là come una sorta di faro lontano tutto capigliature afro e bottigliette sbattute. Imprescindibile anche il fatto che nella maggior parte dei casi devi attraversare veramente tanto spazio per arrivare fino alla fine, che sia Manhattan o il Walhalla cambia poco. Devi fartela a piedi quartiere dopo quartiere, menando la gente con tubi di ferro o lanciandogli contro dei barili e guardando sempre o a destra o a sinistra, mai in alto o in basso. Le armi da fuoco sono quasi sempre bandite e usate solo da cattivi particolarmente duri, proprio perché "scorrette".
Una delle cose più pericolose in un gioco di questo tipo è prendere l’ascensore, che di solito non sarà una semplice cabina che sale, ma una sorta di grande elevatore che si muove con estrema lentezza e sul quale ovviamente cadranno dell’alto dei nemici a ondate. Alla faccia della sicurezza sul lavoro. Il tema dell’ascesa, d’altronde, nei beat em’up è forte almeno quanto quello dello spostamento orizzontale. I supercattivi tendono a stare in roccaforti, grattacieli, montagne: l’importante è salire, elevarsi e farli cadere.
Così come Tolkien ha definito il concetto di “party” fantasy, così Final Fight e soci hanno creato un archetipo che è stato copiato, stravolto, mescolato e riproposto migliaia di volte. Protagonista di tutto è lui: il "tizio che mena", che di solito viene anche definito "tizio con caratteristiche medie", perché al suo fianco ci sono quasi sempre "gli amici del tizio che mena" e che normalmente sono uno molto più grosso e forte, ma anche più lento, e uno molto veloce ma anche molto meno bravo a incassare i colpi.
Da questo punto di vista proprio Final Fight è probabilmente uno dei canovacci migliori: non solo ha corroborato la tradizione dei tre personaggi, ma ha anche previsto il futuro. Mike Haggar è infatti un ex-wrestler che ha intrapreso la carriera politica, proprio come il lottatore Jesse "The Body" Ventura.
A volte nel team entravano anche figure meno convenzionali, bambini alla guida di mech, mostri, anche ragazze, ma all’epoca “quelle” giocavano quasi solo a Puzzle Bubble e nessuno avrebbe mai messo in discussione la propria mascolinità scegliendo una donna, solo Chun-Li sfuggiva a questa legge. In compenso si era liberissimi di menarle, perché ti venivano contro armate di frusta. Ma dei nemici parleremo poi.
Personalmente, vuoi per immedesimazione, tendenvo sempre a preferire il personaggio massiccio, perché più energia voleva anche dire inserire più tardi un'altra moneta. Ecco, a proposito di energia, nessuno c'ha mai spiegato il dilemma della super mossa. Perché quel colpo che di solito veniva eseguito premendo tutti i tasti assieme e permetteva di menare a 360° consumava energia? Dai cazzo, sei un lottatore muscoloso e in salute, mi vuoi dire che è così faticosa? Mi stai dicendo che puoi sollevare un barile sulla testa ma se giri su te stesso rischi di morire? Sotto questo punto di vista era molto meglio Golden Axe e le sue pozioni, almeno in quel caso la mossa speciale colpiva tutti i nemici sullo schermo senza pregiudicare la salute.
Sempre a proposito della salute, ma quale messaggio sarebbe quello di farci mangiare un pollo intero fumante appena uscito da un bidone dell’immondizia? Eppure siamo ancora là, abbiamo solo sostituito i polli con dei “globi di salute” e altre amenità. Ma non fatevi ingannare, dentro quei globi c’è un tacchino con la pelle croccante!
Ma in fondo cosa saremmo noi amanti dei picchiaduro senza centinaia di sgherri che ci assalgono educatamente a gruppi di tre o quattro? Tendenzialmente per capirne la pericolosità basta seguire una regola non scritta: più sono vestiti strani più fanno male.
I primi scontri sono fatti per farti scaldare un po’ le mani: punk, barboni, scappati di casa, gente senza arte né parte disposta a prendere qualche pugno in cambio di una paga da fame, i freelance della scazzottata, ma più si va avanti più le cose si fanno complesse. E dunque via con ninja iperattivi che lanciano stellette, uomini con la cresta che leccano i coltelli come se fossero a casa di Kenshiro, donne dalla dubbia morale dotate di frusta, enormi uomini pelati e baffuti, robot che esplodono quando muoiono, lanciatori di coltelli, motociclisti che passano il tempo a fare avanti e indietro finché non ci colpiscono, wrestler scopiazzati da quelli in TV, sperando che nessun legale ci faccia caso, panzoni vinti dal colesterolo incredibilmente agili, demoni, alieni, dinosauri, divinità risorte, scheletri, anime perdute, gente che arriva volando, altri che fanno avanti e indietro con le moto e soprattutto quelli odiosi che parano ogni colpo e ci vuole una settimana per mandarli giù.
Tutta gente che affrontavi livello dopo livello e poi ti ritrovavi mescolata nel finale, quando ormai gli sviluppatori avevano esaurito le idee ed erano in piena impepata di cozze mentale. Ma te non importava l’importante era menarli tutti, pollo dopo pollo, tubo di ferro dopo tubo di ferro, mentre ancora ti chiedevi “ma perché la supermossa mi fa perdere energia?”.
Questo articolo fa parte della Cover Story su God of War, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.