Pokémon Go, qualcuno ci gioca ancora
Sembra sia passato un secolo, da quando ci si ritrovava sui navigli per andare a fare il pieno di Magikarp, col pensiero che fosse impossibile riuscire a far evolvere il migliore in un Gyarados; quel Gyarados tanto agognato, con cui saresti salito in cima alla pseudo classifica dei migliori giocatori del circondario: una classifica costruita esclusivamente da congetture personali, sensazioni e calcoli matematici completamente campati per aria. Era un periodo in cui Pokémon Go ancora non era disponibile sugli App Store italiani, ma comunque si faceva gli “hackerozzi” per trovare il modo di scaricarlo, ritrovandosi poi a bestemmiare in coro perché, ovviamente, erano attivi solamente i server americani (o forse asiatici) e quindi nessuno riusciva ad entrare in gioco alla sera. Era un periodo in cui ci voleva un attimo per restare a secco di Pokéball, nonostante fossero praticamente l’unica cosa che poteva uscire dai Pokéstop. Era un periodo in cui ci si crogiolava nel dubbio se buttare ‘sto euro per shoppare altre Pokéball con cui catturare l’ennesimo inutile Pidgey, pensando che dietro l’angolo sarebbe potuto spuntare Mew in qualunque istante. Momenti passati ad avere l’ansia per utilizzare - oppure no - gli Aroma, perché nessuno ne aveva capito l’effettiva efficacia (ma pure ad oggi non è che mi sia chiarissima), ma ogni volta speravi che arrivasse un’ondata di Pokémon rari, pronti a farsi catturare senza un perché. Ma anche momenti passati a rimuginare su quando potesse essere il miglior momento per usare quel Fortunuovo che sì ti faceva fare il doppio dei punti esperienza, ma quei punti ti facevano salire pian piano di livello senza che la scalata al level cap portasse effettivamente a dei benefici tangibili, al di fuori della solita gara a chi ce l’ha più lungo.
Era il 6 luglio del 2016, quando tutto ebbe inizio per me, nonostante il marzo precedente avessi fatto richiesta di prendere parte al test preliminare tenutosi in Giappone, solo per ricevere la mail di conferma nel momento in cui ho rimesso piede a Malpensa, dopo due settimane di vacanza nel Kansai. Anche se chi bazzicava la community di Ingress (gioco precedente dello sviluppatore Niantic, che ha dato il via ai giochi che mescolano il muoversi nel mondo reale per fare cose in quello virtuale) avesse già fiutato la portata stratosferica di Pokémon Go, in pochi al tempo riuscivano a capire quella che sarebbe potuta essere la portata dell’applicazione, della quantità di gente che per lo meno l’avrebbe provata e del risvolto mediatico negli anni a seguire. Ma non stiamo parlando di un gioco dall’ospizio, bensì di qualcosa che ancora oggi è radicato e presente nella vita quotidiana di molte persone, anche se non ve ne rendete conto.
Ebbene sì, c’è ancora chi gioca a Pokémon Go, sia all’estero che in Italia. Dal luglio di due anni fa, il gioco ha subito così tanti aggiornamenti che pian piano l’hanno trasformato in qualcosa di completamente diverso, come piace dire ai titolisti. Nella realtà dei fatti, le meccaniche di base sono rimaste per lo più invariate e lo spirito con cui viene sviluppato è pressoché sempre lo stesso, quindi il focus è sempre sul cercare di catturare il maggior numero di Pokémon possibili esplorando il mondo. Ma attorno ad esso, ora, c’è molto di più da fare. Ovviamente, la mole di giocatori attivi non è minimamente paragonabile a quella dei primi mesi di vita, ma in modo silente, all’oscuro degli occhi di molti, ancora tantissime persone ci giocano. Per quanto riguarda l’Italia, il giocatore tipo è un uomo tra i venticinque e i trentacinque anni, con trascorsi in Ingress o una grande vena per quanto riguarda i giochi mobile competitivi, che ha molto tempo a disposizione e non disprezza l’incontro di nuove persone. Ovviamente, in molti non si ritroveranno nella descrizione, ma se c’è qualcosa che ho scoperto in questi due anni è che i giocatori più incalliti di Pokémon Go non siano necessariamente persone con particolare affetto per i mostriciattoli Nintendo.
E mi metto in prima fila: ovviamente anch’io sono cresciuto guardando in TV le avventure di Ash e Pikachu mentre giocavo a Rosso e Blu (ho persino dimenticato quale dei due), ma al di fuori della prima generazione, per me, è il buio totale. Non so i nomi, non riconosco le facce, non ho idea di che genere siano né tanto meno che attacchi o possibili evoluzioni abbiano e non sento un particolare stimolo a scoprirne di più. Eppure, ogni giorno devo farmi quei due chilometri a piedi, in cui solitamente ascolto podcast e metto a repentaglio la batteria del telefono giocando a Pokémon Go: si fa schiudere qualche uovo, si prendono le caramelle del Pokémon compagno, si tocca qualche Pokéstop qua e là (nonostante la borsa sia costantemente piena), oppure si mandano/ricevono un po’ di pacchi amicizia. Allo stato attuale, Pokémon Go è un gioco molto più interessante da giocare da soli rispetto a quanto lo fosse in passato. Diventa quindi più facile tirare fuori il telefono e “farsi una partitella” mentre ci si sposta da un punto A a un punto B, anche solo per avere la sensazione di stare ottimizzando il tempo e di provare ad andare avanti nel completamento del Pokédex o delle Avventure, che ora danno al gioco uno scopo molto più a lunga durata al gioco.
Nella mia esperienza nel circondario milanese, i giocatori “seriali” di Pokémon Go si organizzano tramite chat sui vari servizi di messaggistica (tendenzialmente Telegram), si ritrovano per fare un raid e da lì decidono se trascorrere la giornata assieme passando da un Raid all’altro o andare ognuno per la propria strada. Visto il numero sì consistente, ma comunque esiguo, di giocatori milanesi, l’organizzazione si rivela fondamentale per poter affrontare i Pokémon Leggendari più tosti. Specialmente ora che è possibile catturare Mewtwo nei raid, cosa che fino a poco fa era possibile solamente se: 1. si vinceva un raid in una specifica palestra, che però non veniva indicata; 2. si riceveva un invito per un raid speciale, che si sarebbe ovviamente tenuto mentre avevi altri impegni inderogabili; 2. se Plutone si allineava con proiezione astrale di Nettuno nelle notti di luna a tre quarti. E questo è un fattore che ha inoltre fatto tornare molti giocatori, visto è ora è possibile catturare tutta la prima generazione senza dover partecipare ai sopracitati Raid Speciali.
La questione è leggermente diversa in Giappone. Come probabilmente saprete, a Tokyo (luogo da cui posso riportare i fatti per testimonianza diretta) la densità della popolazione è impressionante e, di conseguenza, è molto più facile trovare persone che giochino a Pokémon Go, anche solo per una mera questione statistica. Ad ogni modo, resta sempre impressionante camminare per strada e ritrovarsi di fronte ad un gruppo di venti, trenta o forse più persone che riempiono un vicolo o una piazzetta ma non interagiscono tra loro, sono completamente immerse nei propri telefoni. Lo spettro del giocatore medio giapponese è più variegato: si va dal ragazzo intorno ai vent’anni, fino a vecchietti con i bigini scritti a mano, che probabilmente superano i sessanta, passando per i classici salaryman che, pure in metropolitana, durante quello che probabilmente è l’unico momento libero della loro vita, cercano di perpetrare la caccia, nonostante il gioco impedisca di farlo mentre si è su mezzi di trasporto.
A supportare una mole più consistente di giocatori, c’è anche una quantità maggiore di punti d’interesse: qui la densità di palestre e Pokéstop è indubbiamente maggiore di quanto si può vedere anche solo a Milano. Più in generale, a Tokyo la vita esiste sostanzialmente nei cinquecento metri di raggio dalla stazione della metropolitana più vicina. Di conseguenza, in città, è quasi difficile trovare spazi vuoti, ma già spingendosi leggermente in periferia, è possibile finire in zone in cui gli esercizi commerciali spariscono e il tutto diventa una generazione procedurale di abitazioni dal dubbio gusto architettonico, nelle quali vivono le persone che non possono permettersi l’affitto in un posto decente, tipo il sottoscritto. Tutto questo non è per spingervi a donare tramite il Patreon di Outcast, perché tanto non riceverei nulla (ma voi fatelo comunque, che altrimenti viene Talarico ad importunarvi nel sonno), ma perché anche in queste zone è possibile ritrovarsi a fare un raid con altre quattro o cinque persone alle 12:00 di un giorno feriale: coincidenza di luogo e tempo in cui nessun’anima viva dovrebbe essere in quell’area. Negli ultimi anni, i giapponesi sono sì diventati estremamente più sensibili al gioco su smartphone, abbandonando pian piano le console, ma è difficile trovare un altro gioco che venga utilizzato così assiduamente, da una mole consistente di giocatori, che si può vedere ancora riempire le strade a più di due anni dal momento in cui è arrivato in commercio.
Se volessimo tirare un parallelo tra le due realtà prese in considerazione, in sostanza, la grossa differenza con l’Italia è che in Giappone o, per meglio dire, a Tokyo, non c’è molta interazione tra i vari giocatori. Dal momento che è necessario organizzarsi per affrontare i raid più impegnativi, basta scendere in strada a farsi un giro per finire con altre decine di sconosciuti. Per il momento, cercare di prevedere quello che sarà il futuro di Pokémon Go è particolarmente difficile, visto che Niantic sta costantemente aggiornando il gioco, aggiungendo di volta in volta nuovi elementi di gameplay o nuovi contenuti, che attirano di nuovo i giocatori a lanciare Pokéball (con il recente arrivo della quarta generazione di Pokémon). Ma senza dubbio il numero di giocatori non può che diminuire col passare del tempo, quindi, prima o poi, anche Pokémon Go giungerà alla sua fine. Oppure no, magari starà in piedi per decenni come World of Warcraft. Vai a sapere.
Io, intanto, domani mattina tirerò comunque Pokéball in faccia a dei Pokémon di cui non so più neanche il nome e mi lamenterò con gli amici di quanto erano meglio i vecchi tempi in cui si era giovani. Probabilmente andando a comprarmi Pokémon Let’s Go.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai Pokémon, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.