VGB - Vecchi Giochi Brutti #12
Tutti ricordano le vecchie glorie come il non plus ultra del divertimento, ma in pochi hanno il coraggio di criticarle. Forte del suo tasso alcolico e della voglia di farsi male, aleZ riprende in mano i giochi della sua infanzia e li insulta uno ad uno.
Episodio 12 – Strider
Oggetto, o forse vittima, dell'ennesimo remake in alta definizione, Strider non è mai stato un capolavoro in senso stretto, nemmeno all'epoca della prima uscita in sala giochi. Apprezzato per l'eccezionale design più che per il gameplay, il gioco d'azione Capcom è stato una fra le “meteore” più brillanti ed evanescenti dei tardi anni '80.
La struttura di gioco era quella classica degli action game a scorrimento, ma inserita in un contesto fantasy-futuristico perfettamente delineato a livello visivo. Merito delle origini ancorate ai fumetti giapponesi e della spada potenziabile che rappresentava l'unica arma a nostra disposizione. Mentre la concorrenza si concentrava su soldati e picchiatori, in Strider vestivamo i panni di un acrobata e parte del divertimento iniziale stava proprio nel combinare i fendenti a capriole e scivolate.
Arrivando dalle sale giochi, non poteva vantare la profondità dei titoli sviluppati espressamente per il mercato casalingo, ma i veri difetti erano altri. A cominciare dagli hitbox inaffidabili, che rendevano le collisioni con i nemici un terno al lotto. Basta una partita su un qualsiasi emulatore per capire che questo aspetto influenza in maniera critica tutto il gioco: semplicemente, si muore in maniera troppo casuale, spesso a prescindere dalla vicinanza o meno ai nemici. Un altro elemento fastidioso ma importante era la telecamera traballante, nemmeno stessimo parlando di un gioco in grafica poligonale. Nonostante la grafica bitmap e lo scorrimento laterale, capitava spesso di perdere di vista il personaggio principale e ritrovarsi con un altro Game Over inatteso.
L'audio, inoltre, era quasi assente, fatta eccezione per una manciata di effetti e musiche classiche spesso fuori luogo, a parte l'ottimo jingle iniziale, che si ascolta all'arrivo dell'eroe con il suo aliante.
A tutto questo, si somma una progettazione dei livelli originale ma spesso troppo stravagante, che in certi casi faceva da anteprima agli odierni Quick Time Event e alle sequenze filmate pseudo interattive di serie come Call of Duty. Fasi in cui non potevamo fare altro se non seguire la strada prestabilita, lasciando sul campo parecchie “vite” nel tentativo di capire quale fosse (il percorso giusto).
Di Strider, ricordo l'ottima grafica e l'eccellente caratterizzazione del protagonista – non a caso recuperato molte volte in altre produzioni Capcom. Ricordo anche le molte incazzature dovute al suo livello di difficoltà piuttosto sadico, accentuato dai difetti strutturali di cui sopra. Ovviamente si parla della primissima versione di fine anni '80 uscita in sala giochi e arrivata successivamente su Megadrive, non delle più moderne apparizioni su PlayStation.
Con l'occhio critico potenziato da questa rubrica, osservo Strider e vedo un classico della categoria “lo stile prima di tutto” così popolare ai giorni nostri. Tant'è che, esteticamente, fa ancora una discreta figura a oltre vent'anni dal lancio. Ma una volta preso in mano, dimostra tutti i suoi limiti, ed è difficile continuare per più di dieci minuti senza aver già esaurito il proprio catalogo di imprecazioni.
Anche perché in dieci minuti si può pure finirlo, ma non giriamo il coltello nella piaga...