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Little Men: storie di ordinaria adolescenza

Little Men è un piccolo film, semplice, diretto e senza fronzoli, che racconta una storia normale, adulta, filtrandola attraverso il punto di vista dei giovani. Parla di gente qualunque, alle prese con problemi ordinari, ma che diventano tragici per il modo in cui vanno a colpire la vita delle persone. E lo fa senza emettere giudizi o provare a spingerti da una parte o dall'altra: c'è un conflitto, ci sono delle persone messe in situazioni difficili, c'è una faccenda che inevitabilmente ognuno finisce per valutare alla sua maniera, ma nella quale è difficile decidere chi abbia ragione e chi abbia torto. E nel mezzo ci sono due ragazzini che stanno crescendo e devono iniziare a decidere cosa fare della propria vita, mentre la vedono sballottata dalle decisioni degli adulti senza aver alcun potere al riguardo.

La storia racconta di una coppia di genitori (lui attore squattrinato, lei psicoterapeuta) che si trasferisce col figlio nell'edificio di proprietà del nonno appena venuto a mancare e si ritrova a dover gestire (assieme alla sorella di lui, che chiaramente è anch'essa ereditiera) il locale al piano terra, dato in affitto a una signora (con figlio) la cui attività commerciale non riesce a stare dietro alla gentrificazione del quartiere. Manca il lavoro, servono i soldi, ci sono le esigenze di fratello e sorella a dettare le decisioni, bisogna alzare l'affitto del posto ma farlo significa sostanzialmente cacciare la donna, che non se lo può permettere. I rispettivi figli, inconsapevoli del dramma che si sviluppa sopra alle loro teste, si conoscono, stringono una forte amicizia e condividono i loro sogni di vita. Ed è tutto qui, per un'ora e mezza scarsa di film deliziosa, intelligente e toccante.

Ira Sachs mette in scena le vicende con un taglio incredibilmente verace e credibile, appoggiandosi su un cast eccellente, con due giovani attori dalla bravura e dalla naturalezza pazzesche, adoperando un approccio asciutto e proprio per questo dalla grande forza emotiva. La sua Brooklyn non è una cartolina per turisti, ma un contesto metropolitano vicino alla realtà, in cui la gente si arrangia nei suoi piccoli appartamenti e arranca cercando di tenere il passo con tutto quel che cambia attorno alla propria vita. E l'amicizia che fa da filtro alle vicende ha tutto il peso dolce, intenso, amaro, straziante di un momento fondamentale, ma a conti fatti fugace, nella vita di due giovani persone, vittime collaterali di una piccola guerra a cui sono state invitate senza che l'avessero chiesto. Bellissimo.

Sta uscendo a spizzichi e bocconi in giro per il mondo e io me lo sono visto qua a Parigi, ma per il momento non sembra esserci ancora una data riguardante l'eventuale distribuzione italiana. Secondo me arriva, però, oh, vai a sapere. Fun fact: qua in Francia l'hanno intitolato Brooklyn Village.