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Dead Island Definitive Collection: zombi e più zombi

Techland, grazie all’originale Dead Island, riuscì nel lontano 2011 a far breccia nei cuori degli appassionati di genere horror. Lo sviluppo di uno pseudo sequel, Dead Island: Riptide – accomunabile più ad una maxi espansione che a un vero e proprio seguito – non riscosse altrettanto successo, pur consolidando il brand e proiettando gli sviluppatori verso nuovi putrescenti progetti. Non poteva quindi mancare il consueto remaster per le console odierne (che forse sono già vecchie, ma questo è un altro discorso). La Definitive Collection, oltre a riproporre entrambi i giochi in versione migliorata e con tutti i DLC pubblicati, aggiunge anche un endless runner in stile retrò, tanto per fare un po’ di scena.

La struttura di gioco è nota perfino ai sassi, ma visto che il pubblico di Outcast è piuttosto eterogeneo, ignoreremo le pietre e ci prodigheremo in spiegazioni per tutti gli altri. In entrambi i titoli si prende il controllo di uno dei cinque sopravvissuti all’epidemia zombi. Il nostro obiettivo è quello di sopravvivere e nel mentre, se possibile, trovare un modo per fuggire dall’isola. Dead Island è una sorta di action RPG in prima persona, con forti connotati da picchiaduro e una grande enfasi sull’utilizzo di armi corpo a corpo.

Bisogna arrangiarsi con quel che c’è per allontanare la putrida marmaglia.

Un elemento cardine del titolo è la capacità di infierire sui nemici colpendo diverse parti del corpo: le braccia si tagliano, le gambe si spezzano e la massa zombi può subire ogni sorta di smembramento, tuttavia l’inferiorità numerica non è certo d’aiuto e spesso è preferibile una strategica fuga a un assalto a testa bassa. Le armi di fortuna trovate in giro hanno una durata limitata e tendono sovente a rompersi. Naturalmente è possibile ovviare al peggio riparandole e potenziandole presso appositi banchi di lavoro. Entrambi i titoli hanno una forte componente ruolistica, con alberi d’abilità da riempire, materiali da raccogliere e oggetti da costruire: crafting, looting e compagnia cantante.

Occhio ai più brutti: solitamente sono anche i più bastardi.

Questo remaster, pur arrivando dopo l’eccellente Dying Light sviluppato dagli stessi Techland, ha sicuramente un vasto pubblico di riferimento. Chi ama il genere e non ha avuto modo di provare gli originali può tranquillamente ponderarne l’acquisto. Nel caso voleste solo uno dei due titoli, è possibile acquistarli singolarmente in versione digitale.

Visivamente sono state fatte diverse scelte tecniche e stilistiche – quest’ultime non sempre felici – per aumentare l’orizzonte visivo o la resa degli effetti particellari. In linea di massima si è preferito eliminare o ridurre gli effetti di bloom e le sfocature in generale, intervenendo sulla definizione delle texture, gli effetti di luce ricreati ex-novo e la rifinitura degli elementi più spigolosi, personaggi in primis. L’effetto finale è certamente gradevole, ma alcuni espedienti visivi donavano al gioco un aspetto più cinematografico, in luogo di una resa un po’ asettica di questo remaster rispetto al design originale. Per contro il blur è a tratti eccessivo, mostrando una linea di ristrutturazione grafica non sempre coerente e omogenea.

Mazzate a colpi di rap. Yo.

Dove la collection guadagna una bel po’ di punti e nella stabilità del frame rate. In molti si aspettavano i 60fps, richiesta tutto sommato lecita, ma alla fine si è optato per i 30, anche in virtù della modalità co-op e per la natura open world del titolo. Nonostante tali accortezze, la versione Xbox One, soprattutto nel seguito Riptide, mostra qualche episodio di stuttering.

Nulla di eclatante o che infici la giocabilità, ma l’amaro in bocca rimane in ogni caso. Dead Island Definitive Collection è una creatura bizzarra, anomala, figlia del suo tempo. Con giochi simili e decisamente superiori a disposizione, come il già citato Dying Light, è difficile consigliare questa edizione a cuor leggero.

Gang bang necrofila: il massimo della perversione.

Chiunque abbia già avuto gli originali può volgere tranquillamente lo sguardo altrove.
Chi invece è ancora voglioso di affettare mostruosità assortite e non ha problemi di fronte a una resa visiva solo discreta, può passare all’acquisto senza tanti patemi. In regalo con la collection abbiamo pure un bidimensionalissimo Dead Island Retro Revenge: Si tratta di un mini-game in stile 16 bit che pareva volesse scimmiottare i classici picchiaduro a scorrimento degli anni ’90 e che invece si è rivelato un blando endelss runner con mobilità limitata, basato perlopiù sui riflessi.

È difficile non cogliere la natura “opportunista” di Dead Island Definitive Collection che si limita a fare il compitino senza eccessive sbavature; allo stesso modo è impossibile ignorarne le qualità, soprattutto in termini di contenuti e prezzo accessibile. Le linee guida e i postulati da seguire, tuttavia, credo siano piuttosto palesi nell’outcastiana recensione: a voi la scelta.

Ho giocato a Dead Island Definitive Collection per Xbox One grazie a una copia review fornitami dal distributore. Forte dell’esperienza maturata con le versioni originali su Xbox 360, ho giocato una ventina di ore in tutto, passando da un titolo all’altro per sincerarmi della bontà della riedizione. Volendoli finire per bene entrambi, potreste impiegare anche una settantina di ore.