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eXistenZ #42 – Warcraft: L’inizio

eXistenZ è la nostra rubrica in cui si chiacchiera del rapporto fra videogiochi e cinema, infilandoci in mezzo anche po' qualsiasi altra cosa ci passi per la testa e sia anche solo vagamente attinente. Si chiama eXistenZ perché quell'altro film di Cronenberg ce lo siamo bruciato e perché a dirla tutta è questo quello che parla proprio di videogiochi.

Warcraft: L'inizio risponde a una delle domande più antiche nella storia dell'umanità, un vero classico su cui ci siamo interrogati per millenni. Se un ottimo cuoco si mette a preparare un piatto utilizzando fra gli ingredienti un sacchetto di merda, sarà in grado di tirarne fuori un ottimo piatto? La risposta breve è "No". La risposta più articolata ci insegna che l'ottimo cuoco sarà in grado di tirarne fuori un piatto dignitoso, mangiabile, con qualche aroma davvero interessante, senza però riuscire a far amalgamare fino in fondo la merda con tutti gli altri ingredienti e, soprattutto, senza riuscire ad evitare che il retrogusto di merda si manifesti di continuo nell'arco di tutto il pasto e ti rimanga appiccicato al palato quando esci dal ristorante. Però, insomma, si mangia. E, anzi, se sei un profondo conoscitore di alcuni ingredienti, probabilmente ti gusti per davvero il modo in cui lo chef riesce a metterli in evidenza e magari, sì, dai, ogni tanto la merda te la dimentichi. Insomma, Warcraft: L'inizio è merda cucinata bene.

Ma, attenzione, non è la torta di merda per cui la critica più incattivita prova a farlo passare. È un piatto che mescola... no, OK, basta parlare di merda. Parliamo di Warcraft: L'inizio. Che non è proprio la stessa cosa. Sul serio. Anzi, casomai nella delicata metafora azzardata sopra non fosse passato il messaggio, lo dico chiaramente: si tratta di un film godibile, con difetti belli grossi ma che scorre via senza dar troppo fastidio (perlomeno una volta che ti sei abituato al sapore di... no, niente) e che è strapieno di rimandi, omaggi, riferimenti, strizzatine d'occhio ai videogiochi, fra inquadrature in stile RTS, mappe a esagoni, creaturine che spuntano in ogni dove e, più in generale, rielaborazione di fatti, luoghi e personaggi fin troppo noti a chi ama le produzioni di casa Blizzard. Me ne sono reso conto io che non le conosco bene, me ne ha dato conferma chi invece la materia la padroneggia. Sotto questo punto di vista, a quanto pare, Duncan Jones ha realizzato forse l'adattamento da pixel a grande schermo più fedele alla fonte, o comunque rispettoso della stessa, che si sia mai visto, e ci è riuscito senza tirar fuori lo stronzo, anzi, mettendo in piedi un film gradevole e con qualche spunto azzeccato, seppur banalotto, visivamente interessante più nella ricerca stilistica che nella messa in scena e con un sapore narrativo povero di sale. E giuro che adesso la smetto coi paralleli culinari.

Dal punto di vista dell'adattamento, forse, l'aspetto più interessante sta nel taglio visivo del film, in una scelta magari resa obbligata dal materiale d'origine, ma comunque per certi versi coraggiosa. Warcraft: L'inizio, soprattutto, ehm, all'inizio, è un film dall'impatto stranissimo. Sembra di stare guardando una cutscene di un videogioco, di essere davanti a degli effetti speciali che provano ad essere credibili ma vogliono credere solo fino a un certo punto al loro realismo. E poi, in questo mondo tutto pixelloso, si inseriscono gli umani, attori in carne e ossa addobbati con armature luminose e colorate. È un paradosso visivo straniante, che cozza abbastanza nonostante il palese tentativo di normalizzare le cose rendendo più fumettosi gli attori da una parte e più fisici e credibili gli orchi dall'altra. I due mondi cozzano, tanto nella narrazione quanto dal punto di vista visivo, ma il loro matrimonio è un sapore acquisito, a cui ci si abitua nel corso del film e, tutto sommato, dopo un po' si smette di far caso. Il che, se vogliamo, testimonia la bravura di Duncan Jones, capace di infilarci in gola con lo stantuffo una roba così bizzarra anche grazie alla bravura nel raccontare in maniera gradevole una storia di poco conto.

La riuscita (discutibile, anche perché in fondo si tratta di percezione personale) di questo pasticciato frullatone visivo è in fondo una vittoria, anche considerando i punti di partenza e di arrivo. Blizzard ha sempre tratteggiato mondi visivamente sopra le righe, dal taglio spesso addirittura caricaturale, e qui bisognava non solo trasformarli in qualcosa di fisicamente credibile, ma anche mescolarli ad attori in carne e ossa, per forza di cose lontanissimi dal modo in cui gli esseri umani vengono dipinti nei giochi. Tutto sommato, nonostante il primo impatto sia ai limiti dell'agghiacciante, il risultato è ammirevole, anche nel modo in cui viene raggiunto senza rinunciare ai tratti più essenziali e assurdi del design visivo originale, che poi sono gli unici aspetti stilistici in cui questo film si distingue dalla solita visione Jacksoniana del fantasy moderno. Gli orchi, e con loro buona parte delle creature di contorno, tutto sommato funzionano, pur senza rinunciare ai tratti cartooneschi e nonostante un taglio estremamente drammatico e serioso. Ti ci devi abituare, ti rimane addosso la sensazione che in un eventuale seguito sarà molto più dura abituarsi ai bruttarelli nani e agli inguardabili elfi, ma insomma, te ne fai una ragione. In compenso, il design degli edifici e delle varie strutture è di un anonimo che la metà basta e, soprattutto, non comunica minimamente il senso di scala e imponenza che vorrebbe dare. Sembra, ehm, di guardare le strutture di un RTS.

Ah, ecco: non mi sono dispiaciuti gli effetti visivi delle magie, essenziali, puliti ed efficaci. Peccato solo che, in quella schizofrenica ricerca del terra-terra all'interno del remake di Chi ha incastrato Roger Rabbit, abbiano deciso di limitarne l'uso e tenersi l'esplosione di incantesimi per un eventuale seguito. Un Warcraft che la butta davvero per aria sul piano delle stregonerie, forse, sarebbe molto più interessante. Allego documentazione.

Ma tolte tutte le pippe mentali sul taglio visivo e su un adattamento che mi sembra ben fatto ma su cui ho relativo diritto di parola, data la mia ignoranza totale in campo Blizzard, che rimane? Rimane un film fantasy abbastanza risaputo dal punto di vista narrativo, che cerca di giocarsi qualche carta puntando sull’umanità dei personaggi e su una trattazione meno macchiettistica del solito dell’impianto politico alla base dei conflitti, ma fallisce abbastanza su entrambi i fronti. Al di là delle belle idee fantascientifiche, i primi due film di Duncan Jones (Moon e Source Code) funzionano soprattutto per la profonda umanità che i personaggi e le vicende riescono ad esprimere partendo da spunti fuori dell’ordinario. Warcraft: L’inizio ci prova, mette al centro dell’obiettivo le storie umane (e orchesche) dei tanti protagonisti e trova qua e là momenti di emozione sincera, ma finisce un po’ tutto sepolto dalla (per altro fallimentare) ricerca di grandiosità, dal macello di personaggi e dall’inevitabilità delle svolte narrative più risapute. Da qualche parte, nascosto fra i martelli da guerra e i lupi giganti, c’è un piccolo film di Duncan Jones che parla di famiglia, amicizia, rapporti umani (e orcheschi) in maniera forte, ma fatica ad emergere e viene messo da parte.

E il discorso non è molto diverso per quanto riguarda l’aspetto tanto spinto in fase promozionale, il tentativo di proporre caratterizzazioni credibili e sfumate tra le due fazioni evitando una contrapposizione manichea. È vero che il film prova a mettere orchi e umani sullo stesso piano, è vero che alla base del conflitto ci sono motivazioni comprensibili su entrambi i lati, ma a conti fatti non si riesce a rinunciare alla presenza di due villain sparati a mille, corrotti dal maligno ed evidenziati in verde luminoso, anche per mezzo di colpi di scena telefonati ore prima. Ed è vero anche che, tra le due fazioni, a conti fatti, ce n’è una che – pur con le sue ragioni di partenza comprensibili – incarna senza mezze misure il ruolo dei cattivi di turno, da cui i buoni devono in qualche modo difendersi nonostante sulle prime provino a ragionarci. In tutto questo, il senso di risaputo viene ogni tanto spezzato da alcune svolte narrative forse non del tutto prevedibili e certo figlie del fatto che Warcraft: L’inizio è chiaramente strutturato come primo episodio di una saga, prequel di un film che dobbiamo ancora vedere, ma il rovescio della medaglia sta in un senso di incompiuto e nulla di fatto grosso come una casa.

Inoltre, come ho già accennato un paio di volte, a mancare davvero sono la scala, l’epica, la grandiosità, che il film insegue disperatamente ma non trova mai davvero. Warcraft: L’inizio racconta il conflitto brutale fra due mondi e più popoli, ma sembra di guardare una piccola storia ambientata fra quattro mura. Manca il respiro, manca la capacità di mettere in scena e mostrare per davvero una mitologia ampia, che viene raccontata a parole ma sfugge alle immagini. Se Jones, da un lato, ha dimostrato di essere l’uomo giusto, perché ha lavorato con intelligenza e passione sull’adattamento e ha saputo gestire con naturalezza il passaggio dai suoi “piccoli” esordi a questa grossa produzione, dall’altro il film pare esprimere il conflitto fra la propria volontà di potenza e l'essere diretto da un regista che si trova forse più a suo agio in contesti raccolti. E alla fine se ne esce moderatamente sazi, con un fastidioso retrogusto che non se ne va dalla bocca, con la sensazione di aver mangiato in un fast food migliore del solito, ma che fast food rimane, e con la speranza che il cuoco, ora che si è tolto lo sfizio e ha staccato l’assegno, torni a fare il suo mestiere.