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Lasciarsi cullare dalle onde con Kentucky Route Zero – Act IV

C'è qualcosa di bizzarro nel metodo distributivo con cui Cardboard Computer sta pubblicando Kentucky Route Zero, e non mi riferisco ai tempi pachidermici delle uscite. Non direttamente, comunque. È il fatto che anche se fra un episodio e l'altro sono passati prima mesi, poi addirittura anni, anche se io fatico a ricordarmi quel che ho mangiato oggi a colazione, anche se quando avvio il gioco non ho assolutamente chiaro in testa dove fossimo rimasti, mi bastano pochi minuti per sentirmi a casa. In parte è la bravura nello scrivere personaggi che ti rimangono scolpiti nel cervello nonostante caratterizzazioni tutto sommato fugaci. In parte è il modo in cui Kentucky Route Zero punta tutto sull'atmosfera, sul tono surreale, sui temi e il fascino degli argomenti, più che sullo sviluppo di un intreccio a dir poco esile. In parte, magari, è solo una questione di affinità elettive. Vai a sapere.

Il punto, però, è che nonostante tutti questi mesi di mezzo fra il terzo e il quarto atto, non ho avuto il minimo problema a immergermi nuovamente in quel mondo fantastico, folle anello di congiunzione fra i mondi sommersi nelle menti malate che l'hanno partorito e un amore devastante per il paesaggio americano, per quelle meravigliose strisce di terra lontane anni luce dal cemento che domina le metropoli. D'altra parte Kentucky Route Zero parla di solitudine, di persone abbandonate a loro stesse che pian piano si incontrano e si ritrovano, di un viaggio verso la scoperta di loro stesse, del passato, del presente, del futuro e di ciò che le circonda. È soprattutto una storia di persone, raccontate attraverso una scrittura ricca, profonda, innamorata delle parole e semplicemente bella come raramente se ne vedono nel mondo dei videogiochi. Ed è forse anche per questo che ogni volta, anche se vittima di amnesia riguardo a quanto fatto prima, mi trovo immerso, innamorato e appassionato così facilmente. Kentucky Route Zero andrà certamente rivalutato nella sua interezza una volta giunto a compimento col quinto atto, e magari nel rivalutarlo ci convinceremo di essere davanti a un gioco sconclusionato, che gira in tondo senza andare da nessuna parte, che sotto tutto quel fumo nasconde ben poco arrosto. Eppure, io ne sono convinto dall'inizio e ne sono ancora più convinto oggi, se lo chiedete a me, si tratta di un capolavoro, di un gioco fondamentale e di un'opera che dice tanto su chi siamo e dove stiamo andando, come videogiocatori prima ancora che come persone. Anche se non ci si capisce un cazzo.

Il quarto atto della serie, da un certo punto di vista, pur non spostando di una virgola il mio giudizio complessivo, è forse il più debole fino a oggi. O forse no, vai a sapere, non è che mi ricordi poi così bene gli altri. A mancargli, soprattutto, sono i momenti forti che spuntavano come funghi nei precedenti, quei lampi pazzeschi di forza visiva e registica, quei momenti in cui gioco e narrazione si fondevano dando vita ad assurdità come il concerto o, ancora di più, il museo. Qui mancano un po', anche se dei lampi comunque ci sono, e guarda caso ne fa parte un altro concerto. Al di là di questo, è anche sul piano strutturale che il quarto atto sembra forse un piccolo passo indietro, o magari semplicemente paga un po' la natura da classico penultimo episodio, in cui si preme sul freno e si tirano le fila, preparando il campo per il gran finale.

L'intero atto racconta un viaggio a bordo di un'imbarcazione, replicando in parte la struttura on the road (on the river) già vista, ma fuggendo dalla libertà di movimento che in passato Kentucky Route Zero aveva saputo offrire. Il percorso, qui, è stabilito e la libertà di scelta si manifesta nelle singole tappe: ogni porto offre l'opportunità di seguire i personaggi che scendono dall'imbarcazione o di restare a farsi cullare dalle onde, decidendo quindi fra due diversi sviluppi dello spettacolo, radicalmente diversi per tono e impostazione. È una trovata semplice e che non sminuisce troppo il senso di maggior costrizione, ma le singole scelte acquistano un peso bizzarro, perché non si decidono certo le sorti del mondo ma ti rimane addosso una certa voglia di sapere cosa abbiano combinato gli altri. Eppure io indietro non ci torno, perché il mio Kentucky Route Zero è uno solo.

Si comincia così, con una proboscide.

D'altra parte il gioco di Cardboard Computer ha sempre puntato al massimo su un approccio particolare alle scelte di dialogo, tramite cui far definire il passato dei protagonisti più che il presente e il futuro, oltre che proponendo dialoghi, conversazioni, situazioni che piazzare nel reame del bizzarro sarebbe riduttivo. E in questo senso, va detto, il quarto atto parte per la tangente, perché è vero che forse mancano momenti paragonabili a i picchi cui la serie ci ha abituato, ma ogni singola tappa dei protagonisti è un piccolo microcosmo di follia, un mondo che vive di regole proprie e affascina grazie a situazioni completamente diverse fra di loro, tessere di un mosaico che costruisce il viaggio dei personaggi alla ricerca di loro stessi. Insomma, il quarto atto di Kentucky Route Zero è una roba di un bello che non ci si crede. Magari è un po' meno bello dei primi tre, o magari è solo una cosa di cui mi sono convinto perché i primi tre non me li ricordo bene, ma di sicuro è e rimane gran videogioco, imperdibile per chi ha amato la serie fino a qui, da evitare come la peste per chi l'ha odiata, in attesa di giungere al termine (magari prima del 2018).

Sto giocando a Kentucky Route Zero grazie a un codice per l’intera serie ricevuto a suo tempo dagli sviluppatori. O almeno credo, perché onestamente ormai chi se lo ricorda. Ho impiegato un paio d’ore scarse per completare questo atto, ma ci si può mettere tranquillamente di più se si fanno scelte diverse e/o ci si sofferma maggiormente su alcune parti.