Beat Cop, la dura vita del poliziotto di pattuglia
Alzi la mano chi non ha mai sognato di essere John McClane, Joe Hallenbeck o Martin Riggs. Purtroppo è anche un sogno destinato a non realizzarsi per la stragrande maggioranza di noi. Insomma, star bene e sembrare dei fighi in canotta e sporchi dalla testa ai piedi di sangue e schifezze assortite è un’abilità che pochi esseri umani possono sostenere di avere.
A parte questo, c’è sempre la soluzione virtuale, data dal passatempo preferito di chi viene da queste parti. Beat Cop, opera dei Pixel Crow già famosi per un bel nient’altro, promette di gettare il giocatore nei panni di un ex detective incastrato per l’omicidio, sembra, di un bambino di colore e costretto a ripulire il suo nome dopo che è stato declassato ad agente di strada, incaricato come una Judie Hopps più virile di far multe per divieto di sosta.
Il gioco si complica rapidamente, gettando sul giocatore incarichi molteplici con finestre temporali semplicemente insufficienti per essere affrontati tutti. La cosa diventa evidente quando nell’arco di dieci minuti si devono fare venti multe, assicurare che davanti al ristorante della mafia non ci siano auto parcheggiate, salvare il gattino di una bambina ed evitare che un’altra ragazzina finisca col cranio esploso da un pazzoide che la tiene in ostaggio. A questo aggiungiamoci che le multe abbassano la reputazione di cui si gode presso la cittadinanza (che inizia a non voler più aiutare e segnalare crimini) e che servono soldi per pagare alimenti alla propria moglie, cosa che spinge a prendere mazzette, peggiorando ancora di più la propria situazione legale e… insomma, un macello.
L’esperienza di gioco, per quanto ho potuto vedere, non è mai però realmente frustrante e stimola a trovare un ritmo equilibrato nel gestire le energie e le azioni del proprio alter ego in blu. Anche conoscere bene l’isolato da pattugliare, come se si fosse un poliziotto reale, diventa importante. Cosa si perde, però? Si perde proprio quella sensazione di essere un John McClane. Nei sette giorni concessi dalla demo (giorni di gioco, non reali) non ho mai messo mano alla pistola d’ordinanza e il tutto, più che un simulatore di poliziotto con gli attributi, è sembrato quasi un puzzle game mascherato da altro. Non è necessariamente un male, ma non è neanche proprio questa manna dal cielo.
Il risultato finale è un sistema di gioco che per quanto ho visto cattura e tiene incollati allo schermo, ma non sono sicuro che possa farlo a lungo se le meccaniche non vengono integrate in altro. Al tempo stesso, uno dei dialoghi iniziali, ma questa è una mia supposizione, fa pensare che l’intera partita dovrà essere completata entro trentuno giorni di gioco, e dato che per farne sette non partono più di un paio di ore, l’impressione che ho è che sia un gioco pensato per fare partite ripetute, magari cambiando stile di gioco e tattiche.
Il sistema funziona? Per quel che ho potuto vedere… si. Mi sono divertito e ho gradito affrontare le imprecazioni del sergente di polizia, mi sono anche divertito a vedere i vari bug del gioco, tra colleghi che improvvisamente si sono messi a parlare Polacco (almeno credo fosse polacco, non è che conosca la lingua così bene da esserne sicuro), missioni considerate fallite anche se portate a termine e superiori furiosi perché ho fatto otto multe invece di cinque. Immagino comunque che tutti questi problemi verranno risolti nelle fasi finali dello sviluppo e ora più che altro offrono uno spunto per riderci sopra.
Ho potuto anche sperimentare con una sorta di debug interno, e la cosa mi ha permesso di scoprire che le variabili sono molte. La reputazione presso le varie fazioni di gioco, soprattutto, risulta essere importante e vi è una differenza ben tangibile nelle possibilità di svolgere le missioni se si è in buoni rapporti col vicinato o se le persone sputano sul pavimento dove passiamo.
Non rimane che aspettare di vedere cosa sarà del gioco in futuro, ma per ora posso dire che ha catturato decisamente la mia attenzione e mi è sembrata una produzione assolutamente promettente.