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Mother Russia Bleeds: un macello di compagni

C’è un forte equivoco di fondo che grava storicamente sulla capoccia di un intero genere, quello dei picchiaduro a scorrimento: un sacco di gente è convinta che siano giochi stupidi, semplici, burini, in cui non devi fare altro che premere tasti a raffica e avanzare un po’ a caso. Ora, per carità, è possibile giocare in quella maniera e di certo ci sono esemplari di bassa qualità che non sanno andare oltre a questo approccio semplicistico, ma i capolavori dei bei tempi, da Final Fight a Streets of Rage 2, sono tali non solo perché meravigliosi sul piano audiovisivo e nella follia delle ambientazioni, ma anche perché portatori sani di gameplay raffinato, con uno sviluppo sopraffino di combo, attacchi, strategie e personaggi.

Mi rendo conto di stare sostenendo un’ovvietà, ma che ci dobbiamo fare? Ebbene sì, un bel gioco nasce prendendo delle semplici meccaniche di base, elaborandole per dare loro profondità e lavorando poi sul design di livelli e situazioni per esaltare dette meccaniche attraverso la varietà di possibili approcci. Dopodiché, certo, un picchiaduro rimane un picchiaduro, un gioco in cui passi la maggior parte del tempo massacrando i tasti per massacrare i nemici, e non avrà mai la profondità di, che ne so, un Dishonored, ma non ci allarghiamo nel liquidare un intero genere come semplicistico, ecco.

Tutto ‘sto pippone non è che fosse particolarmente necessario, ma era un modo come un altro per introdurre il discorso e sottolineare che, no, Mother Russia Bleeds non è un gioco ignorante, scemo e dal basso livello di gheimplei. Anche se l’ignoranza, nelle sue stanze ricoperte di sangue, budella e merda, certamente non manca. Lo studio francese Le Cartel ha sviluppato un omaggio carico d’amore (e odio) agli anni d’oro del genere, quelli fatti di pixel, scorrettezza politica e mazzate, spremendo una dose di steroidi nelle vene di tutto quanto. E l’ha fatto con cura e attenzione, cercando di tirar fuori, per l’appunto, un gioco tutt’altro che banale.

La struttura portante è semplice: quattro personaggi (e/o giocatori), tasti per pugni, calci, salti, prese, corsa e scivolate, qualche semplice combo per legare fra loro queste opzioni, una marea di nemici molto ben variegati e capaci di offrire spunti spesso ben diversi per il combattimento, armi da botta, da taglio e da fuoco a strafottere e la faccenda della droga che affligge i quattro protagonisti, utile per curarsi e potenziarsi, estraibile dai cadaveri cui non abbiamo distrutto la testa, applicabile anche ai propri compagni in un tripudio co-op. Tutto qui. Ma non è poco.

Questi elementi vengono infatti mescolati molto bene e Mother Russia Bleeds, nella sua decina scarsa di missioni, si svela come un gioco vario come pochi nel genere, capace di offrire situazioni sempre interessanti, saggio nell’utilizzo di ambienti animati per proporre piccole varianti nel respiro dell’azione, interessante nelle tipologie di boss che fa affrontare. Insomma, non ci si annoia praticamente mai e si procede con gusto dall’inizio fino (quasi) alla fine. Nell’ultima missione, infatti, c’è un picco di difficoltà insensato e sbarellato. Se da un lato ha senso, chiaramente, che sia il momento più tosto del gioco (tanto più che, in termini di storia, si affronta una sfida davvero impossibile), dall’altro il picco è reso devastante non solo dal numero, dall’aggressività e dalla composizione dei gruppi di nemici, ma anche dalla decisione di cambiare all’improvviso la gestione dei checkpoint, fino a lì molto più permissivi. E la cosa, onestamente, fa un po’ girare i coglioni.

I coglioni, in senso letterale, sono fra l’altro grandi protagonisti, assieme a svariate altre parti del corpo umano, dell’immaginario visivo offerto dal gioco. Mother Russia Bleeds non si nasconde dietro a un dito e ti sbatte in faccia sesso, violenza, droga, sangue, budella, emarginazione sociale, temi scomodi e trovate brutali. Verrebbe da dire che ne nasce una personalità unica, se non fosse che negli ultimi anni Devolver Digital ha pubblicato diversi giochi con esattamente questa personalità, ma l’espressione tematica rimane comunque interessante, con anche temi non banali sfiorati dal racconto, che mostra ambizioni narrative sicuramente superiori alla media del genere, per quanto i risultati non siano poi chissà cosa (e alcune trovate, forse, sono davvero eccessive).

Mettendo assieme tutti gli elementi di Mother Russia Bleeds, si ottiene il ritratto di un bel gioco, che omaggia con gusto i classici del genere, offre una realizzazione audiovisiva splendentemente retrò, sfrutta a dovere tutti i cliché di gameplay rimescolandoli in una maniera che sa essere varia e stimolante, prova ad affrontare temi interessanti, integrandoli oltretutto nelle meccaniche di gioco con la faccenda della droga, che aggiunge una bella dose (ba dum tsh) di profondità. Si fa però un po’ prendere la mano e finisce per sbarellare, quasi come se fosse preda di overdose, sia dal punto di vista tematico che da quello della difficoltà di gioco, gestita non benissimo nelle fasi finali. Ed è sicuramente una roba non per tutti, vuoi perché appartenente a un genere svanito nelle nebbie del tempo e/o cambiato in tutt’altro, vuoi perché aggirarsi fra stupri, deviazioni sessuali e valanghe di budella non fa, appunto, per tutti. Ah, è anche un po’ invaso da bug, inciampi, momenti in cui il gioco si blocca senza dare spiegazioni e altre sciccherie del genere. Ma insomma, te ne fai una ragione. Io me la sono fatta e sono andato fino in fondo, anche se non è scattato l’amore. Abbiamo solo scopato. E gli puzzava l’alito.

Ho giocato a Mother Russia Bleeds per quasi sei ore, pasticciando fra le varie modalità, i diversi personaggi e i livelli di difficoltà assortiti grazie a un codice Steam ricevuto dal distributore. Ho sbloccato appena 8 achievement su 33, non sono degno della madre Russia.