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Alone With You: lacreme napulitane stellari

Alone With You racconta la storia di un uomo ritrovatosi (quasi) completamente solo a seguito di un'operazione di terraformazione il cui esito farebbe sembrare quella del ponte sullo stretto un’impresa perfettamente riuscita. L’unica “entità” in grado di fargli compagnia è l’intelligenza artificiale che regola l’ecosistema della base in cui il nostro amico staziona: gli riempie le orecchie con chiacchiere veloci sul tempo e sulla partita degli Eagles, ma sta anche trafficando per provare a mettere in piedi un’astronave tramite cui salvare la pellaccia del protagonista e, possibilmente, anche la propria carcassa sintetica. Le cose sul pianeta vanno infatti sempre peggio e la fine si avvicina.

Per questo motivo, ogni giorno, con sequenze che sembrano uscite da Ricomincio da capo, il nostro eroe dal volto nascosto si sveglia alle 6:00 in punto e si dirige in vari luoghi del pianeta per esplorare i rimasugli delle installazioni, ravanare fra i ricordi di chi non c’è più, scoprire segreti nascosti e recuperare equipaggiamenti, risorse e piani assortiti utili all’assemblaggio dell’astronave. E il cuore del gioco sta tutto lì: una passeggiata alla ricerca del passato, del presente e del futuro, esplorando i meandri di un pianeta perduto, assorbendo vite scomparse come lacrime nella pioggia acida, confrontandosi coi ricordi. Insomma, si cammina un sacco.

Il gioco è stato creato da Benjamin Rivers (Home) assieme a un paio di collaboratori e l’idea era di realizzare una specie di variante sul tema dei simulatori d’appuntamenti, immergendola in un’estetica da Sega Mega Drive. O, più precisamente, da Sega CD. OK, ma che senso ha ambientare un simulatore di appuntamenti su un pianeta dove sono morti tutti? Stiamo parlando di un gioco che inneggia alla necrofilia? No, anche se l’idea, volendo, non sarebbe neanche male. Ma qui arriva il twist: l’intelligenza artificiale di cui sopra ha recuperato delle copie di backup dei trasferimenti neurali appartenenti a quattro membri della spedizione, che ora risiedono nel mainframe principale della base. E nella base c’è una specie di ponte ologrammi in stile Star Trek, dove possiamo confrontarci con queste specie di fantasmi digitali e costruire delle relazioni con loro sulla base delle nostre scelte in momenti chiave delle conversazioni.

Ogni notte scatta una chiacchierata con uno di loro e, va detto, pure qui c’è un twist: i backup sono stati effettuati diverso tempo fa e le riproduzioni non hanno quindi ricordi degli ultimi mesi o anni. Infatti sta anche lì parte del fascino delle vicende, nello scoprire mano a mano ciò che queste “persone” non ricordano e far conoscere loro gli errori e i successi arrivati nel resto delle proprie vite, ma anche il modo in cui quelle vite sono giunte alla fine. È una riflessione affascinante e paradossale, porre delle persone di fronte alla propria vita futura che non sarà mai, far riflettere loro su quel che hanno già fatto, regalare soddisfazioni, rimorsi e sensi di colpa per cose che, dal loro punto di vista, non sono mai avvenute e non potranno mai avvenire. Roba pesante.

Il gioco, nella sostanza, si risolve in un gran camminare per le ambientazioni, esaminare oggetti, chiacchierare con personaggi e risolvere piccoli enigmi che si risolvono da soli. Nella seconda metà dell’avventura le cose si complicano leggermente, ma basta armarsi di carta e penna per prendere un paio di appunti e ci si rende conto che chiamarli enigmi è davvero un’esagerazione. Il bello dell’esperienza sta tutto altrove. C’è un’atmosfera azzeccatissima, malinconica, straniante, avvolgente e un po’ inquietante. C’è una scrittura di ottimo livello, che affronta temi non banali con uno spirito da melodramma, ma senza rinunciare a qualche punta d’ironia. C’è uno stile audiovisivo adorabile, sicuramente dedicato a chi apprezza una direzione retrò, ma davvero riuscito ed efficacissimo nel far montare l’atmosfera giusta.

C’è però anche una struttura di gioco un po’ ripetitiva e monocorde, del resto figlia del desiderio di immergere in un’atmosfera completamente straniante e in una situazione di vita altrettanto ripetitiva e monocorde. Insomma, ‘sto poveraccio si alza ogni giorno alla stessa ora per passeggiare in un mondo morto e farsi avvolgere dalle memorie della disperazione, non è che ci si possano aspettare lampi di gioia e azione continua. D’altra parte, la situazione viene un po’ movimentata dalla difficoltà (relativamente) crescente dei puzzle e dai momenti in cui le conversazioni offrono scelte capaci di dettare il prosieguo dell’avventura, fino a due possibili finali. Però, lo ammetto, ogni tanto, all’ennesima passeggiata di qua e di là, m’è sembrato che la formula mostrasse un po’ la corda. Ciononostante, se vi piacciono i giochi che si concentrano quasi esclusivamente sull’aspetto narrativo, il Frechete qua sotto è lì apposta per voi: date una chance ad Alone With You, perché se la merita.

Ho giocato ad Alone With You su PS Vita grazie a un codice per il download ricevuto direttamente da Benjamin Rivers. Non so quante ore mi ci siano volute a finirlo, però posso dirvi che ci ho giocato per tre giorni senza forzare troppo. Ah, a quanto pare, ho sbloccato il 38% dei Trofei. Il gioco è disponibile anche su PlayStation 4.