Grosso guaio a Chinatown: esplosioni verdi, gente che entra ed esce volando…
Credo che assolutizzare, riducendo un giudizio in termini perentori, indiscutibili, categorici, sia un atto estremamente mirabile, al pari dell'incommensurabile ed eterna bellezza di Big Trouble in Little China (Grosso Guaio a Chinatown, in italiano), che avrò visto, rivisto e stravisto in ogni lingua, nonché imparato praticamente a memoria per oltre un centinaio di volte.
Non scherzo, e punto al migliaio.
Talmente troppo in anticipo sui tempi (era il 1986, allora nessuno capiva niente), la pellicola di John Carpenter fu un fiasco al botteghino: costò la bellezza di 25 milioni di euro e ne incasso poco meno della metà, costringendo il regista a ripiegare su altre produzioni a basso budget. Precursore e preconizzatore, addirittura, di quei citazionismi quentintarantiniani dinanzi ai quali oggi gongoliamo inebetiti (col cazzo: Carpenter si rifaceva visibilmente al cinema di Hong Kong e di Tsui Hark, tipo l'inquietantissimo Zu Warriors from the Magic Mountains)
E oggi, cioè settembre 2016, cade proprio il trentennale (dell'uscita italiana) del miglior film di tutti i tempi.
Trent'anni e non sentirne neppure uno, che se Grosso guaio a Chinatown uscisse domani al cinema, tornerebbero di gran moda i camion, gli stivali da uomo, le mitragliette e i cinesi, e sarebbe un mondo di gran lunga assai più splendido.
Prima ancora di essere una girandola fluorescente di spiriti, spettri e fantasmi, un sabba intriso di oscura magia cinese e adorabile spacconeria yankee, una mirabile alchimia di action e arti marziali, un thriller grottesco e un'arguta commedia di genere... dicevo, prima ancora di essere tutto ciò (ed esserlo a livelli sublimi, tra l'altro), Grosso guaio a Chinatown è una storia d'amore perfetta, che parla di cinesi e occhi verdi, camion e camionisti, avvenenti avvocatesse bionde e vecchi in carrozzella (chiedete all'oscuro dio Ching Dai).
E ancora, al di là dalla rocambolesca baraonda di battute spaccaculi ("Sono nato pronto", "E allora va a cacare, in fondo è un gioco", "Frena quella spider", "Questione di riflessi", "Allora: voi state qui calmi, tenete il fortino, conservate vivo l'amor di patria e se non torniamo per l'alba... chiamate il Presidente!", " Il vecchio Jack dice sempre: basta adesso", e via andando, per novanta minuti di fregnissimi quotes), dalle scenografie tanto finte da fare il giro e diventare luoghi vividi/epici/cult, dalle tre Bufere (Paolo Giacci, hai detto mica Mortal Kombat?), dal sangue nero della Terra, dall'inferno dell'olio bollente, da un gigante alto tre metri che passa attraverso i muri (e i camion) e da San Francisco stessa, la grandezza del film consiste nel geniale ribaltamento dei ruoli eroe/spalla.
Jack Burton (Kurt Russell) è un cialtrone, uno sbruffone dal cuore d'oro, capace di affrontare con incoscienza e un coltello un intero esercito di forze del male, senza azzeccarne neppure una (beh, tranne l'ultima, che è quella che conta). La spalla, Wang Chi (Dennis Dun), è in realtà l'eroe assennato, competente, disposto a tutto – anche a far tremare i pilastri del cielo – pur di salvare la promessa sposa Miao Yin, rarissimo "esemplare" di bellezza cinese dagli occhi verdi. Il ribaltamento di cui sopra è continuo, sfocia in risvolti esilaranti e gioca abilmente con parodia, tensione e divertissement, muovendo con inarrivabile maestria i fili di una commedia (e molto altro ancora) fantastica.
Grosso guaio a Chinatown trascende così gli anni Ottanta tutti (se non fosse per quei neon che addobbano il surreale bi-matrimonio di David Lo Pan), diventando un capolavoro senza tempo, che per una specie d'ideale anticipazione rappresenta la perfezione di un nuovo cinema burlone e spaccone, nel quali i riflessi sopra la media, un coltello affilato e la frase giusta nel momento sbagliato conteranno finalmente più di ogni altra cosa.
E ricordate: i consigli del vecchio Pork Chop Express sono preziosi, specialmente nelle serate buie e tempestose, quando i fulmini lampeggiano, i tuoni rimbombano e la pioggia viene giù in gocce pesanti come piombo. Basta che vi ricordiate quello che fa il vecchio Jack Burton, quando dal cielo arrivano frecce sotto forma di pioggia e i tuoni fanno tremare i pilastri del cielo. Sì, il vecchio Jack Burton guarda il ciclone scatenato proprio nell'occhio e gli dice: "Mena il tuo colpo più duro, amico. Non mi fai paura".
No, non è un errore, ma un autentico triplo-frechete! Ragazzi con questo non voglio dire che sono un uomo di mondo e che la vita per me non ha più segreti, anzi, sono convinto che il nostro pianeta ci riservi ancora molte sorprese e che bisogna essere dei deficienti per credere che in questo universo siamo soli. Ma è che proprio, cioè, non c'è niente di meglio di Grosso guaio a Chinatown, sù.