Quello schifoso del The Founder, quel grandissimo del The Founder
La cosa buffa di The Founder è che, a seconda di come lo guardi, può fare tanto da condanna del suo personaggio principale quanto da attestato di stima lungo cento minuti. È un meschino arrivista, certo ammirevole per la pervicacia e l'abilità imprenditoriale, ma comunque fondamentalmente brutta persona che la butta in quel posto a due fratelli che hanno l'unica colpa di non voler sfruttare in un certo modo quel che hanno creato? Oppure è una grande incarnazione del sogno americano, un uomo che si è fatto da solo e che ha saputo trasformare in impero ciò che due persone di scarse vedute non erano in grado di sfruttare appieno? Se lo chiedete a me, vince la prima interpretazione, con qualche concessione alla seconda, ma alla fin fine è tutta una questione di punti di vista.
Del resto questa ambiguità è anche un po' alla base del personaggio interpretato (magnificamente) da Michael Keaton, un sincero arrivista che agisce seguendo un suo codice d'onore ma lo modella attorno alla necessità pratica, più che a una linea etica. Non ruba direttamente le idee altrui non perché sia sbagliato, ma perché sarebbe controproducente, e finisce quindi per rendere lecitamente proprio ciò che non ha creato, diventando allo stesso tempo fondatore del nulla e di un impero nominalmente da ristoratore, fattivamente immobiliare. In questa figura (magari non poi così) ambigua, per molti versi spregevole (o da amare?) ma con le sue indubbie capacità, oltre che nella bravura del cast, sta il fascino di un film per molti verso ordinario, che solo in questa mancata santificazione si distacca dal classico modello del "basato su una storia vera".
Poi, certo, di fronte a un ritratto di questo tipo, alla figura di un uomo brillantissimo, dai tratti profondamente umani ma dalle azioni spesso discutibili, è difficile non pensare a Steve Jobs e The Social Network. E il paragone è un po' impietoso, perché in fondo quella scrittura così creativa, brillante, aggressiva, e quella personalità registica sono proprio ciò che mancano al film di John Lee Hancock, che non è Danny Boyle e men che meno è David Fincher. Per cui, insomma, The Founder non trascende ma non è male, fa il suo compito in maniera apprezzabile, regala il palcoscenico a un attore in formissima e non appesantisce lo scroto santificando ciò che racconta. Anzi, ti lascia addosso la sensazione che il suo stesso protagonista sappia di essere una discreta merda e, tutto sommato, se ne sia fatto una ragione da un bel pezzo.