Carrier Air Wing è il Cuphead dei Dark Souls
Esterno giorno. Domenica mattina. 10:30, 11:00 al massimo.
Il giorno da consacrare alla sala giochi, quando sei negli anni '90 e sei un bambino di sei anni appena uscito dalla “messa dei fanciulli”. Ancora non hai capacità decisionale in merito. Hai il tuo patrimonio. MILLE LIRE. E non puoi fare molto altro che andare al Baraccone, una sala giochi costituita da un rimorchio da tir a fisarmonica, giallo.
Al tavolo siede un anziano signore di una età indefinibile,. Potrebbe avere settanta o ottantatré anni, poco importa: lui non parla, grugnisce. Le mani annerite dall’onnipresente sigaretta accesa. Ti cambia la banconota da mille lire con cinque gettoni consumatissimi.
Al Baraccone non ci sono giochi nuovi. L’enorme rimorchio è un po’ l’antesignano dello Smithsonian Art of Videogames Museum, raccoglie un po’ del meglio di ogni epoca videoludica fino agli anni Novanta.
Ci sono Combat School, Cabal, Mikie (High School Graffiti), Street Fighter II’ Rainbow Edition, Cadillac & Dinosaurs, Mortal Kombat, Knights of the Round, Ghouls’n Ghosts, Tetris, Nibbler, Tarzan, Toki, Pang, Space Invaders, un gioco in cui ti siedi in un archetipico sedile da vettura di Formula 1 e un proiettore su uno schermo bianco arrotondato proietta automobiline, mentre tu guidi evitando gli avversari. E via, sempre più nel passato.
Al centro, c’è un altro anello di cabinati. Tra King of Boxer, Moon Patrol e WWF Superstars, signore e signori, Carrier Air Wing, in tutto il suo splendore.
Sparatutto a scorrimento orizzontale. Scegli l’aereo. Un superiore che è certamente Sean Connery ti briffa – ogni riferimento a Olgettine di varia natura è da ritenersi puramente casuale - e subito dopo voli, spari ai nemici, che siano aerei, elicotteri, carri armati o palazzi. Cambi arma prendendo un barilotto che cambia colore alternativamente tra verde, blu, arancione (spoiler: se sei navigato, il verde lo eviti come la morte). Ti rifornisci di carburante da improbabili serbatoi volanti, oppure fai un fighissimo rifornimento in volo da un boeing o su una portaerei gigantesca, dopo aver sconfitto un boss. Distruggi ponti, strade, fai buchi nei palazzi, fai saltare in aria le automobili degli innocenti civili.
Il tutto col carburante, che scende lentamente e inesorabilmente, che ti fa da serbatoio di energia. Se vieni colpito o tocchi qualsiasi oggetto, ne perdi parecchio. Se finisce, game over.
Se resisti, invece, arrivi ai boss di fine livello. Che sono la cosa più bella dell’intero gioco. Enormi aerei, sottomarini, razzi, carri armati da distruggere un pezzettino alla volta, un po’ come in Thunder Blade. Resistentissimi, da colpire in punti specifici. Ed è subito bullet hell.
Nulla è più gratificante di batterli prima di finire tutto il carburante. Distruggere in sequenza i punti deboli del mega veicolo, vederlo evolversi, diventare sempre più cattivo, difficile. Accorgersi che, anche giocando alla perfezione, il serbatoio è quasi vuoto e sarà comunque "Game Over, insert coin to continue".
Che soddisfazione imparare a danzare nei livelli, arrivare al terzo, al quarto stage con un gettone. Decidere se investire tutti e cinque i gettoni della domenica per finirlo... l’avrai fatto una o due volte in tutto.
Poi nulla. Nessun gioco è mai riuscito a ricreare quelle sensazioni provate dal te seienne, quel tasso continuo e cattivo di sfida, quella impellente sensazione che il carburante non basterà e perderai. Il velivolo, la partita, le duecento lire, un quinto del tuo patrimonio domenicale, un minuscolo pezzo della tua infanzia, che vanno via con l’esplosione del tuo aereo. La scelta all’inizio del livello tra uno sparo leggermente più potente, dei missili devastanti ma limitati o uno scudo. Le ricompense monetarie sempre troppo basse per acquistare gli upgrade più potenti. Il Boeing con l’antenna enorme rotonda, che fa paura solo a vederlo, di cui Google Immagini, a parte uno sprite sheet, non sembra aver memoria.
Poi? Passa tanta acqua sotto i ponti. Lustri. Almeno cinque.
Ed è il 2017, è il 29 settembre 2017. Acquisti Cuphead dopo averlo aspettato per tre anni, innamorato follemente del suo essere Silly Symphonies e Betty Boop allo stesso tempo, deluso terribilmente nel 2016 dopo aver visto le noiosissime sezioni platform, cominci a giocarci e...
…NON MI INGANNATE. Questo non è Cuphead. Questo è Carrier Air Wing 2017. È lui, le tue sinapsi non possono sbagliare, il filtro nostalgia è acceso e titilla continuamente l’amigdala. Sei in sala giochi, con i gettoni nelle tasche anteriori, estrema attenzione ai bulli che cercano di sottrarti i gettoni o farti perdere con le loro cicche accese minacciosamente vicino alle tue dita, la puzza di fumo, il joystick a bastoncino appuntito in plastica nera, i pulsanti che ogni tanto si ingrippano, tutta la spensieratezza dei sei anni-ché-tanto-i-bulli-solo-ora-possono-sembrare-minacciosi.
Tre serate e Cuphead va via, i boss cadono uno dopo l’altro, a livello normale, ovviamente, perché sai di non avere più i riflessi di un bambino di sei anni e soprattutto il tempo di un bambino di sei anni. Tre sere, due ore a sera: sei ore sono abbastanza per rivivere quelle sensazioni e poi avanti, oltre, la vita vera chiama, il backlog è tendente all’infinito e il futuro prossimo ha degli ingombranti titoli come Super Mario Odyssey e Stranger Things 2 in agguato, che minacciano la tua vita sociale.
Ma le bestemmie? Odi et amo di noi satiri dell’Outcast? Ci sono? Sono tante? Nel gioco di Studio MDHR, come già evidenziato dal buon Brocchieri nella sua recensione, c’è da impegnarsi e non distrarsi.
Personalmente, non ho bestemmiato più di tanto. Ho danzato tra i boss e ho rimpianto di non aver più i sopracitati riflessi in alcune situazioni ma, a parte l’ultimo boss, non ho dovuto provare più di due, tre volte, ciascuno. I potenziamenti, però, li ho presi tutti, perché l’OCD non è mai sparito. Anche se ho dovuto fare pixel hunting col DualShock 4 – perché sì – e la cosa non mi è garbata molto. Ecco, forse è questo l’unico difetto che posso trovare a Cuphead. Il pixel hunting per completare i collezionabili. Una nota cattiva in un panorama di note positive.
Per il resto, grazie a tutto lo Studio MDHR, grazie per avermi restituito quelle sensazioni provate a sei anni. Grazie Cuphead, per i tuoi boss resistenti, cattivi, impietosi. Per i pattern casuali, per la resistenza, per il feedback. Per i ceffoni, per i cazzotti.
Cos’è quel vociare là in fondo? Metal Slug, dite? Era simile. Ma nel 1996 non avevo ancora i filtri nostalgia attivi, ero un tredicenne in piena pubertà, con una mediamente lunga vita da giocatore arcade ancora davanti.