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Quando La casa traumatizzò (quasi) irreparabilmente la mia infanzia

Per anni, fino e quasi oltre l’adolescenza, ho avuto diversi problemi nell’approcciarmi ai film horror. Non perché sia necessariamente un fifone (anche se sì, un po’ lo sono), quanto perché boh, quella sensazione di paura, di oppressione, quel senso di impotenza mi ha sempre messo a dura prova, almeno durante quegli anni. Non riuscivo a gestirlo, quindi preferivo semplicemente evitarlo. E non parlo di quella splendida angoscia che, per dire, Suspiria riesce a restituirmi di volta in volta. È una questione a monte, proprio, di quelle che quasi ti fanno stare male, con quel nodo alla gola che, di fronte a certe visioni, proprio non ne vuole saperne di andarsene. C’è tanta suggestione in tutto ciò, non v’è dubbio. Con gli anni, comunque, ho imparato ad affrontare la mia paura, fino ad innamorarmi di Argento, Carpenter, Cronenberg e via discorrendo.

Di psicologia ne so davvero poco, ma quanto scritto sopra è probabilmente riconducibile ad un trauma. Il mio, di trauma, l’ho sempre conosciuto bene; sapevo che quella fobia derivava da un’immagine a cui assistetti in un’indefinita notte estiva verso la fine degli anni Novanta. Si trattò di un turbamento terribile, la ricordo indistintamente. Un mix di soddisfazione quasi primordiale derivante, almeno inizialmente, dalla visione di due gambe, due belle gambe femminili in quell’elementare concezione attrattiva che può avere un bambino, cui fa però seguito una sensazione di impotenza, un magone che non se ne va più quando quella natura apparentemente inerme prende il sopravvento sull’uomo, che in questo caso è una donna; stuprandola, brutalmente. Una scena orribile, per un infante. Incredibile, per quello stesso bambino, ma parecchi anni dopo. Anche questo è La casa.

Fortunatamente, questa visione non causò chissà quali complicazioni nel mio rapporto col sesso (credo), però ne influenzò il gusto estetico. La casa, che segnò il debutto cinematografico di Sam Raimi nel 1981, fa anche oggi, dopo più di trentacinque anni, una paura fottuta, con questa sua avvenenza orrorifica di uno splatter che ancora non ha assunto, in Raimi, quell’ironia tramutata poi dal regista in cifra stilistica. Ripensandoci, il primo capitolo della saga non può non essere paragonato al suo seguito; che poi seguito, in senso stretto, non è, in quanto presenta elementi di trama molto simili, oltre che reinterpretati a più riprese, sia in termini di storyline che d’approccio ad essa. È difficile dunque dire quale fra i due sia il migliore. Si tratta di gusto, anche perché, nonostante tutte le affinità, sono due film profondamente diversi.

Può risultare paradossale, però probabilmente il primo La casa è un film molto più quadrato nel suo essere grezzo. I tratti pertinenti di Raimi sono ancora acerbi, eppure il citazionismo non è mai stucchevole, né quando si strizza l’occhio all’estetica fulciana e né quando assistiamo al lento disvelamento della natura dei protagonisti, in vero stile hitchcockiano. Con un bicchiere d’acqua e un tozzo di pane secco, Raimi è riuscito a tirar fuori una pellicola che sarebbe poi andata ad influenzare tutta quella corrente di new-horror che pesca a piene mani dall’immaginario lovcraftiano. Yuzna ne è l’esempio più lampante, probabilmente.

Raimi è parte indissolubile della mia vita. Fra le altre cose, fu proprio con Spider-Man 3 che iniziai ad avvertire i primi sussulti quella che oggi è la mia coscienza critica. Era uno dei primi film che vedevo al cinema, e insomma, dal basso della mia immaturità da quattordicenne, c'erano tutte le premesse per farmi amare quello Spider-Man. Che invece mi fece cacare già da subito, e pure incredibilmente.

Ma La casa non è solo questo. Oggi, riguardandolo per l’ennesima volta, il mio trauma infantile non si è ripresentato, però credo di aver provato delle sensazioni simili a quelle avvertite tanti anni fa e che esulano anche dalla terrificante ed incredibile scena dello stupro dell’albero. Raimi, nei quasi novanta minuti di durata del film, non spaventa. Non è quello il suo obiettivo. Piuttosto, cerca di inquietare lo spettatore ad un livello più profondo, sublimando il tutto con un’atmosfera glaciale che fa da sfondo ad un continuo susseguirsi di schizzi di sangue e di risate mefistofeliche, che si alternano senza soluzione di sosta. Qualunque cosa, qualunque scorcio, in La casa, riesce a incutere timore, inquietando chi sta davanti allo schermo prima ancora dei suoi protagonisti, nei confronti dei quali non c’è alcuna pietà. A pensarci meglio, La casa mi fa più paura oggi, dall’alto del mio metro e ottantacinque centimetri, rispetto a ieri, quando non arrivavo nemmeno al citofono.

Il poster di La casa (The Evil Dead) campeggia su una parete in camera di Jonathan Byers nelle varie puntate della prima stagione di Stranger Things. Suo padre ritiene la cosa un po' fuori luogo. Questo articolo fa parte della Cover Story "Stranger Things e gli anni Ottanta", che trovate riepilogata a questo indirizzo. Vostro padre ritiene la cosa un po' fuori luogo.