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eXistenZ #50: Su Jumanji – Benvenuti nella giungla e su come gli adattamenti dai videogiochi al cinema funzionino meglio quando non sono adattamenti dai videogiochi al cinema

eXistenZ è la nostra rubrica in cui si chiacchiera del rapporto fra videogiochi e cinema, infilandoci in mezzo anche po' qualsiasi altra cosa ci passi per la testa e sia anche solo vagamente attinente. Si chiama eXistenZ perché quell'altro film di Cronenberg ce lo siamo bruciato e perché a dirla tutta è questo quello che parla proprio di videogiochi.

Pare buffo, ma forse in fondo non lo è: i film che adattano nel modo migliore lo spirito, il funzionamento, le tradizioni dei videogiochi sono quelli che non adattano videogiochi. O, comunque, che non adattano videogiochi specifici. Intendiamoci: è un discorso che trascende dalla qualità dei film stessi e si riferisce solo all'eleganza e alla precisione con cui determinati meccanismi vengono traslati sul grande schermo… magari anche in film brutti. Forse deriva dall'inevitabile maggior libertà concessa agli autori, forse è perché puoi permetterti di non prendere tutto così sul serio e puoi scherzare sulle cose che inevitabilmente, passando dai pixel alla celluloide (o comunque ai pixel, volendo), risultano ridicole. Fatto sta che film esplicitamente ispirati ai videogiochi in generale, come quello che dà il titolo a questa rubrica, ma anche film che si limitano a pescare dal loro linguaggio (penso a Edge of Tomorrow, Source Code, Seven Sisters ), perché curati da autori che quel linguaggio lo conoscono bene, “parlano” la lingua del videogioco molto meglio dei vari Resident Evil, Silent Hill, Assassin's Creed e compagni. Anzi, paradossalmente, questi ultimi funzionano al meglio quando si fanno gli affari loro e crollano miseramente quando cascano nel trappolone di voler strizzare l'occhio ai videogiochi.

Tutto questo per dire che Jumanji – Benvenuti nella giungla è un film che non si basa su alcun videogioco ma parla di videogiochi con una consapevolezza notevole, giocando tantissimo coi cliché e facendolo bene, pur senza inventare nulla di clamoroso. L'idea di partenza è azzeccata, nel suo cerchiobottismo: si tratta di un seguito/reboot, che liquida il passato con un prologo in cui il boardgame del film originale “decide” di adattarsi ai giovani d’oggi trasformandosi in videogioco. Tutto qui. Anzi, viene addirittura ribaltato il concetto originale e, invece di vedere elementi di Jumanji che invadono il mondo al di fuori, seguiamo le vicende dei quattro protagonisti trascinati dentro al videogioco, che è poi ambientato nel mondo in cui tanti anni fa si ritrovò a vivere Alan Parrish, il personaggio interpretato dal compianto Robin Williams, cui viene anche dedicato un breve omaggio. E da lì parte la raffica di gag e idee basate sui videogiochi.

C'è dentro veramente di tutto, quindi inevitabilmente anche gag già viste altrove, a cominciare da quelle sul comportamento legnoso dei personaggi non giocanti, incastrati nel loro stato fino a che il giocatore non offre loro l'input giusto. Ma il quantitativo di idee è senza fine e ne viene fuori parecchio di divertente, con perfino un sottile velo di riflessioni sul ruolo dei personaggi femminili nei videogiochi (e nel cinema, volendo) o addirittura su come un videogame, o anche solo la virtualità di un social network, ti dia l'opportunità di fare cose che non faresti mai nella vita reale. Cosa succede quando i due mondi collidono? Come ti comporti quando l'impunità offerta da controller e schermo viene meno e le tue azioni nel gioco rischiano di avere effetto sulla tua vita reale? Intendiamoci, stiamo comunque parlando di una commedia avventurosa e siamo ben lontani dalla profondità (reale o presunta) e dalla serissima pomposità con cui questo genere di temi viene per esempio affrontato in una serie come Westworld. Però ci sono, fra le righe, ed emergono come elementi del racconto.

Riflessioni profonde sul ruolo della donna nell'entertainment. Inoltre, il metro e ottanta di Karen Gillan, che comunque buttalo.

Insomma, per quanto sia un film assolutamente leggibile e comprensibile anche per un verginello del videogioco, l'appassionato può trovarci tanti spunti azzeccati e un generale senso di rispetto e di conoscenza per l'argomento. E fa piacere. Al di là di questo, è il classico blockbuster per famiglie moderno, appesantito da una durata eccessiva e da delle scene d'azione magari fantasiose nella concezione ma un po' anonime nella realizzazione. Ha dalla sua una lunga serie di gag che funzionano, tutto il gradevole gioco metatestuale legato all'argomento e soprattutto un cast azzeccato, accattivante e in forma, che si diverte un sacco con l'idea di stare interpretando avatar controllati da adolescenti e tiene in piedi il film anche nei suoi momenti meno riusciti. Dwayne Johnson, in particolare, ci mette la solita dose di voglia e impegno, che basterebbe per tre persone normali, ma gli altri gli vanno dietro bene. Aggiungiamoci un epilogo sorprendentemente dolce, perfino toccante, e otteniamo un film con dei problemi ma che guarda mi sento di consigliare.

Al solito, non mi assumo responsabilità sull'adattamento italiano di un film (1) comico e (2) con attori che giocano così tanto sul far casino nella recitazione e nell'utilizzo della voce. Io l'ho visto in lingua originale e ne sono ben contento.