Horizon: Zero Dawn, la miglior risposta possibile alla domanda "ROBOSAURI?"
Aloy è una meraviglia.
Non è un dettaglio da poco, in un gioco come Horizon: Zero Dawn (prima e ultima volta che lo scrivo intero), forse il primo open world dell'era post-The Witcher 3 a capire davvero che cosa rende il capolavoro di CD Projekt un... uhm, capolavoro, appunto, e anche a distanziarsi a sufficienza dal modello di riferimento per ritagliarsi uno spazio e una personalità tutti suoi. È anzi decisivo, perché quando si ha a che fare con un'avventura che ti obbliga a passare decine di ore in compagnia di un personaggio fortemente scritto e caratterizzato, l'empatia tra avatar e giocatore è fondamentale. La prospettiva è di venire lasciati liberi di scorrazzare per un immenso ambiente virtuale, dinamico, reattivo ed emergente, e contemporaneamente di seguire una progressione narrativa tradizionale, durante la quale ogni agenzia viene presa decisamente in mano dagli autori, e al giocatore lasciato uno spazio più o meno ristretto di reazione all'interno di questo recinto. Quello che The Witcher 3 ha insegnato al mondo in questo senso è che il patto tra chi scrive e chi gioca non si deve mai rompere: si verifica la paradossale situazione per cui il creatore affida la sua creatura al fruitore e il fruitore stesso ha il diritto, se non il dovere, di pretendere coerenza e qualità in quei segmenti in cui abbandona il controllo della storia.
Tradotto in italiano meno da stronzi, se fai un gioco come Horizon devi saper fare bene sia quella roba di costruire un mondo credibile e divertente, sia quell'altra di scrivere una storia interessante e di convincere il giocatore che vale la pena di diventare qualcun altro perché questo qualcun altro spacca i culi.
Geralt di Rivia spacca i culi, per esempio, e vive in un mondo bellissimo, naturale, realistico a sufficienza senza rinunciare a una certa aria fiabesca. Rico di Just Cause li spacca un bel po' di meno, e non è un caso se, almeno dal punto di vista strettamente narrativo, GTA V è il più debole dei GTA moderni e GTA IV è stato così polarizzante.
Per tornare a quanto dicevo all'inizio, invece, Aloy è una meraviglia e con lei anche il gioco che si porta dietro. Mi rendo conto che possa suonare strano citare la protagonista parlando di un gioco popolato di ROBOSAURI e che esiste per rispondere alla domanda "Che cosa ci fanno sulla Terra i ROBOSAURI?".
E però il miracolo di equilibrismo di Guerrilla Games, riuscire a far coesistere una classica trama da Eletto che Salva il Mondo con un gigantesco parco giochi popolato da ROBOSAURI, passa tutto da lei, narrativamente e meccanicamente.
La storia è quasi da libro young adult alla Hunger Games, con una reietta brava con l'arco, un evento sconvolgente che rompe il precario equilibrio della sua vita, una Grande Missione che la porterà ai quattro angoli del mondo in cerca di risposte sui ROBOSAURI e sulla sua stessa identità, e sul perché le due cose sembrino essere così strettamente legate. La scintilla qui è l'idea, d'accordo non nuovissima, di un futuro post-apocalittico che diventa nuova preistoria, un ottimo spunto che permette di:
• giocare con le macerie del passato, che sarebbe poi il nostro presente, trasformando centri commerciali e palazzi nelle classiche ma sempre divertenti "rovine del tempio" da videogioco, con tanto di occasionale dungeon sotterraneo;
• far giocare Aloy alla piccola archeologa, compartimentando e circoscrivendo spazialmente (= mettendo tutto negli stessi posti) le informazioni sul passato e incoraggiando così l'esplorazione, confidando nella curiosità del giocatore su questioni come I ROBOSAURI;
• costringere il giocatore ad abbattere grossissimi ROBOSAURI con arco, frecce, lancia e altri triccheballacche preistorici.
È un mondo piccolo e tribale, dove l'elemento umano ha lasciato pochissimi segni e che, dopo la non meglio specificata catastrofe, si è ricostruito arrabattandosi, quasi alla Mad Max, in un patchwork di culture e tradizioni che vanno dai tempi di Lascaux all'antica Roma e che, in ultima analisi, ruotano anch'esse tutte intorno alla stessa domanda: perché ci sono i ROBOSAURI? La risposta è generalmente sempre una («Fatti i cazzi tuoi»), e l'approccio alla questione oscilla tra la superstizione e un po' di sano negazionismo. Come in un film Pixar, però, c'è qualcuna che non si accontenta delle risposte ufficiali e, spinta dalla curiosità, decide di andare ad esplorare il mondo e trovare Le Risposte.
Quali siano poi queste risposte è una questione che non vorrei neanche sfiorare, e che meriterebbe riflessione a parte: mi limito a dire che raramente ho visto in un videogioco una fantascienza così interessante e ambiziosa, e che se Horizon zoppica spesso nelle piccole cose, nelle piccole storie che si incontrano lungo la strada (proprio quelle che rendevano The Witcher 3 una cosa a parte e ancora irraggiungibile), è invece glorioso quando alza finalmente il sipario e comincia a rivelare i suoi segreti. È tutto appropriatamente GROSSO ma anche molto intelligente e, per Cthulhu, persino originale.
Della ricerca delle risposte, però, si può parlare: sarebbe quella cosa che si chiama "gioco". Qui Guerrilla si appoggia molto comodamente ai canoni classici del genere – c'è molto Red Dead Redemption, un pizzico di roba più giapponese alla Monster Hunter, qualche tentazione più Ubisoft, e ovviamente quella roba polacca là –, e quindi: c'è una grossa mappa, ci sono i villaggi, ci sono i luoghi selvaggi, ci sono i Posti Dove Vai a Fare le Missioni, c'è una quest principale e un menu lungo così con milioni di quest secondarie divise per categorie e sottocategorie. Ci sono avamposti da liberare dai banditi, robe da scalare per rivelare la mappa, attività collaterali nelle quali prendere medaglie d'oro... c'è tutto il pacchetto, insomma. Horizon resta comunque un gioco a cui abbiamo tutti già giocato prima in qualche modo, un approccio alla forma arcinoto e stra-abusato, che vive di costanti variazioni sul tema.
La furbata di Guerrilla è che ha azzeccato la variazione di turno.
Le parole d'ordine sono "economia" e "pulizia". Ci sono le torri da scalare, OK, ma sono torri ROBOSAURE in movimento circondate da altri ROBOSAURI e sulle quali bisogna saltare al volo, e soprattutto sono solo cinque in tutto il gioco (sei con il DLC). Ci sono gli accampamenti pieni di banditi, ma sono solo sei e ripulirli del loro contenuto li trasforma in centri abitati, mercanti e tutto. C'è un totale di nove armi, dodici con il DLC, e di ciascuna esistono solo tre varianti. Ci sono i dungeon, ma sono solo quattro (cinque con il DLC). È tutto poco, mai abbastanza per stufare, in ossequio all'ambientazione post-apocalittica e per incoraggiare il giocatore a procedere costantemente, a non perdersi in infinite maratone tra stupidi punti di domanda sparsi per la mappa. Tieni, queste sono le tue distrazioni: sono poche, giocatele quando vuoi rilassarti un attimo, poi però muovi il culo.
E un motivo per muovere il culo c'è sempre: la voglia di prendere Aloy, portarla lontana da dialoghi, menu e filmati e buttarla in mezzo a un campo di battaglia pieno di ROBOSAURI. Perché sì, Aloy è molto simpatica, scritta magnificamente, sarcastica e spesso annoiata dalla manifesta idiozia e dal primitivismo di chi ha di fronte, anche cattiva quando serve, e il suo approccio da "sempre avanti cazzomene" alla vita è uno dei motivi per cui è così bello passare una quarantina di ore in sua compagnia. Considerazioni giustissime che passano in secondo piano di fronte a un altro fatto: dare le botte in Horizon è un piacere raro e tirare le frecce, in particolare, non è mai stato così bello in un videogioco punto.
Sopra ho scritto Monster Hunter, un po' per introdurre subdolamente il Giappone nel discorso, un po' perché così, parlando di botte, posso arrivare a inserire pure Dark Souls senza passare per il solito fanboi. Perché è innegabile che nel sistema di combattimento di Horizon ci sia una certa influenza anche di quel gioco lì, perché c'è una pesante enfasi sulle animazioni e sul posizionamento, perché più in generale anche i ROBOSAURI più piccini richiedono un'oncia di rispetto e sono in grado di rovinarti la giornata in pochi secondi se ti distrai, giù giù fino a dettagli più minuti e tecnici, tipo la scelta di mettere dei frame di invincibilità sulle rotolate (o schivate, chiamatele come volete, tanto fa comunque schifo).
Detto questo, influenze o meno, Horizon fa prima di tutto la sua cosa. È un gioco che richiede precisione in movimento (e infatti incoraggia un largo uso di rallenty alla Red Dead Redemption, da usare con parsimonia per semplificarsi la vita), capacità di improvvisazione e attenzione... spaziale? Non lo so, come si dice? Comunque, sapersi guardare in giro e sfruttare lo spazio a 360°. E a mirare con attenzione: c'è questa idea assolutamente magnifica che colpire parti specifiche di un ROBOSAURO significa per esempio disattivargli un'arma o causare una ESPLOSIONE GROSSA. Ci sono trappole e mitragliatori e lanciarazzi e il lazo, c'è la possibilità di corrompere l'I.A. dei ROBOSAURI e farli combattere tra di loro.
È, spesso e volentieri, un casino incredibile e frenetico, e le pur sempre immancabili boss battle possono protrarsi anche oltre il quarto d'ora (lo so perché ho provato a registrarne una per questo pezzo e non sono riuscito a farcela stare tutta, ma magari sono lento io). E il bello è che nella maggior parte dei casi non è necessario, Horizon può essere tranquillamente affrontato come un simulatore di turismo post-apocalittico con qualche occasionale combattimento qui e là. Oppure si può salire in groppa a un POLLOSAURO e galoppare verso uno dei grossissimi ROBOSAURI che passeggiano più o meno pacificamente in giro per il mondo (ci pensate? È un gioco popolato di boss battle, volendo) e provare a fargli il culo perché è tutto dannatamente divertente.
C'è anche tanta fuffa, non vorrei che passasse l'idea che va tutto bene. Il tentativo di dare personalità a ogni più piccola quest secondaria inciampa spesso su una buccia di ROBOSAURO e finisce faccia a terra: ce ne sono pochi che rimangono davvero impressi. Niente collezionisti di cucchiai per capirci, e durante l'immancabile "rallentamento nel secondo atto", una fra le più classiche stampelle da open world per costringere il giocatore a imbarcarsi in un numero congruo di attività opzionali, si fa strada a tratti la sensazione di star solo cancellando voci da un elenco. La già citata parsimonia generale di attività e qualche missione particolarmente azzeccata impediscono per fortuna a Horizon di collassare come l'ultimo degli Assassin's Creed, e in questo senso il recentemente uscito The Frozen Wilds è un'ulteriore promessa di migliorarsi da parte di Guerrilla in vista dell'immancabile, e francamente necessario, sequel.
Il DLC è, come nella cara vecchia tradizione delle espansioni di una volta, un microcosmo in hyper mode del gioco principale. È un'intera nuova area, aggiunta alla mappa del mondo e accessibile quasi immediatamente per chi dovesse giocare solo ora a Horizon, con nuove generiche Cose da Fare, ma fatte meglio sotto tutti i punti di vista – scritte meglio, più lunghe, articolate e interessanti del classico "Ho perso il ciondolo della nonna Batonga, me lo vai a recuperare in quella TANA DI ROBOSAURI?", persino animate meglio. Ci sono nuovi ROBOSAURI: sono più grossi e interessanti di quelli che già c'erano. Ci sono nuove armi: sono molto forti. È ovviamente una roba inaffrontabile per le prime venti/trenta ore di gioco, quindi non c'è rischio che ne rovini l'equilibrio, ma è una dimostrazione di come sia possibile lucidare e ripulire ulteriormente un materiale di partenza già scintillante.
(Ah, nel caso non fosse chiaro c'è anche un Photo Mode di livello altissimo, che compete senza fatica con quello di Uncharted 4. Tutti gli screenshot del pezzo vengono da lì, se volete li ho raccolti tutti, insieme a molti altri, qui. Magari vi serve un nuovo sfondo del desktop)
Quindi la morale di questa storia è che i ROBOSAURI sono belli come li si dipinge. Guerrilla si è presa la responsabilità di mettere in piedi un mondo interessante e di farcelo vivere attraverso lo sguardo di un personaggio altrettanto interessante, nella speranza di costruire una fanbase sufficiente a dare il via a un franchise vero e proprio. Diciamo che Zero Dawn è il pilot? Per quanto apocalittico possa sembrare vivendolo da dentro, è comunque un universo che promette molto di più, soprattutto alla luce di certe rivelazioni di The Frozen Wilds. È nuovo, è originale, è interessante e ci sono i ROBOSAURI: mi arrendo allo zeitgeist, ne voglio ancora.
Ho giocato a Horizon: Zero Dawn su una copia digitale acquistata con il mio pazzo e sudato cash dallo store di PlayStation (mi hanno anche mandato una copia promo fisica, ma il Blu-ray è rovinato e il gioco non gira, come ai vecchi tempi). Ci ho speso una cinquantina di ore (più altre dieci circa per The Frozen Wilds), durante le quali ho fatto tutte ma proprio tutte le quest secondarie – a parte quelle della loggia dei cacciatori o come diavolo l'hanno tradotta in italiano, perché che palle –, ho fatto esplodere decine di ROBOSAURI e ho fatto tante foto al paesaggio. Mi preme sottolineare che il gioco è stato completato con una percentuale del 77% di headshot sulle frecce totali che hanno colpito un essere umano. Come al solito, se acquistate il gioco su Amazon passando dai nostri link, ci fate ricevere una piccola percentuale di quanto spendete, senza sovrapprezzi per voi. Potete farlo su Amazon Italia a questo indirizzo qui o su Amazon UK a quest'altro indirizzo qua.