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I (nostri) migliori anni del videogioco: 2012, la fine del mondo

Qualche mese fa, nel cappello introduttivo alla mia recensione di Prey su The Shelter, scrivevo che “a dispetto delle catastrofiche profezie Maya, il 2012 è stato un anno ricco di soddisfazioni per noi appassionati di videogiochi. Nel giro di pochi mesi ci siamo commossi con la prima stagione del The Walking Dead di Telltale, abbiamo percorso le lande desolate di Journey, ci siamo scaldati di fronte al camino di Little Inferno e abbiamo danzato al ritmo psichedelico di Hotline Miami. Dulcis in fundo, Dishonored ha rapito il nostro cuore, guadagnandosi il plauso di pubblico e critica. In un periodo dove le grandi produzioni sacrificavano l’interattività in favore di cut scene e set piece di stampo cinematografico, l’opera di Arkane è stata un fulmine a ciel sereno. Parliamo di un titolo dal sapore romantico, che celebra la libertà quale esigenza fondamentale dell’homo ludens, stabilendo un punto di contatto fra Thief e il videogioco moderno.

Potrei annoiarvi a lungo lodando l’eccezionalità del suo level design, o le infinite possibilità di approccio che offre all’utente per raggiungere gli obiettivi imposti dalle varie missioni. In questa sede, preferisco rimarcare la cura certosina riposta dallo studio francese nel dare vita a un universo straordinario, affascinante come pochi altri. Ogni scenario di Dunwall non solo risulta credibile, ma riesce a raccontarci con dovizia di particolari la storia della capitale di Gristol e degli abitanti che la popolano. Giocando a Dishonored, si entra in una dimensione fuori dal tempo, dove si cessa di essere se stessi per diventare cittadini dell’Impero delle Isole, un mondo così pulsante di vita da apparire reale almeno quanto il nostro.

Persone più colte del sottoscritto definirebbero Dishonored come un’opera seminale, un capolavoro che segnerà l’evoluzione e la storia del medium per gli anni a venire. La sua sola esistenza basterebbe per ricordare il 2012 come un periodo estremamente felice, tuttavia - come già accennato - non sono mancati ulteriori motivi di gaudio.

Journey

Nonostante mi professi agnostico fin dai tempi del liceo, con Journey ho vissuto un’esperienza religiosa di rara intensità. Per un fugace attimo, mi sono persino sentito vicino all’Onnipotente. Il mio amore per Dio è cresciuto ad ogni passo mosso dal viandante, alimentato dagli incontri con gli altri nomadi, presto diventati occasione di comunione fraterna; dalla contemplazione del Bello che si stende a perdita d’occhio e riempie il cuore; dal vento che accarezza la pelle ricordandoti che non sei mai solo. Ho vagato disperatamente alla ricerca di me stesso e alla fine ho trovato la luce. Accecante, algida, pura. In quel momento, ho creduto. Non per paura, ma perché in questa vita c’è troppo di cui essere riconoscenti per non farlo almeno una volta. Parafrasando le parole del maestro Ferretti (erano davvero sue?), ringraziare voglio il divino per Journey, che ci fa vedere gli altri come li vede la divinità.

Le storie, quelle belle

Sopra ogni altra cosa, il 2012 è stato l’anno dei videogiochi che ci hanno fatto versare lacrime virili. Non solo perché ci hanno permesso di vivere storie genuinamente emozionanti, ma per il fatto stesso di essere stati capaci di dare vita a racconti scritti e sceneggiati come Cristo comanda. Abbiamo avuto la dimostrazione incontrovertibile che il medium non si presta solo a inscenare l’ennesima male power fantasy ma può essere sfruttato per una critica accorata alla società consumista (Little Inferno), per descrivere gli orrori dei conflitti bellici (Spec Ops: The Line) o per proporre esperienze senza precedenti grazie a peculiari commistioni con il linguaggio cinematografico (Thirty Flights of Loving, The Walking Dead) o quello letterario (Dear Esther). Un passo avanti per niente scontato, visti i risultati altalenanti raccolti da precursori come il buon De Gruttola.

Hotline Miami

Penso non ci sia altro modo per raccontarvi Hotline Miami se non come di un’esperienza fra il mistico e il trascendentale. Qualcuno potrebbe obiettare che “gioco d’azione con visuale a volo d’uccello” sarebbe una descrizione più efficace, ma non basterebbe per farvi intuire le caratteristiche che lo elevano sopra gli altri esponenti del genere. Del resto, il punto di forza del lavoro di Dennaton Games è il riuscire a farci diventare un tutt'uno con il gioco, come se le nostre onde cerebrali si sincronizzassero sullo stesso ritmo dei beat e delle animazioni. Alla stregua dell’innominato personaggio di cui controlliamo i movimenti (o sono i suoi movimenti a guidare il flusso dei nostri pensieri?) diventiamo un automa spinto dalla sete di sangue. Il nostro unico obiettivo è uccidere e non avremo pace fino a quando non avremo fatto fuori ogni singolo avversario. Oltre ad avere la colonna sonora più bella di sempre, Hotline Miami è il frutto dell’ingegno umano che più d'ogni altro ha dato significato al termine sinestesia, superando persino un cult come REZ.

L’epoca d’oro degli indie

Il 2012 è stato un anno particolarmente prolifico anche per le produzioni indipendenti, un periodo d’oro che si è concluso poco dopo, quando il mercato ha iniziato a essere sommerso da vagonate di titoli di dubbio gusto. Oltre alle produzioni già citate nei paragrafi precedenti, mi sento moralmente obbligato a menzionare FEZ, FTL: Faster Than Light e Spelunky. Il primo, opera del mai banale Phil Fish, è un metroidvania dal fascino sfuggente, tra i cui anfratti si celano misteri che hanno richiesto lo sforzo congiunto di migliaia di giocatori per essere svelati. Gli altri due declinano in modo diametralmente opposto (ma altrettanto riuscito) le meccaniche tipiche dei roguelite, per fornire ai giocatori un canovaccio capace di racchiudere un numero virtualmente infinito di storie. Ancora oggi, dopo averli spolpati fino al midollo, ogni tanto mi ritrovo ad avviarli per godermi l’ennesimo viaggio tra le profondità dei loro mondi.

Halo 4

Senza ombra di dubbio, Halo 3 è uno dei miei titoli preferiti della scorsa generazione. A distanza di dieci anni, la battaglia contro i due Scarab rimane l’esperienza più esaltante che abbia mai vissuto all’interno di un videogame, un concentrato di adrenalina ed esaltazione che non ho più provato nella stessa misura. Proprio per questo motivo, non sono riuscito a perdonare 343 Industries per aver trasformato Halo in uno sparacchino lineare come un Call of Duty qualunque, totalmente privo degli scontri su larga scala che mi avevano fatto amare i suoi predecessori. Eppure, il 2012 è un anno così fuori di testa che anche il gioco che mi ha maggiormente deluso, in realtà, non è affatto da buttare. Vi dirò di più, probabilmente si tratta del capitolo in cui si esplorano le ambientazioni più interessanti dell’intera serie, oltre che quello con la trama più profonda. Non fosse stato per le aspettative legate al nome che porta, avrei amato Halo 4 (quasi) quanto gli altri.

Wii U

Il successo travolgente di Switch dimostra che con Wii U, in fin dei conti, Nintendo ci aveva visto giusto. Potersi godere sul trono di porcellana dei videogiochi con tutti i crismi è un’idea che ci stuzzica fin dall’alba dei tempi, peccato che la realizzazione abbia lasciato a desiderare. La pessima ricezione del GamePad impedisce di allontanarsi per più di un paio di metri della console, mentre l’orrida qualità del suo schermo è riuscita a scoraggiare anche i più entusiasti. Ad oggi, il lascito di Wii U è una lineup di esclusive dalla qualità media vertiginosamente alta, fra cui possiamo annoverare alcuni dei migliori capitoli delle saghe storiche di mamma N (su tutti, Mario Kart 8). Un risultato mica da ridere, visto il flop commerciale che ne ha segnato la prematura dipartita.

PlayStation Vita (ebbene sì)

Sulla stessa falsariga, l’ampio consenso di cui gode Switch ci impone di rivalutare persino PlayStation Vita. D’altro canto, il concept dietro la sfortunata console portatile è lo stesso: consentire una degna fruizione scatologica del medium videoludico. Nel suo caso, nonostante la console in sé fosse un gioiello di rara bellezza, a mancare sono stati i giochi ad alto budget degni di nota (mi rifiuto di considerare robaccia quale Gravity Rush e Uncharted: L'abisso d'oro). In barba allo scarso supporto offerto da mamma Sony, Vita è riuscita a conquistarsi un posto speciale nel mio cuore come indie/retro machine di lusso: concedersi l’ennesima partita a Final Fantasy IX e Spelunky sul suo meraviglioso schermo OLED è un piacere che ha pochi eguali.

Tutti gli altri

Il 2012 è stato un anno assurdamente ricco di uscite meritevoli, stilarne un elenco comprensivo sarebbe pressoché impossibile. Fra i grandi assenti nella mia lista troviamo titoli del calibro di Mass Effect 3, Xenoblade Chronicles, Borderlands 2, Mark of the Ninja, Far Cry 3, Trials Evolution, XCOM: Enemy Unknown, Diablo III, Max Payne 3, Forza Horizon, Sleeping DogsDragon’s Dogma e Tokyo Jungle.

Alcuni di questi si sono limitati a piacermi senza sconvolgermi; altri non ho avuto modo di recuperarli sebbene abbia intenzione di farlo, perché le nostre giornate durano appena ventiquattr'ore; ad altri ancora potrei non giocarci mai, visto che appartengono a generi che non rientrano nelle mie corde. Infine, preferisco tenermi alla larga dal terzo capitolo di una saga di cui ho tanto amato il primo episodio quanto odiato il secondo.

Cosa più importante, siamo ancora vivi

E viste le inquietanti premesse, non era per niente scontato.

Il 2012 riassunto in maniera arbitraria e incompleta: Borderlands 2, Diablo III, Dishonored, Far Cry 3, Fez, Forza Horizon, FTL - Faster Than Light, Halo 4, Hotline Miami, Journey, Little Inferno, Mark of the Ninja, Max Payne 3, Mass Effect 3, Persona 4, Spelunky, Thirty Flights of Loving, The Walking Dead, XCOM: Enemy Unknown, Xenoblade Chronicles, Wii U.

Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.