Alwa's Awakening e le merendine di una volta
Che il mondo indipendente guardi da anni con malizia a quello degli otto bit è ormai noto. Tra progetti di amore genuino e freddi calcoli di mercato sulle ali del nostalgismo, il panorama dei giochi indie pullula di giochi “pseudo-NES” che replicano, in parte in realtà, il look and feel della storica console Nintendo. Spesso sono dei platform, come nel caso del fortunato Shovel Knight. E altrettanto frequentemente sono invece dei metroidvania, come questo Alwa’s Awakening.
A voler essere pignoli, più che a Symphony Of The Nihgt e Super Metroid, Alwa’s Awakening sembra rifarsi a Castlevania II: Simon’s Quest. La piccola Alwa è chiamata infatti ad esplorare un gran mondo, con livelli tra loro interconnessi e con una progressione non lineare, che spesso porterà a tanto backtracking per poter raggiungere quella zona prima preclusa perché privi di un oggetto o un’abilità specifica. Nulla che raggiunga quanto visto nelle più celebri avventure di Samus o del recente Axiom Verge: il backtracking di Alwa è spesso un mero andare da un punto A a un punto C prima “chiuso”, passando per il punto B già esplorato. Non che sia necessariamente un difetto, però: come già detto, i natali di Alwa affondano in giochi precedenti alla corrente dei metroidvania, quindi pace fatta e amicizia lunga.
Buoni sentimenti che però si interrompono di tanto in tanto durante il gioco, quando, a fronte di controlli reattivi e precisi, le collisioni si svelano come realizzate in maniera molto meno certosina. Questo, considerando il fatto che la resistenza della maghetta Alwa si limita a soli tre cuoricini, può rendere il tutto un po’ frustrante, complici i save point a volte troppo distanti tra loro. La piccola protagonista può aiutarsi nella battaglia contro le creature del male e nell’esplorazione delle pericolose lande di pixel menando fendenti con la sua bacchetta magica e utilizzando quest’ultima con simpatici incantesimi, come quello che evoca un blocco verde o l’altro che invece crea un’azzurra bolla svolazzante.
Poteri non certamente votati all’attacco, che palesano l’essenza di Alwa’s Awakening: quella di essere un gioco molto più orientato alla risoluzione dei puzzle e alla precisione salterina che alla freneticità dei combattimenti. Anche gli scontri con i boss, infatti, richiedono, oltre alla solita vecchia memorizzazione dei loro schemi d’attacco e movimento, un pizzico di pensiero, spesso legato all’utilizzo del potere appena guadagnato. Insomma, come già giocato in tanti episodi di The Legend Of Zelda. Solo che, complici le collisioni di cui sopra e una difficoltà calibrata un po’ come un organo riproduttivo di un canide maschio, le boss fight sono la più grande fonte di frustrazione di un gioco quasi sempre invece godibile.
La presenza di questi picchi, inspiegabili, di difficoltà è un vero peccato. Non forniscono infatti alcun valore aggiunto, non rendono le sezioni o i boss più interessanti e, anzi, finiscono per farsi strada nei ricordi di gioco più di altri elementi invece decisamente ben realizzati di Alwa’s Awakening. Tra tutti, vorrei citare la colonna sonora, davvero bella, con un paio di brani strepitosi. Così come lodevoli sono certi passaggi, veramente appassionanti, che reggono da soli un mondo altrimenti piuttosto povero e anonimo, con i pochissimi NPC relegati a ruolo di macchiette senz’anima.
Insomma, Alwa’s Awakening mi è parso un gioco con molta più anima di tanti “revival a otto bit” (Double Dragon IV... coff) ma, purtroppo, carente di alcune rifiniture e accorgimenti che lo avrebbero elevato qualitativamente sopra la sempre più affollata marea di titoli simili. In poche parole, il classico caso di “bene ma non benissimo”. Il più solito dei “Vai a sapere”.
Ho giocato ad Alwa’s Awakening grazie a un codice Steam fornitomi dallo sviluppatore. L’ho alternato per tanti giorni a Double Dragon IV, tra pad e arcade stick, per avere un feeling supernostalgico. Purtroppo al supermercato ancora niente Soldino, mannaggia.