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The Great Wall mette tutti d'accordo (?)

The Great Wall segna probabilmente un nuovo passo nella sempre più forte storia d'amore fra Hollywood e la Cina, una storia d'amore che fino a oggi ci ha regalato grosse coproduzioni con star cinesi e sottoproduzioni con attori americani di secondo, terzo, quarto e dodicesimo piano impegnati a recitare all'ombra della muraglia. Qui, però, se non mi sfugge niente, forse per la prima volta si mira così alto a livello di nomi coinvolti per strizzare brutalmente l'occhio anche al pubblico occidentale. Sui cartelloni, infatti, c'è Matt Damon, che il suo bello star power continua ad avercelo in tutto il mondo. A circondarlo, un cast di nomi orientali dal peso non indifferente (Andy Lau forse il più riconoscibile da queste parti), con Willem Dafoe nel classico ruolo minore per pagarsi la rata del mutuo e un paio di altri caratteristi per far numero. Alla regia Zhang Yimou, per la prima volta alle prese con un film recitato in lingua inglese e talmente interessato alla faccenda che il pilota automatico sembra averlo inserito sei mesi prima di iniziare le riprese.  E il sapore è quello del film studiato interamente a tavolino, messo assieme seguendo il manuale per fare il compitino pulito e preciso.

C'è tutto quel che ci deve essere per provare ad accontentare il pubblico di ogni lato del pianeta. L'eroe occidentale ha spazio e carisma, biascica coi suoi compagni esprimendosi a base di accenti improbabili pescati in giro fra lande oscure europee e si presenta in Cina arrogante ma spaesato. Fa la sua figura, tiene alto l'onore degli invasori pallidi ma non esagera nell'improvvisarsi grande salvatore, anzi, viene infilato nel ruolo di quello che ammira le meraviglie e la grande saggezza nonché putenza del popolo cinese, diventando personcina migliore grazie allo scontro culturale e dando sì una mano nella battaglia finale ma senza risultare decisivo per i fatti suoi. Perché i cinesi sanno cavarsela anche da soli, per quanto l'unione dei popoli e le alleanze contro i mostri cattivi possano dare una mano.

Il cast, si diceva, è pieno di facce (per lo più orientali) note, ma i personaggi sono quasi tutti poco più che cartonati per far numero e, prevedibilmente, il solo Andy Lau ha un ruolo vagamente corposo, anche se più per minutaggio che per reale approfondimento del personaggio. E in linea di massima un po' tutto il film sembra messo assieme cronometro alla mano, cercando di dare quel minimo di spazio ad ogni attore, ciascuno con la sua scena (per lo più di morte) eroica, e procedendo spediti a suon di battaglie coi mostri brutti in CG che arrivano dal folklore cinese in uno script firmato da un comitatone di quattro occidentali. Zhang Yimou ci mette i colori sparati a mille e qualche bell'immagine, mentre l'adorabile pacchianeria del sentimento senza vergogna da cinema orientale viene brutalmente smorzata dalla produzione di marca occidentale. Alla fin fine è un pasticcione anche gradevole, ma insomma, è un po' l'inevitabile cosetta insapore cerchiobottista che doveva essere. Non dà fastidio, fa il suo misero dovere e te ne dimentichi subito.

L'ho visto al cinema, qua a Parigi, un mesetto fa, perché da noi è arrivato prima, che culo! In Italia ci esce questa settimana e so che non aspettavate altro.