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Porca miseria, sono dieci

Eh, sì, la mia prima volta alla Game Developers Conference fu nel 2008, portato a forza da un Solettone che già da qualche anno mi diceva “Ci devi troppo andare” e introdotto al fantastico mondo delle fiere di videogiochi come piacciono a me. Calme, rilassate, piene di approfondimenti e roba interessante, con gente che non sta impazzendo per il marketing e ha voglia di chiacchierare per davvero, con valanghe di giochi piccoli e grandi, alcuni belli, alcuni brutti, che altrove finirebbero in ombra e lì trovano il giusto spazio. È stato amore immediato, istantaneo e dolcissimo, nonostante fosse un periodo in cui, per qualche anno consecutivo, la GDC provò a fare l’E3 in miniatura, con le grosse presentazioni e i grandi eventi. Poi, pian piano, è tornata alla sua dimensione, mentre Solettone smetteva di frequentarla e introducevo Fotone al fantastico mondo delle fiere di videogiochi in cui ci si gratta la barba facendo lo sguardo intenso.

Questa è la mia espressione di fronte al Session Scheduler della GDC.

Forse mi sono fatto prendere la mano dall’idea della bloggata personale sul prepartenza e sto parlando un po’ troppo degli affari miei, ma insomma, arrivo dopo quattro giorni in cui altri quattro sciamannati che verranno a San Francisco con me hanno estratto melodramma e commozione, come fai a dare seguito a una roba del genere? Io, di mio, posso dire che se c’è una singola cosa bella che mi è arrivata dall’aver lavorato nel settore dei videogiochi, se proprio devo sceglierne una con la pistola alla tempia, punto il dito sulla GDC e sul piacere che è nato da quando Solettone mi ci ha trascinato un paio di volte, prima che diventasse appuntamento per me imperdibile. Sono stato all’E3, sono stato alla Gamescom, sono stato al Tokyo Game Show, sono stato allo SMAU e sono stato perfino all’ECTS, oltre a tutte quelle cosette bizzarre tipo GDC Europe, Quo Vadis, DICE e Nordic Games, ma The Original GDC non si batte. È sempre un momento fantastico, anche nei suoi momenti peggiori.

Questa è la mia espressione di fronte al Moscone Center.

È una roba a cui non riesco proprio a rinunciare, al punto che ormai iniziano ad essere tante le edizioni in cui, pur di esserci, mi sono autofinanziato buona parte della trasferta. E iniziano ad essere tante le chance che ogni volta sia l'ultima volta, perché la famiglia, l'erede, gli impegni, i soldi, devo fare la casalinga, è un casino, non ce la facciamo proprio. Ma chissenefrega del futuro, godiamoci il presente, che è quello di una roba che ancora una volta, ne sono certo, amerò alla follia. Poi, voglio dire, la amerei alla follia in ogni caso, figuriamoci con questa banda di sciamannati al seguito e con quelle due o tre cose che abbiamo già programmato di fare, fra la gitarella del sabato, il solito ristorante giapponese degli zupponi, il panino da Ike's, le spedizioni al cinema e quant'altro. E, sì, c'è anche il fatto che questa volta spingeremo più del solito nel raccontare tutto quanto su Outcast, perché per la prima volta, poeticamente proprio alla mia decima volta, non siamo lì per nessuno, ma proprio nessuno, che non siano gli outcazzari. Noi, e voi. Soprattutto noi, s'intende, ma anche voi. Non è vero, scriveremo qualcosa anche su The Games Machine, ma quello lo facciamo al ritorno, non vale. Quindi, insomma, vogliateci bene, vogliamoci bene e godiamoci una GDC alla grandissima. Noi sei/sette e voi dodici che siete interessati, s'intende.

Questa è la mia espressione di fronte all'enorme svagonata di merda uscita da mia figlia nelle ultime due settimane.