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Lightfield: corse futuristiche a 360 gradi

Con mio sommo giubilo, gli ultimi anni hanno visto un vero e proprio rinascimento del genere di “corse futuristiche”, inventato e portato alla ribalta nel corso degli anni ‘90 e 2000 da titoli storici come F-Zero di Nintendo e Wipeout della compianta Psygnosis. La sfida di portare nella nuova generazione e di innovare con giochi di questo tipo, dimenticati e bistrattati per anni forse anche a causa della cronica assenza di nuove idee, è stata raccolta perlopiù dalla scena indipendente e ha condotto negli ultimi anni a una serie di giochi pregevoli, ognuno differente dall’altro per diverse peculiarità e approcci. Redout, degli italianissimi 34BigThings, si concentra su un’esperienza di gioco essenziale e sulla volontà di restituire una sensazione di velocità e frenesia propria dei titoli della serie Wipeout, pur con una grafica dai colori pastello e meno “neon” (palette che ultimamente ha anche un po’ rotto il cazzo). L’erede dell’esperienza di F-Zero sembra invece essere Fast Racing Neo (e la sua eccezionale versione per Nintendo Switch Fast RMX), col suo gameplay leggermente più ragionato e le sue meccaniche di cambio colore che sembrano prese pari pari da Ikaruga. Segnalo anche Formula Fusion, attualmente in early access e realizzato da alcuni membri del team di sviluppo originale di Wipeout: pur rifacendosi al capostipite del genere, introduce nuove e consistenti possibilità di personalizzazione dell’hovercraft da pilotare e dell’esperienza di gioco in generale.

Insomma, per gli amanti del genere come me, gli ultimi anni sono stati una vera manna dal cielo e gli sviluppatori corrono forse il rischio opposto di saturare il mercato dopo anni di siccità.

In questo panorama si inserisce, con le unghie e con i denti, Lightfield, opera prima del neonato studio viennese Lost in the Garden. Ho potuto provare il gioco durante il recente MIX@GDC17, chiassoso e gigantesco side-event destinato alla diffusione e promozione di alcune delle migliori produzioni indie in arrivo. Il caotico showfloor del MIX mal si prestava all’esperienza di gioco frenetica e lisergica che Lightfield offre, ma i ragazzi austriaci ci hanno gentilmente inviato una versione di test da provare tranquillamente a casa. Ed è una bomba!

Se Lightfield fosse disponibile anche in VR, probabilmente vomitereste pure il pranzo di Pasqua del '92.

Andiamo per gradi: Lightfield si distanzia significativamente dai concorrenti proponendo un’esperienza più innovativa e interessante. Non si può parlare di veri e propri tracciati, in cui correre a rotta di collo, quanto di mappe o ambienti di gioco più vicini a quelli di un simulatore di volo spaziale. La nostra astronave, infatti, può muoversi in tutte le direzioni liberamente, a una velocità ridotta, oppure può agganciarsi con la pressione di un pulsante a qualunque superficie della mappa e accelerare rapidamente fino a raggiungere velocità smodate. Dimenticate quindi tracciati lineari, percorsi da seguire più o meno rigidamente o guardrail che ci proteggono dalle cadute; anzi, il concetto stesso di gravità diventa del tutto relativo, visto che potremo volare liberamente, una volta sganciata la navicella dal tracciato.

Nei tracciati non mancano spunti organici e lisergici.

Il tutto si tramuta in un’esperienza di gioco inebriante e coinvolgente, in cui trovare i percorsi migliori attraverso gli ampi tracciati, saltando di superficie in superficie a 360 gradi per sfruttare la maggiore velocità della nostra navetta quando è ancorata, soprattutto negli ampi spazi vuoti che le mappe talvolta propongono. Ad esempio, in uno dei tre bellissimi tracciati messi a disposizione in questa versione di prova, ci si ritrova in una enorme galleria apparentemente vuota, nella quale però sono sospesi una serie di grossi “globuli rossi”. Volare semplicemente attraverso di essi è troppo lento ed è quindi necessario saltare di globulo in globulo per cercare di mantenere una velocità elevata ed evitando, possibilmente, di schiantarsi. Inoltre, è possibile effettuare semplici trick, drift e tecnicismi vari per ottenere piccoli turbo. Niente armi, niente fronzoli, solo questo particolare e molto tecnico sistema di controllo.

Le mappe, inoltre, propongono una modalità di esplorazione, oltre ai classici time trial e corsa, in cui è possibile girovagare liberamente all’interno dell’ambiente di gioco alla ricerca di vari oggetti collezionabili che sono poco più di una scusa per invogliare il giocatore a esplorare la mappa alla ricerca di percorsi nascosti. Il tutto con una presentazione chiara, gradevole, essenziale e dai colori leggermente desaturati, in cui spiccano le coloratissime tracce à la Tron lasciate dalla nostra navicella e dai nostri avversari. Questo genere ha da sempre offerto colonne sonore principalmente elettroniche e Lightfield non fa eccezione, ma anche in questo campo riesce a distanziarsi dai suoi concorrenti, offrendo un approccio più destrutturato al ritmo martellante di altri titoli grazie alle musiche di Zanshin, giovane produttore austriaco di musica elettronica.

Un video del gameplay dice molto più di mille parole.

Insomma, Lightfield mi ha proprio divertito già in questa forma e non vedo l’ora di mettere le mani sul gioco completo. Se siete fan del genere, vi consiglio assolutamente di tenerlo d’occhio. La beta ad accesso stampa che ho provato girava normalmente su Windows ma sul sito degli sviluppatori il titolo risulta in uscita solo su PS4 e Xbox One. Vai a sapere™.