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Quattro chiacchiere con l’art director di La terra di mezzo - L’ombra della guerra

Lunedì scorso, al termine della presentazione di La terra di mezzo - L’ombra della guerra, mentre Antonio era sempre più colto dalla febbre dell’anello, gasatissimo per il seguito di un gioco da lui molto amato, e io ero sempre più colto dalla febbre vera e propria, che il giorno dopo mi avrebbe costretto a letto, ci siamo fatti una chiacchierata con l’art director Philip Straub. Abbiamo parlato delle fonti d’ispirazione, delle sfide proposte da un’ambientazione più ampia, di generazione procedurale e altro ancora. Non so se gli ho attaccato qualche malanno, ma di seguito potete leggere l’intervista (l’anteprima scritta da Antonio, invece, la trovate a questo indirizzo).

Che genere di libertà avete nel decidere quanto ispirarvi al materiale d’origine e quanto partire per la tangente con le vostre creazioni?

Dal nostro punto di vista, almeno per quel che concerne il piano visivo, si tratta di un gioco basato su una proprietà intellettuale fantasy molto amata, ma è anche un’opera ad ambientazione storica. E infatti per noi l’obiettivo primario è fare in modo di restituire un senso d’autenticità. Serve fedeltà al mondo e alla mitologia originale, deve avere tutto senso all’interno del canone, ma questa cosa va anche bilanciata con l’idea di stare realizzando un gioco ad ambientazione storica, in quello che fondamentalmente è un mondo medievale. E l’ispirazione arriva anche da lì, dalla realtà del nostro medioevo. Ogni genere di libertà che ci prendiamo, quindi, passa comunque attraverso quel filtro di realismo.

Anche da un punto di vista geologico, non è che ci inventiamo rocce a caso, ragioniamo sulla composizione degli scenari, ci basiamo su foto di riferimento, studiamo il genere di vegetazione che ha senso nelle diverse ambientazioni. E lo stesso discorso vale per i personaggi: che genere di vestiario, di armature, di attrezzi ha senso per quel periodo storico? È davvero tutto basato sulla fedeltà a un periodo storico reale, mescolata al materiale d’origine tolkeniano.

Vi basate anche molto sul materiale visivo derivato dai film?

Beh, sì, dai film arriva una grossa fetta di ispirazione, così come anche da altre fonti legate alla cultura popolare. Ma al di là di tutte le ispirazioni, c’è poi il nostro lavoro: abbiamo un team di grande talento ed esperienza, che sa come lavorare sullo studio di colori, luci, silhouette, movimenti, interpretazioni… stiamo comunque creando un mondo nostro e dandogli vita.

Fra l’altro, in questo caso le dimensioni del mondo su cui state lavorando sono aumentate notevolmente… anche in quel senso, siete partiti da zero o vi siete basati molto sui materiali già esistenti?

Indubbiamente c’è molto materiale su cui basarsi, fra descrizioni e mappe, quello è stato il punto di partenza. E, come dicevo prima, nella costruzione del mondo ci siamo anche basati molto su un lavoro di documentazione in luoghi reali, con fotografie di riferimento e quant’altro per le varie regioni del gioco. Da lì siamo poi partiti a lavorare creando molto materiale di studio, immagini e bozzetti a valanga, dipinti, per definire la geologia, la flora, la fauna e l’architettura delle ambientazioni. Una volta fatto tutto questo lavoro, ci siamo messi a creare i contenuti veri e propri.

L’obiettivo era soprattutto di creare un mondo che avesse grande biodiversità e che si prestasse anche molto all’idea di gameplay dallo sviluppo verticale. Un tema di cui ho chiacchierato spesso col team è ciò che chiamo “psicologia spaziale”, l’idea di avere zone contenute, ma che sappiano anche svelare molto. Quando esci da una grotta o ti arrampichi su una collina, hai quella sensazione di meraviglia e di sorpresa data dallo svelamento di un nuovo scenario. Inoltre, volevamo avere strutture ed elementi dalla grande forza iconica, che caratterizzassero le diverse zone della mappa. E il processo è sempre quello: si parte da un’idea, si ragiona sui materiali di riferimento, si fanno bozzetti e poi si crea il contenuto.

Quando si assegna a un sottoposto il controllo di una fortezza, la sua natura va ad influenzare la natura della regione. Questa cosa ha effetti pesanti anche sul piano estetico?

Assolutamente, anzi, è una fra le cose più belle di quel sistema…

Dev’essere stato uno sbattimento colossale!

No, anzi, è stata una bella sfida, appassionante. Ne L’ombra di Mordor già avevamo questi antagonisti “personali” e il loro look, ciò che dicevano, come si interagiva con loro, come li si affrontava… si evolveva e cambiava tutto. Nel seguito, abbiamo preso questo concetto e l’abbiamo applicato al mondo di gioco. Per esempio, c’è il fatto che il sistema va ad influenzare l’illuminazione, le condizioni meteorologiche, l’atmosfera. Cambia tutto in base a chi metti al controllo della fortezza, si può passare da un taglio estremamente cupo e brutale a una situazione magari ben più allegra, luminosa, col cielo azzurro. E poi può cambiare la fortezza: tutti gli elementi architettonici principali cambiano in maniera anche radicale a seconda di chi la controlla, chiaramente andando a seguire quello che è lo stile del personaggio.

Ovviamente, abbiamo lavorato per fare in modo che le varie tribù a cui possono appartenere questi personaggi fossero molto diverse fra loro sul piano estetico, ma entrano in gioco anche elementi di gameplay: c’è chi è abituato a lavorare con gli animali, e quindi se li porta dietro nella sua fortezza, ognuno ha le sue armi preferite ecc…

Ci sarà anche una valanga di armi e armature differenti… come si sviluppa la creazione dell’equipaggiamento? Gli spunti nascono da voi del team artistico o da chi si occupa del gameplay? Lavorate assieme?

C’è grande collaborazione, diciamo che non lavoriamo in catena di montaggio. A volte un’idea arriva da chi scrive la storia e noi ci occupiamo di svilupparla, a volte siamo noi a proporre qualcosa che ci sembra adatto a questa o quella tribù, perché ci sembra visivamente stimolante… Lavorare sull’aspetto visivo di un gioco così vasto è stato interessante, anche perché volevamo conservare l’identità del personaggio, di Talion. Deve continuare ad essere lui, ma deve anche subire tutte queste influenze esterne e deve adattarsi al mondo di gioco. È un lavoro di bilanciamento non banale.

Armi, personaggi eccetera… è tutto creato a mano o c’è una qualche forma di generazione procedurale?

Ogni singolo pezzo di contenuto è creato da noi, ma va ad alimentare il sistema procedurale. Sostanzialmente, noi creiamo un quantitativo abnorme di contenuti, che possono essere poi assegnati, per esempio, ai diversi livelli di Talion, o magari a un ruolo, a una classe o a una tribù d’orco. Sono tutte cose che si intrecciano fra loro, il ruolo occupato da un orco, la sua classe, la tribù a cui appartiene… e chiaramente c’entra anche l’interazione da parte del giocatore.

Quindi, giocando, potremmo anche non incontrare mai i personaggi visti durante la presentazione?

Esatto. Se mescoli tutte le personalità, i contenuti, gli oggetti, i dialoghi… ci sono milioni di possibilità. Chiaramente sul piano artistico è una sfida!

Anche perché dovete fare in modo di creare oggetti che si accoppino bene fra di loro.

Sì, a livello alto, abbiamo uno stile definito, quindi ci assicuriamo che ogni nuovo elemento vi si incastri bene. Se facciamo bene il nostro lavoro, tutto dovrebbe avere un senso sul piano stilistico, ma abbiamo ampliato i confini estetici del mondo di gioco, per esempio cambiando anche in maniera forte il look che un orco può avere. Poi, di sicuro, facciamo anche un sacco di controlli, creiamo un nuovo elemento e poi usiamo il sistema per accoppiarlo con un numero enorme e casuale di altri oggetti per vedere cosa ne viene fuori.

Vivete mai come un limite il fatto di stare lavorando su una licenza e di avere quindi comunque dei confini all’interno dei quali dovete muovervi?

Mmm… no. [ride] Ho lavorato su tanti giochi diversi, con tanti stili diversi, da produzioni per bambini a cose di questo tipo, e penso che quando hai a disposizione un sandbox di qualità, la creatività nasce da lì. Ci sono talmente tante cose, nella Terra di mezzo, che la gente non ha mai visto! Tanti luoghi, personaggi, elementi, che non sono mai apparsi al cinema o nei videogiochi. Quindi no, non vedo proprio limiti. E poi è un tipo di ambientazione che amo, mi piace ragionare sul piano storico, interrogarmi sulla natura delle armature, degli equipaggiamenti, del comportamento umano, delle personalità degli orchi che dobbiamo creare esagerando tratti umani…

Durante la presentazione, abbiamo visto delle situazioni in battaglia che sembravano pesantemente scriptate. Se mi porto in battaglia personaggi diversi, ci saranno comunque eventi di quel genere, ma strutturati in maniera diversa?

Dunque… nello studio, abbiamo un team, che chiamiamo “realization”. Si occupano di quella che chiamiamo “presentazione sistemica”. C’è un sistema di gestione delle telecamere molto intelligente che abbiamo sviluppato: legge la situazione, valuta quel che sta accadendo nella battaglia e seleziona una telecamera fra le varie disponibili per dare il via a questi eventi speciali, piazzando l’inquadratura di qua e di là a seconda delle necessità di spettacolo. L’idea è di avere un sistema che riesca ad essere super flessibile, per adattarsi alle varie situazioni, ma che dia anche la sensazione di stare mostrando sequenze animate dirette con cura.

Potete leggere la nostra anteprima di La terra di mezzo – L’ombra della guerra a questo indirizzo.