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Snake Pass è deliziossso

In un certo senso, Snake Pass fa un’operazione simile a quella condotta da Thimbleweed Park, anche se su una scala meno ambiziosa, quasi più intimista. Prende infatti il genere dei giochi di piattaforme tridimensionali che andavano in voga a fine anni Novanta e lo reinventa in chiave moderna, dandone una lettura propria, carica di personalità, che conserva alcuni tratti distintivi dello spirito originale ma riesce a risultare molto fresca e accattivante. Poi, sì, Thimbleweed Park, pur nella sua carica innovativa, è un gioco nostalgico e legato con vigore a tanti punti fermi dei classici, mentre Snake Pass tutto sommato trova una strada molto più nuova e personale, pur trasmettendo in maniera forte sensazioni che risalgono dal passato. Ma d’altra parte, considerando com’è andata con la più recente operazione nostalgia a base di piattaforme 3D, forse è meglio così.

L’idea alla base di Snake Pass è semplice ma fulminante: si controlla un serpente. Tutto il gioco, nella sua essenza, nelle sue dinamiche, nella costruzione dei livelli, ruota attorno a questa idea. E sta forse qui il suo tratto più radicalmente nostalgico e retrò, legato a un’epoca ancora precedente a quella dei giochi di piattaforme 3D, che ricorda per altri versi. Si torna infatti col pensiero a tutta quella serie di giochi semplici, bizzarri, accattivanti, carichi d’inventiva e unici che uscivano fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta, basati su idee fulminanti che da sole bastavano per portare a casa il risultato e generavano capolavori quando vi si costruiva attorno col talento e la voglia giusti.

Il sistema di controllo segue principi di credibilità, se non di realismo. Il serpente striscia, quindi possiamo muoverci zigazagando per acquisire velocità. C’è un tasto per fargli alzare il muso, in modo da spingerlo ad arrampicarsi, ma la fisica, soprattutto la forza di gravità, rema ovviamente contro. Bisogna allora farlo strisciare sinuoso fra superfici, sporgenze, paletti e quant’altro e sfruttarne la forma allungata per appoggiarsi nella maniera giusta e arrampicarsi con cura. Ovviamente, è anche possibile arrotolarsi, per sfruttare appigli o, magari, per rimanere appesi mentre la tal piattaforma si sposta. E c’è un tasto per stringere la presa, ottimo per rimanere agganciati, attivare interruttori, trovare nuovi spunti di propulsione verso l’alto… ma senza dimenticare che anche una presa ben stretta ha dei limiti e non può sconfiggere la gravità, specie quando si scivola. È quasi tutto qui. C’è la possibilità di chiedere aiuto a un amico colibrì, che solleva la coda del serpente per alleggerire gli spostamenti, e nelle fasi più avanzate si sbloccano alcune semplici meccaniche aggiuntive, ma il cuore del gioco rimane quello dall’inizio alla fine.

Un po’ di gameplay avanzato di me medesimo.

Questo sistema di controllo permette di muoversi all’interno di quindici livelli dalle dimensioni abbastanza modeste, anche se sulle battute finali l’estensione delle aree di gioco si fa già più considerevole. All’interno di questi paesaggi bucolici, bisogna di volta in volta recuperare tre gemme poste in posizioni sempre più assurde, necessarie per aprire il portale d’uscita. Ovviamente, come da tradizione anni Novanta, non mancano gli oggetti extra collezionabili, sotto forma di monete e bolle. Se arrivare ai titoli di coda è impresa complessa ma tutto sommato accessibile per chiunque prenda dimestichezza con le dinamiche di gioco, riuscire a raccogliere tutti gli oggetti collezionabili sparsi in giro è ben altra faccenda e può generare esplosioni di bile considerevoli. A limitarle ci pensa un piccolo bonus regalato sui titoli di coda, una “visione del serpente” grazie a cui possiamo individuare gli oggetti ancora non raccolti, senza perdere tempo a capire dove siano.

Questa trovata semplice, ma che invoglia a una rigiocabilità meno frustrante, va di pari passo col fatto che le monete e le bolle già raccolte non sono presenti nei livelli quando ci si ripassa, all’insegna di una struttura sempre leggibile e dal focus molto chiaro. A Snake Pass non interessa metterci alle corde creando sfide artificiosamente impossibili, il punto è proporre situazioni dai termini chiari e in cui dobbiamo concentrarci solo su capire come raggiungere un risultato e riuscire a ottenerlo tramite spirito d’osservazione, abilità manuale, intuito e, perché no, pratiche botte di fortuna. E infatti, la costruzione di ostacoli e pericoli sa essere spesso infame, talvolta irritante, ma le situazioni in cui ci si sente presi in giro sono davvero rare, c’è quasi sempre la certezza di essere stati noi a commettere l’errore fatale.

Qua ho finito il gioco in diretta.

Il quasi va riferito alla telecamera, che purtroppo ha i limiti classici delle telecamere da gioco di piattaforme 3D, forse un po’ acuiti da uno scarso dinamismo. Nel complesso non funziona male, ma ha la tendenza a incastrarsi fra le pareti quando ci si muove negli spazi stretti e, in linea generale, tende a muoversi poco di iniziativa propria. Quest’ultimo aspetto, ovviamente, ha senso, perché non vuoi correre il rischio che decida di spostarsi mentre stai tentando una manovra ardita, ma il risultato è che talvolta ce la si ritrova davvero nella posizione peggiore possibile. Intendiamoci, dare un’aggiustata alla telecamera con l’analogica di destra durante il movimento, nel 2017, non è mai un problema, ma in Snake Pass si ha quasi sempre il pollice della mano destra occupato sui tasti frontali e doverli abbandonare durante operazioni complesse per agire sullo stick può diventare problematico. In tutta onestà, devo dire che ho imparato abbastanza in fretta a impostare la posizione della telecamera prima di cimentarmi nelle arrampicate, ma insomma, capita di dimenticarsene, capita di dover fare correzioni in corsa, capita di bestemmiare. E tipicamente ti succede proprio quando sei dalle parti di un checkpoint piazzato in maniera bastarda, all’interno di un gioco che per lo più li utilizza bene e in modo stimolante ma non frustrante. Suppongo sia una questione di karma.

Al netto di questa problematica, che ovviamente può essere più o meno fastidiosa a seconda di come la si prende, Snake Pass è un gioco delizioso, impegnativo, che spinge a ragionare sulle proprie azioni e mette alla prova nella maniera giusta. Soprattutto, ha dalla sua un design dei livelli aperto e accogliente, a modo suo quasi da open world, per quanto estremamente ristretto nelle dimensioni, per come ti pone davanti degli scenari da esplorare relativamente a piacere, cercando i propri obiettivi e, soprattutto, ideando i propri modi per raggiungerli. Ci sono passaggi obbligati e rare situazioni da puzzle game, con sfere da far rotolare nel tal buco per attivare l’ascensore, ma sono attimi veloci, messi probabilmente lì anche un po’ per spezzare il ritmo. Il cuore del gioco sta nell’affrontare le situazioni alla propria maniera, sviluppando i propri schemi di movimento e approccio, improvvisando e cavandosela in maniere assurde, imprevedibili. Nei suoi momenti migliori, Snake Pass è un piccolo, bellissimo, sandbox incentrato sui suoi schemi di controllo e movimento. Una gioia per le mani e le dita, che si attorcigliano sul controller nel tentativo di piazzare quell’ultima scalata e ti fanno emettere suoni da tennista mentre accompagni il serpentello in quello sforzo per tirarsi su. E anche una gioia per gli occhi e le orecchie, fra l’altro, con uno stile davvero adorabile. Insomma, brava Sumo Digital, ancora una volta ti voglio bene.

Ho giocato a Snake Pass grazie a un codice Steam ricevuto dallo sviluppatore. Steam mi rende noto che ho impiegato quattro ore abbondanti per giungere ai titoli di coda, lasciandomi però alle spalle svariate monete e bolle, cui ho intenzione di dedicarmi nel futuro prossimo. Snake Pass è disponibile anche su PlayStation 4, Switch e Xbox One.