Racconti dall’ospizio #43 – Quando c’era Mario Kart 64, i gusci blu partivano in orario
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Della morte di Kurt Cobain non me n’è mai fregato un cazzo.
Okay, nel ‘Novantasei/’Novantasette avevo ancora i capelli (lunghi) e forse qualche camicia di flanella. Ma ascoltavo doo-wop, eiaculavo a più non posso e ogni tanto giocavo a Mario Kart 64 con un rasta albino e ipovedente.
Erano anni, non dico difficili, ma certamente sbilenchi. Corse in Lancia Delta (what else?), sfide di arrosticini e Wario Stadium a votamazza. Che è un modo di dire figurativo abruzzese che rimanda al roteare furioso di una mazza con un braccio, facendo ampi cerchi per colpire il più alto numero di nemici attorno. Ovverosia: a palla, ogni dì, una freca.
Non sapevo neppure cosa fosse lo Spaceworld del ’96, e neppure che quell’inerziale prodigio di benessere a 64 bit, inizialmente, si sarebbe dovuto/potuto chiamare Super Mario Kart R. Che come nome non mi sarebbe dispiaciuto affatto.
Per non so quale magia d’altri tempi, avevo la versione jappo di Mario Kart 64. E un N64 Passport. Costruire quel romantico e lasco accrocchio di cartuccione, infilarlo tra le grandi labbra della console e vederlo inclinarsi ogni volta… voleva dire solo una cosa: derapòso.
Lungi da me rinnegare la magia del primo Super Mario Kart, eh. Cacherei su Nevermind, piuttosto. Del quale, come già detto, non me ne frega un cazzo. Ma il morbido gameplay di Mario Kart 64, le sue scorciatoie, i salti, quei rettilinei letteralmente infiniti e le EEEEEEEEEEEEEEEEEEE traiettorie da pennellare sublimi… in una suadente danza di VEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE… per me, numero uno.
Il più brullo e grezzo, lineare, immensamente godibile tricorno alla mano, ma mirabile sopperendo di fantasia. Potevo restare interminabili ore o brevissimi pomeriggi di maggio a derapare in quello stadio marrone, stringendo, anticipando, tagliando e limando fino al limite estremo (e possibile) della compenetrazione poligonale tra kart e muraglioni esterni e/o interni.
Quando c’era lui, la traiettoria perfetta non elargiva turbo. La ricompensa era già nel gesto eroico della guida in controsterzo. E bastava quello. Cioè, che poi una sensibile accelerazione c’era eccome. Bastava uno sguardo al tachimetro, che bello il tachimetro, come vorrei un tachimetro in tutti i Mario Kart del mondo.
A proposito, vi interessa conoscere i profili di accelerazione di Mario Kart 64, con analisi dettagliate (frame by frame) delle velocità di ciascun pilota? Guardate a questo indirizzo e raccapezzatevi.
Quando c’era lui, non c’era quella merda di snaking. E neppure il traffico bellico – e pur adorabile – tipico dei Mario Kart più all’avanguardia. Mario Kart 64 era molto più spazioso e ragionato, caratterizzato da un respiro più ampio e pacato, come se al gesto dell’altrui annientamento si contrapponesse il bel sorpasso, non dico gentleman, ma d’esperienza.
Mario Kart 64, tra tutti i Mario Kart, era il più Assetto Corsoso.
E vogliamo anche parlare di quando scampai alla censura della versione occidentale? Facciamolo: Marioro, Luigip, Yoshi1, Koopa Air e 64. Quanta bellezza. Quanta parodia. Quanti cartelloni pubblicitari. O del guscio blu, della sua traiettoria terrestre non-evitabile e della sua natura democratica. In Mario Kart 64, il guscio blu è uguale per tutti. Colpisce chiunque, indiscriminatamente. E frechete.
Gli otto personaggi erano suddivisi in differenti categorie di peso, velocità e manovrabilità, ma per me esisteva solo Yoshi. Vai a sapere perché. Per me, che sono ormai vecchio e rincoglionito, Mario Kart 64 è-e-sarà per sempre un oggetto mitico, superlativo, soprannaturale.