Operation Mekong: La Cina vi vuole bene
La scorsa settimana, mi sono scavato dei ritagliucci di tempo per andare a recuperare tre film del festival del cinema cinese che ogni anno si tiene fra Parigi e altri luoghi bizzarri del paese chiamato Francia. Avrei voluto guardarne di più, tipo almeno quattro, ma il destino è beffardo, la vita pone paletti e, insomma, che ci dobbiamo fare? Comunque, il primo su cui ho posato gli occhi è Operation Mekong di Dante Lam, racconto in chiave super propagandista dei fatti avvenuti nel 2011 lungo il fiume Mekong, quando due navi da trasporto cinesi vennero attaccate nel tratto di fiume che scorre fra Birmania e Thailandia. Ci furono chiaramente conseguenze, fra cui un accordo che coinvolse Cina, Birmania, Thailandia e Laos per portare avanti in maniera più convinta la guerra alla droga nella regione, e c'è sicuramente del materiale per tirar fuori un film interessante. Prevedibilmente, l'approccio di Lam è quello del classico filmone action/thriller super melodrammatico e altrettanto super patriottico alla cinese. Una di quelle robe che incassano una valanga di soldi in patria ma poi tu, ingenuo spettatore occidentale, guardi sopportando a fatica nell'attesa delle scene d'azione.
Le parti in cui non volano coltellate o proiettili si concentrano per lo più sul classico melodrammone a base di storielle strappalacrime, grandi amicizie virili (con una punta di buddy cop) e lacrime copiose versate sulle morti più o meno eroiche, chiaramente avvenute nelle parti in cui volano coltellate o proiettili. Su questo, tutto sommato, c'è poco da stupirsi, dato che è bene o male quel che il cinema di genere orientale ci ha abituati ad aspettarci. Certo, magari abbiamo visto le stesse cose messe in scena con un tocco meno pesante, ma insomma. A questo, si aggiunge tutto lo strato di propaganda super patriottica, roba dalle parti del miglior/peggior Chuck Norris, che spinge sull'immagine della Cina come paese illuminato e intento non solo a perseguire il bene dell'Asia, ma addirittura a proporsi come salvatore del pianeta. Insomma, per godersi quel che Operation Mekong ha di buono da offrire, serve un po' di pazienza, anche perché il film è scritto coi guanti da forno e le scene di raccordo possono farsi piuttosto pesanti. In mezzo a questo pastrocchione, si intravede fra l'altro anche un certo desiderio di mostrare le tragedie e le ingiustizie del Golden Triangle, ma sono attimi sfuggenti fra una pennellata di politica semplicistica, un lampo di dramma maschio e una sparatoria. Per fortuna, le sparatorie non deludono.
Il punto alto è la lunga sequenza d'azione ambientata in un centro commerciale, costruita su più piani paralleli e sviluppata tra fughe, risse, combattimenti sulle scale, smitragliate e inseguimenti. Quella, da sola, vale il film, anche se è senza dubbio meritevole pure il precedente inseguimento ambientato al mercato coperto nel quartiere del crimine, roba che sembra uscita da un picchiaduro a scorrimento degli anni Ottanta. E poi c'è il gran finale, un disastro infinito di guerra aperta nella giunga contro il super cattivone psicopatico armato di mitragliatore pesante, che in effetti sembra pure lui uscito da un picchiaduro. C'è molto di bello anche lì, ma è tirata troppo per le lunghe, con un inseguimento, l'ennesimo, ovviamente sulle acque del fiume Mekong, che sembra non finire mai. Insomma, ne vale la pena? Beh, diciamo che per gustarci un po' di azione girata bene ci siamo visti ben di peggio, ma sicuramente ci vuole spirito di sopportazione o agio nell'utilizzo del fast forward (purtroppo non disponibile nella sala cinematografica in cui ho visto il film).