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Racconti dall'ospizio #46: Quando ero scemo e pensavo che Metal Gear fosse ignobile

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Come in ogni realtà occidentale negli anni Novanta, anche per Lanciano l’idea stessa di videogioco era incarnata dalla grande N. Che, da queste parti, stava ovviamente per Nicola. Del resto, i centri abitati in Abruzzo sono un po’ come le città dell’universo DC, ben caratterizzate da eroi o particolari punti di riferimento. Chieti, per esempio, vanta Fotone e la Centrale Trivigliana con i panini SUPREMI, Avezzano ha Erik e le patatepastaggialla™ mentre Ortona è famosa per me e Rocco Tano, oggettivamente conosciuti come Twin Peaks. Lanciano è un po' anonima: è vicina alla Costa dei Trabocchi, famosa per il mare bellissimo, e a Natale, con la neve, è qualcosa di spettacolare. Tutto bello ma, realisticamente, la sua fama deve davvero tanto a Nicola.

Everyday is like Sunday, everyday is silent and grey...

Che personaggio sovrannaturale, esoterico, trascendente: Nicola è Nicola, nessuno conosceva il suo cognome e, a conti fatti, a nessuno importava. Per metà svizzero, alla fine degli anni Ottanta lavorava come commesso all’unico negozio di videogiochi dell’altrimenti dimenticabile centro abitato, per poi aprire subito dopo la sua attività attirando come un magnete tutti i nerd dei paraggi. In un mix di carisma e intraprendenza, introdusse la permuta dei giochi su console - incentivando i ragazzi a tornare spesso e volentieri per far circolare il software – e la vendita di videogiochi usati, mettendo a disposizione un armadietto dove ognuno potesse piazzare i titoli non più desiderati, spesso dando vita a inaspettate amicizie.

“Figo Rockman X, chi te l’ha portato?”
“Si chiama Pinco Pallino, se aspetti un po’ ha detto che passava nel pomeriggio, così vi mettete d’accordo sul prezzo”

Gran figata il negozio di Nicola, centro, tra l’antro, di un’insospettabile scena indipendente basata sull’MSX.

Non ho mai capito se Lanciano vivesse in una sorta di bolla temporale indifferente al successo del Commodore 64, ma lì l’MSX ce l’avevano tutti, e ci credevano tantissimo. Così tanto da sviluppare giochi più o meno rozzi, cionondimeno apprezzabilissimi nel loro aspetto pionieristico, geniale e casereccio, con tanto di logo SALAMI, che parodiava Konami. Ricordo ad esempio uno sparatutto spaziale con un boss gigantesco, creato mettendo assieme alla buona pezzi provenienti dal primo nemico di fine livello di Space Manbow con un moai pixelloso, a memoria saccheggiato da Nemesis 3: The Eve of Destruction / Gofer’s Ambition Episode 2.

Uhm... eppure l'ho già vista da qualche parte, quest'immagine...

Un contrappasso onestissimo, se pensi che l'immagine in copertina del suddetto gioco si ispirava neppure troppo velatamente al poster cinematografico di Star Trek III: Alla ricerca di Spock.

... eppure davvero non ricordo dove.

Comunque, Lanciano e la sua scena MSX furono il luogo della mia rinascita informatica, la rivelazione severa ma giusta (o Magiustra) dopo anni trascorsi a credere che MSX e Spectrum fossero gemelli sfigatissimi, errata convinzione fomentata da tonnellate di conversioni dirette da un hardware all’altro, quasi sempre realizzate da pigri sviluppatori europei. MSX, quindi, cominciava a piacermi di brutto e, anzi, proprio grazie a Nicola e al suo negozio, sarei poi riuscito a fare mio lo stesso VG-8235 che in questo momento riposa pigramente accanto a me, su questa stessa scrivania, noncurante del fatto che lo accenderò per una bella partita a Mopiranger non appena finiamo il nostro racconto.

In quel negozio e su un MSX2 che pareva sempre e comunque acceso, 24 ore su 24, provai quindi per la prima volta Metal Gear.

La versione NES inizia in modo differente, come sapete. E lì ne avrei così tanti da scrivere, di Racconti dall'Ospizio...


Erano gli inizi del 1989 e i presupposti non parevano favorevoli. Lo so, sembra una bestemmia, ma mettiamo assieme i pezzi del mosaico: tanto per cominciare, all’epoca non sapevo nulla di Kojima, della sua trasferta da Tokio a Kobe nel 1966 e dei genitori perennemente assenti per lavoro, un evento che rese gli eroi del cinema una parte indispensabile della sua formazione, nonché scintilla fondamentale del suo desiderio di diventare regista. Ignoravo la sua fondamentale passione per Portopia Renzoku Satsujin Jiken di Yuji Horii, a conti fatti uno dei primi esempi di racconto interattivo nel paese del sol levante, un giallo uscito nel 1983 che, nella versione Famicom, vantava un'interfaccia punta e clicca non troppo dissimile da quello che sarebbe diventato anni dopo lo SCUMM di Lucasfilm Games. Non sapevo che la forza narrativa di Portopia lo aveva spinto a inviare senza successo corposi racconti ai quotidiani locali, nella speranza di una pubblicazione, eleggendo progressivamente il videogioco a nuovo medium attraverso il quale veicolare la propria creatività.

OK, quiz dell'estate. Trovatemi un omaggio a questa specifica illustrazione nella scorsa generazione di console. Ricchi premi in palio (non è vero).

Niente, come un vero e proprio bruto dell’epoca digitale, non sapevo neppure che, al posto di trovarsi un lavoro in banca (come la sua formazione accademica avrebbe voluto), Kojima decise di entrare nella divisione MSX di Konami durante il 1986, tra la disapprovazione di amici e professori ma con l'incoraggiamento della madre, ché la mamma è sempre la mamma.

Va bene, mi ero promesso che per una volta avrei evitato lo spiegone di storia, però reggetemi il gioco per qualche minuto, altrimenti scoppio, ché ho tutti i dati in memoria e devo processarli: l'inizio non fu indolore per diversi motivi; in primis per la sua mancanza di esperienza, che rese stimolanti ma allo stesso tempo molto duri gli esordi: il suo primo progetto, Lost World (no, non c'entra nulla con il primo titolo Capcom su scheda CPS1, e poi lì i mondi sono al plurale) venne abbandonato dopo sei mesi dalla dirigenza di Konami, lasciando Hideo nella delusione più nera, tanto da ponderare la possibilità di abbandonare questa avventura. Non aiutava quindi che la divisione MSX era solita spartire la luce dei riflettori con le più importanti divisioni Famicom e, soprattutto, arcade, generando inopportune comparazioni. All'epoca i giochi a gettone erano le piattaforme tecnologicamente più avanzate e impressionanti; Hideo, in una vecchia intervista (Dengeki? Boh, non ricordo), paragona quanto fosse spettacolare in sala giochi lo scontro con il Big Core – un boss di fine livello ricorrente nella saga di Gradius – in confronto alla sua misera controparte su MSX, ben più piccola e complicata da animare senza pesanti rallentamenti. Era quindi difficile venire notati dai piani alti, quando i team della porta accanto rubavano la scena, forti di hardware nettamente più performanti. Il nostro, però, tornò al lavoro corroborato da un rinnovato coraggio grazie al successo di Penguin Adventure (1986), il seguito di quell'Antarctic Adventure su cui lavorò come assistente designer. A questo seguì finalmente Metal Gear, un gioco che inizialmente viene immaginato come un arcade bellico sulla falsariga di Ikari Warriors o Senjou no Okami. Poiché le limitazione hardware dell'MSX2 avrebbero reso difficile la gestione dell'azione senza incorrere in pesanti rallentamenti, Kojima decise di cambiare le regole dopo aver ereditato il progetto, reimpostando le meccaniche verso un approccio furtivo e silenzioso, ispirandosi all’atmosfera del film La Grande Fuga.

Ah, sì, finito il mattonazzo storico, torniamo a noi: si parlava della divisione inglese di Konami. All’epoca era stata inaugurata da poco, aprendo le porte alla diffusione in Europa di un'ondata di giochi d'alta qualità per l'MSX che, altrimenti, sarebbe rimasta a esclusivo appannaggio degli amici nipponici. Una realtà importantissima, e Metal Gear era stato presentato erroneamente sulle riviste di settore di allora come suo figlio, probabilmente a causa di qualche errore di traduzione.

Come mai ero dubbioso? Semplicemente perché la Konami inglese era il male, quando si trattava di sviluppare videogiochi. Chiedete a un possessore di MSX quale sia stata la sua più cocente delusione videoludica e probabilmente nominerà Green Beret.

Green Beret su MSX, con i caratteristici carri armati a forma di cazzetto sullo sfondo...

Un adattamento terrificante made in Konami, l’orrore che non ti aspetti, realizzato in Inghilterra e approvato in Giappone, per giunta! La sua natura anglosassone non può essere nascosta, marchiata a fuoco dal codice KN327 che adotta la numerazione inglese KNxxx al posto della nipponica RCxxx. Un gioco così brutto, anche per gli standard del 1986, tanto che viene considerato la causa di uno fra i più celebri vaporware su MSX, ovvero l’enigmatico RC726.

... contro la bellissima versione Spectrum realizzata dal compianto Jonathan "Joffa" Smith.

Argomento di discussione tra gli appassionati di retrogaming più hardcore, il codice RC726 si crede destinato all’edizione giapponese di una fantomatica conversione di Jail Break, gioco a sua volta adattato con il culo sui sistemi a otto bit da Konami UK. Una teoria corroborata dalle istruzioni di caricamento per un’inesistente versione MSX sul manuale della versione Spectrum. Probabilmente la “vera” Konami staccò la spina al progetto dopo il disastro di Green Beret e i feedback al vetriolo provenienti dalle riviste britanniche riguardo la conversione di Jail Break sui computer occidentali, ma qui siamo nel mondo delle supposizioni, e a noi interessano fatti concreti, come il negozio di Nicola.

Possibile che la mancata conversione di Jail Break sia il fantomatico RC726? Giudicando dai risultati su Commodore 64, non ci saremmo persi nulla.

Il mio primo, titubante incontro con Metal Gear si svolse quindi sotto sbagliatissimi e ignoranti preconcetti (“Bah, l’hanno fatto gli inglesi di Jail Break su Commodore, farà pena”) che, da soli, mi spingerebbero a inventare il flusso canalizzatore per tornare davanti al tredicenne Dan Hero e decapitarlo con un ura mawashi fortissimo.

Solo che in quella mattina a Lanciano non andò nulla come da programma: in primis perché Metal Gear era un gioco della madonna, qualcosa di mai visto prima che mi spinse a scroccare uno sgabello all’edicola di Vito (altra realtà locale di un certo livello) per sedermi davanti al computer e giocare comodo. Poi perché smanettando persi la concezione del tempo e successivamente l’autobus del ritorno, un avvenimento tutto sommato trascurabile, tranne quando marini la scuola e ti presenti a casa con un paio d’ore di ritardo. Però chi se ne frega! Trascorsi un’intera settimana devastando gli zebedei ai miei amici, parlando di questo gioco di spionaggio dove devi fare piano altrimenti i nemici ti beccano e sono volatili per diabetici, fatto tipo Rambo 3 della Ocean (un gioco che, sono sicuro, nella prima sezione qualche spunto da Metal Gear l’avrà preso eccome) ma mille volte più fregno.

Visuale dall'alto, rudimentali meccaniche stealth, inventario... nel 1988, sono certo che qualcuno lì alla Ocean qualche partita a Metal Gear se la sia fatta.

Completai il gioco in seguito, dopo aver comprato finalmente il mio VG-8235, e ne vado davvero fiero. Specialmente quando, nel 1997, tutti parevano impazziti di fronte alle prime immagini di Metal Gear Solid. Il negozio di Nicola non esisteva più, lui si era trasferito altrove alla ricerca di altre opportunità lavorative e probabilmente la SALAMI aveva chiuso i battenti, ma il punto era un altro.

Per molti, Metal Gear Solid è stato il primo contatto con la saga di Kojima. Per me, invece, ha rappresentato l’opportunità di incontrare un vecchio amico dopo tanto tempo, per tornare a fare assieme le cose che ci piacevano una decina d’anni prima, sgranocchiando una saporitissima madeleine.

Già me lo vedo Proust a sgattaiolare in una scatola di cartone, à la recherche du temps perdu.