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How to get away with disoccupazione - Early 2017 edition

Come direbbe Frusciante, la trama è semplice: un paio di mesi fa, diciamo a giugno, preso dai sensi di colpa per la mia assenza ingiustificata (nonostante poi dietro le quinte continui ad armeggiare più o meno senza sosta), ho pensato avrebbe avuto senso mettere a timone di Outcast una sorta di classifichina di metà 2017, in cui chiacchierare delle robe che mi hanno tenuto a galla nei primi sei mesi dell’anno. Le classifichine, d’altronde, per me sono l’emblema del “poca spesa/tanta resa”: mi diverto a scriverle e ci metto niente. Il problema è che ho aperto il file in cui tengo catalogate tutte le cose che ho giocato durante l’anno e m’è venuta la depressione. Non solo il conteggio era ridicolo, ma anche falcidiato dalla presenza di quello che sarà quasi sicuramente il mio gioco dell’anno, e di cui finirò per scrivere di nuovo molto presto, per cui mi scocciavo a dover pensare già a giugno a una cosa che probabilmente avrei ripetuto pedissequamente a dicembre.

Nel frattempo, nonostante Trump e Kim Jong-un, il mondo è arrivato a Ferragosto. E, dal momento che — come diceva John Lennon — la vita è quella cosa che succede quando fai i piani, mi è piovuta dal cielo l’occasione di terminare la mia disoccupazione, che andava avanti senza particolari scossoni dallo scorso maggio. Un cambio di prospettiva che mi ha dato il la per contestualizzare la classifichina™ che tanto mi faceva prudere le mani. Stando a un recente studio dell’università del Winsconsin, infatti, il numero di disoccupati che videogioca è aumentato sensibilmente e, come dice Claudio Todeschini in un editoriale su The Games Machine, si tratta di un fatto “abbastanza prevedibile e tutt’altro che sconvolgente: in un contesto di scarsa occupazione, di redditi bassi o addirittura nulli, in cui la gente deve starsene a casa, si cerca qualcosa da fare che abbia il maggior rapporto costo/beneficio. E i videogiochi, soprattutto quelli più recenti, da questo punto di vista non hanno davvero rivali”. Dunque eccomi qua, a prendere la palla al balzo e condividere una barcata di affari miei, nella speranza che questo disperato tentativo di sentire meno il caldo risulti utile a qualcuno per spendere meglio i suoi soldi e ammazzare il tanto tempo che la disoccupazione ha da offrire.

Certo, poi dipende un po’ da come vi ponete voi nei confronti delle circostanze. Io, per dire, vivo un po’ nel paradosso di essere una persona estremamente attiva quando ha un obiettivo da portare a termine, ma allo stesso tempo sa essere l’ultimo dei pigri quando non ha un cazzo da fare, e in questo il vuoto cosmico della disoccupazione ha tirato fuori il peggio di me.

D’altronde, mandare curriculum è un passatempo divertente quanto spremersi i brufoli, soprattutto se come il sottoscritto avete un set di capacità bizzarre, apparentemente non correlate tra loro e tutte, bene o male, utili a una serie di caste estinte o a cui è possibile accedere solo tramite sacrifici umani e/o raccomandazioni che manco in Boris; quindi si finisce ben presto a mandare mail convinti che nessuno si degnerà mai di aprirle: non solo non è né tempo né il luogo, ma sapete anche che tutti quelli seduti dove vorreste essere seduti voi godono di ottima salute. Non a caso, le rare volte che mi è arrivata qualche elemosina sotto forma di lavoro in ritenuta d’acconto, ho scodinzolato felice e consegnato prontamente anche al fine di affilare il curriculum, in modo da piantarlo meglio nelle costole del cadavere di cui avrei dovuto nutrirmi in un futuro sempre più distopico e mai troppo distante. Ma, come dicevo, la vita succede quando fai i piani, e non a caso finirò a fare tutt’altro.

Ad ogni modo, dovendo smaltire gli strascichi del 2016 e la GDC, il mio 2017 da disoccupato (e non) è effettivamente cominciato a metà marzo. Un momento un po’ del cazzo per avere un sacco di tempo libero ed essere soli, ché gli scaffali sono ancora troppo vuoti e le gonne ancora troppo lunghe, e finisci inesorabilmente a ricordarti, ancora una volta, quanto fosse molto più divertente annoiarsi in due.

Videogiochi

Da cinque anni a questa parte, ovvero da quando ho cambiato un pochino il mio approccio all’intrattenimento, ho capito di avere un grosso problema: anche con tutto il tempo del mondo a disposizione, vista la condizione di parassita dello stato, approccio le novità con una diffidenza spaventosa, e preferisco rifugiarmi in qualcosa che ho già apprezzato piuttosto che buttarmi su qualcosa di nuovo. In particolar modo quando si tratta di videogiochi, ho cominciato a sviluppare una ritrosia incredibile per tutta la roba che sospetto durare più di sei ore, o che potrebbe essere ripetitiva/derivativa/svogliata/The Last of Us. Per cui, per farvi un esempio, nonostante abbia seguito in prima persona tutte le anteprime stampa italiane di Nier: Automata e sia un fan di PlatinumGames, l’idea di cominciare l’anno con un mattone esistenzialista tedesco, che richiede di essere portato a termine almeno cinque volte per essere compreso appieno, mi ha entusiasmato quanto e più del trasloco che ho dovuto fare nel periodo in cui stavano arrivando le review copy. Stessa cosa a proposito di Persona 5, tanto affascinante e acclamato quanto infinito, verboso e lontano da quello che vorrei gustarmi in questo momento della mia vita da giocatore. Ciò non toglie che, oh, se ancora non vi è morta la passione dei GDR, con questi due avete materiale da gioco dell’anno, così sulla fiducia.

Per il resto, copincollo dal listone delle cose che ho giocato quest’anno (gli asterischini rappresentano una valutazione da 1 a 5, à la Elenchi Brutti del blog di giopep):

Thimbleweed Park *****

Al netto del fatto che sono nei titoli di coda, e che dunque sia una di quelle cose che ho miracolosamente messo a curriculum nonostante il vuoto cosmico della mia condizione lavorativa, Thimbleweed Park è una roba perfetta per tutti quelli che aspettavano il ritorno delle avventure grafiche della LucasArts: moon logic, comicità assurda, grafica nostalgica giusta e sfondamenti della quarta parete da sentire il bisogno di mobilitare tutta l’asso muratori bergamasca.
Ho fatto finta di parlarne in Outcast Magazine 42.

The Legend of Zelda: Breath of the Wild *****

Chi trova un amico trova un tesoro: nonostante si tratti di una roba che supera di gran lunga le sei ore di durata, il fatto che il mio migliore amico abbia comprato Switch e Breath of the Wild poco prima di cominciare a lavorare (lui) mi ha permesso di ereditare il blocco senza colpo ferire. Una cinquantina di ore più tardi, avevo finito il viaggio videoludico più bello, ricco, affascinante e romantico di tutta la mia vita. Nell’attesa di Super Mario Odyssey, Nintendo ha fatto partire a cannone la sua nuova console mettendogli sotto braccio una roba che ricorderemo nelle ere.

Andrea Babich, soprannominato “il Ras di Hyrule” dopo che per tre settimane di fila lo vedevo ancora lì a giocare quando io smettevo alle due del mattino, nella sua recensione assolutamente perfetta vi spiega perché The Legend of Zelda: Breath of the Wild è un capolavoro, e perché probabilmente finirà per essere il gioco dell’anno.
Ne abbiamo parlato anche in Outcast Speciale Nintendo Switch.

Bayonetta [PC] *****

Piacevolissima sorpresa d’aprile, lo sbarco della strega di Platinum su PC è l’occasione perfetta per gustarsi un capolavoro passato per la prima volta, qualora ve lo foste perso, al massimo dello splendore tecnico. Nonostante il buon restauro alcune texture dimostrano il peso degli anni, ma l’importante è menarsi a 60 frame al secondo.
Ne ho scritto su TGM online e sul numero 344 della rivista, ne ho parlato in Outcast Magazine 42.

Rick & Morty - Virtual Rickality ****

Stare un tre/quattro ore con il casco della realtà virtuale senza desiderare di essere morti, ma anzi divertendosi sempre, è una magia che poteva riuscire solo a quelli di Job Simulator e alla premiata ditta Roiland/Harmon. Imprescindibile se amate la serie TV e avete un set VR, o se vi serve una buona scusa per rifarvi il PC da zero spendendo, in una botta sola, l’indennità di un mese.
Ne ho parlato in un video allegato alla recensione del Bellotta.

Puyo Puyo Tetris ****

La risposta perfetta alla domanda “cosa succede se mischi la droga buona con la droga ottima?”. Ci ho preso gli schiaffi a causa delle partite in multiplayer locale con il migliore amico di cui sopra, ma sono pur sempre gran bei schiaffi. E, manco a dirlo, come tutte le cose del mondo è meglio su Switch, nonostante il prezzo raddoppiato.
Ho detto due cazzate a riguardo della droga su Outcast Magazine 42.

Mario Kart 8 Deluxe *****

A proposito di “è meglio su Switch”: probabilmente la quintessenza di Mario Kart, sull’unica console fissa che ti puoi portare comodamente in vacanza. Se The Legend of Zelda: Breath of the Wild è fondamentale per la vostra crescita umana come videogiocatori, Mario Kart 8 Deluxe è fondamentale per il vostro Switch. La nuova console Nintendo vuole essere portata fuori casa anche se siete gente che non è mai uscita neanche con le portatili, e il gioco è semplicemente una calamita perfetta per il multiplayer locale. Che siate spaparanzati sul divano, in spiaggia, a una festa di compleanno oppure a Chieti, è sempre tempo di bestemmiare con Mario Kart.
Non mi ricordo se ne ho parlato anche io su Outcast Magazine 42.

Reservoir Dogs: Bloody Days *

Una merda invereconda che offende i fan del film di Tarantino e quelli che pensavano di poterci trovare dei punti di contatto con Hotline Miami e/o Super Time Force. Vaffanculo.
Ne ho scritto su TGM online.

Prey ****

L’ho cominciato e dopo appena un’ora di gioco mi sono cagato addosso dalla paura. È rimasto lì dal lancio e non credo avrò mai la forza di riprenderlo. Comunque è bellissimo.

Monument Valley 2 ***

Comprato due secondi dopo l’annuncio inaspettato dello scorso giugno, Monument Valley 2 dimostra subito quanto pesa l’assenza di Ken Wong (designer del capitolo originale): lo stile visivo è più piatto, meno ispirato, e in generale tutto puzza vagamente di già visto. Non malissimo, ma certamente un peccato figlio di volerci riprovare senza avere poi troppo da dire. Come questa classifica.
Ne ho parlato con depressione in Outcast Magazine 43.

Tekken 7 ****

È un Tekken dispari, quindi è bello. Ci ho giocato meno di quanto avrei voluto perché tutti gli amici con cui si era detto “dai, prendiamolo, così giochiamo online” non l’hanno preso e mi hanno lasciato col cerino in mano. Però è bello, e se avete amici con cui giocarlo migliora sensibilmente.
Ne ho parlato in Outcast Magazine 43.

Nex Machina *****

Housemarque ha fatto un twin-stick shooter con il papà del genere. Che cazzo gli vuoi dire? Niente. Infatti si compra e basta. Difficilissimo, divertentissimo, bellissimo, coloratissimo, issimo.

Tacoma **

È Moon scritto da un sindacalista incazzato.
Ne ho scritto qui, su Outcast.

REZ Infinite PC **********

Un capolavoro senza tempo, anche qui uscito all’improvviso su PC (il giorno del mio compleanno, per altro) nella sua forma migliore di sempre: 60 frame al secondo, 4K, compatibilità con tutti sistemi VR. Un’opera d’arte, una metafora della vita, una roba che beato chi non l’ha mai giocata perché può godersi un’indimenticabile prima volta.

Ho scritto del Post Mortem della GDC 2016 su Everyeye, quando la disoccupazione era dietro l’angolo e pensavo che la cosa potesse sfociare in un lavoro vero. Sì, sono molto più stupido di quanto sembri. Ho scritto anche un accorato articolo per The Games Machine 348.

Overwatch *****

Dimenticate tutte quelle cazzate sul non avere più la voglia di un tempo di giocare a roba che dura più di sei ore: da gennaio 2017 il mio monte ore di Overwatch ha abbondantemente sfondato la tripla cifra e ancora oggi, a causa dei dannatissimi eventi stagionali, non riesco a vederne la fine. Vi basti pensare che ho cominciato a seguire un canale YouTube dedicato alle discussioni sul gioco e, se posso, mi guardo anche i mondiali su Twitch, perché la vergogna di essere dei cani maledetti non è mai troppa. Cazzo, ho addirittura giocato a Heroes of the Storm per sbloccare degli oggetti estetici che neanche uso! Sono terminale!

Blizzard è bravissima a sintetizzare droghe legalizzate che, mischiate con la giusta quantità di tempo libero (scuola, università o, nel mio caso, disoccupazione), finiranno per fagocitarvi per intero. Se avete amici selezionati con cui giocarci superando la community tossica del gioco (tossica nel senso che vi farà tendenzialmente schifo averci a che fare, non nel senso che avrebbe bisogno di metadone), lo sparatutto a squadre di Jeff Kaplan è sicuramente il gioco del listone col miglior value for money.

Intervallo

È un cliché ed è un paradosso, ma è vero: cercare un lavoro è, a tutti gli effetti, un lavoro. Un lavoro noioso, da cui non si stacca mai, che ti costringe a frequentare LinkedIn come servisse davvero a qualcosa. Un’attività logorante, in particolar modo perché anche nei più disillusi finisce per creare aspettative e meccanismi poco salutari nella mente di qualcuno che, tutto sommato, vorrebbe anche stare meglio e impiega le sue giornate a provarci.

Le mail si accumulano, i lavori freelance e le scadenze vi pretendono, gli algoritmi dei social si fanno beffe mostrando post che non dovreste né vorreste vedere, e le aspettative e le delusioni si mangiano progressivamente il fegato. E se anche videogiochi, serie, film e libri non bastano più, la soluzione è una: la vacanza.

Sembra assurdo, ma due, tre, quattro giorni lontano da casa, dagli schermi, dalle scadenze, dai ricordi delle vostre ex e da qualunque altra stortura vi abbia tormentato negli ultimi mesi è fondamentale e può salvare dal logorio della vita da barbone. Prendete il telefono, chiamate il vostro caro amico che abita in un’altra città, ditegli se vi offre il divano per qualche giorno, riempite la valigia con le prime cazzate che trovate e partite: non potrete capire il potere di quelle risate e di quelle serate in compagnia fino a quando non sarete tornati a mandare curriculum, questa volta con la convinzione che, comunque vada, ci sarà sempre qualcuno disponibile a condividere una sbronza quando ne avete più bisogno. E poi, in tutta onestà, ogni viaggio è una scoperta costante, apre la mente, fa scoprire posti fighi dove mangiare (stra)bene e regala sempre qualche aneddoto da raccontare quando la conversazione ristagna, il che vi rende automaticamente più interessanti di un 5%. Non ci sono soldi spesi meglio di quelli per viaggiare, anche quando non ne hai.

Serie TV

Detto che, come al solito, potete spulciare le mie sortite al cinematografo su Letterboxd, non c’è niente di più facile ed economico per occupare le proprie giornate di abbuffarsi di serie TV con un account Netflix. Anche se, devo dire, la rimozione dal catalogo della roba di Jason Reitman è stato un colpo basso dal quale devo ancora riprendermi.

Per il resto, copincollo dal listone delle cose che ho visto o rivisto quest’anno (gli asterischini rappresentano una valutazione da 1 a 5, à la Elenchi Brutti del blog di giopep):

Love (Stagione 2 - 2017) *****

La seconda stagione dei disadattati americani che trombano come licantropi e c’hanno i grossi problemi a relazionarsi. Essendo una seconda stagione, approfondisce i rapporti dei vari personaggi senza troppi spiegoni, è deliziosa nel suo essere vera ed è affascinante nel suo proporre uno sguardo su delle vite con cui, probabilmente, non vorremmo mai avere a che fare in altro formato. Sta tutta su Netflix.
Ne ha scritto giopep qui su Outcast, ne ho parlato con lui in Outcast Popcorn 89.

Fleabag (Stagione 1 - 2016) *****

Prima (unica?) stagione della disadattata britannica che tromba come licantropi e c’ha grossi problemi a fare qualsiasi cosa. Phoebe Waller-Bridge è bravissima a tenere in piedi questa sorta di House of Cards con gli accenti improbabili, e le sei puntate vanno via in meno di mezza giornata. Imperdibile, sta su Amazon Instant Video.
Ne ha scritto giopep qui su Outcast, ne ho parlato con lui in Outcast Popcorn 88.

Rick and Morty (Stagioni 1, 2 - 2013, 2015) **********

Ritorno al futuro incontra Doctor Who e si fanno un sacco di droga. Le prime due stagioni di Rick and Morty sono un crescendo rossiniano di follia, delirio, comicità esplosiva, metariferimenti a tutto lo scibile e pure una carrettata di momenti umani dalla potenza dilaniante. Bello, bello, bello in modo assurdo. Come dice Fotone, triplo frechete. Trovate le prime due stagioni su Netflix.

Rick and Morty (Stagione 3 - 2017) **********

Nel momento in cui scrivo, sono uscite quattro puntate una meglio dell’altra. Se nella terza si comincia a ridere dopo 35 secondi, nella quarta si scende a 25. Semplicemente una delle due cose più belle della TV contemporanea. Lo trovate nei meandri di internet.

The Walking Dead (Stagione 7 parte 2 - 2017) N.D.

Più vado avanti, più realizzo che la mia soglia di attenzione per le robe con puntate da quaranta minuti e oltre è ridottissima. Aggiungeteci una recitazione canina, dei ritmi blandi e il fatto che “trova le differenze” con il fumetto non può più reggere la baracca, e avete il quadretto di una serie che continuo solo per abitudine. Sta su Sky, a meno che non succedano o non siano già successe cose con l’on demand.
Ne ho parlato con gli altri due nel tradizionale The Walking Podcast.

Legion (Stagione 1 - 2017) N.D.

La grande rivelazione di questo inizio anno, Legion è la serie TV che FOX ha messo in piedi per sfruttare un minimo le licenze Marvel che non sono (ancora) in mano a, ehm, Marvel. Ne hanno parlato tutti talmente bene, che ci sono rimasto male quando ho visto le prime puntate, mi sono addormentato durissimo e non c’ho capito un cazzo. Ma ci sono rimasto ancora peggio quando, riguardandole da sveglio, c’ho capito ancora meno.

Santa Clarita Diet (Stagione 1 - 2017) N.D.

Una serie TV comica che non fa ridere. È tutto, vostro onore.
Ne ho parlato con gli altri due su The Walking Podcast.

Thirteen Reasons Why (Stagione 1 - 2017) ***

Una finestra sull’high school medio borghese americana, gli orribili meccanismi sociali degli adolescenti di oggi (ma anche di ieri), l’orrenda tecnologia degli anni Sessanta. Life is Strange incontra Omicidio sull’Orient Express, se non fosse che sai chi è morto e chi è stato già alla prima puntata. Nonostante tutto, ne vale la pena. Poi, certo, hanno annunciato una seconda stagione che dubito guarderò, ma insomma.
Ne ho scritto qui su Outcast.

Better Call Saul (Stagione 3 - 2017) *****

Immancabile per chiunque abbia guardato Breaking Bad, arrivata alla terza stagione Better Call Saul si libera di ogni dubbio di sorta, proponendo puntate calmissime in cui, inaspettatamente, scoppia sempre un putiferio allucinante. Come al solito, il lavoro con cui Vince Gilligan mette assieme i pezzi di puzzle disseminati in due serie diverse è stupefacente, così come la discesa nel torbido di Jimmy McGill: uno splendido incidente stradale da cui non si riesce a staccare gli occhi. Sia Breaking Bad che Better Call Saul sono su Netflix.

Twin Peaks (Stagione 3 - 2017) *****

Non ci sto capendo un cazzo, ma è tutto bellissimo e mano a mano che ci avviciniamo alla fine diventa tutto giustissimo. In più, è la dimostrazione di quanto un autore che pretende di fare le cose a modo suo (anche al costo di non farle del tutto) ha sempre troppa ragione. Lunga vita a David Lynch.
Prima dell’uscita della terza stagione abbiamo realizzato un Outcast Popcorn Extra sulla carriera e le opere di David Lynch.

Flaked (Stagione 2 - 2017) **

Ho guardato entrambe le stagioni perché mi piace Santa Monica e perché, considerando che il protagonista è un Will Arnett depresso e alcolista, è un ottimo metadone per aspettare la quarta stagione di BoJack Horseman. Flaked è tutta su Netflix.
Ho detto la stessa cosa in Outcast Popcorn 93.

Crashing (Stagione 1 - 2017)***

Sempre Phoebe Waller-Bridge, questa volta in una sit-com molto particolare in cui un gruppo di schizoidi occupa un ospedale abbandonato nel tentativo disperato di vivere a Londra senza spendere troppo. Ha bei momenti, diverte e i protagonisti sono tutti abbastanza adorabili, ma Fleabag è su un altro livello. Sei puntate, su Netflix.
Ne ho parlato in Outcast Popcorn 93.

GLOW (Stagione 1 - 2017)****

La bellissima e bravissima Alison Brie guida un gruppo di wrestler femminili in una storia (vera) di riscatto e medio-bassa borghesia americana che crede fortissimo nel sogno. Anni Settanta, Marc Maron si magna tutto con i baffi, fotografia perfetta. Piacevolissimo. Dieci puntate, su Netflix.

BoJack Horseman (Stagioni 1, 2, 3 - 2014, 2015, 2016) **********

In attesa che arrivi la quarta stagione, il prossimo 8 settembre, *ho dovuto* riguardare le prime tre di BoJack Horseman. Riscoprire la storia di disagio e di incapacità cronica di stare al mondo di questo equino decaduto degli anni Novanta è stato ancora una volta incredibile, per la profondità e la causticità di alcune situazioni, ma anche bellissimo, grazie alla comicità agrodolce e ai piccoli colpi di genio (ogni scena è un quadro ricco di infiniti dettagli) che tengono tutto a galla. Netflix.
Ne ho scritto qui e ne ho parlato nell’Outcast Popcorn del capro di fine anno.

Mad Men (7 stagioni - 2007-2015) **********

La serie più bella degli ultimi dieci anni di televisione, probabilmente tra le prime cinque migliori di sempre. Da quando è arrivata su Netflix, la saga di Don Draper e dei pubblicitari di Madison Avenue mi ha sempre guardato con l’occhio languido di quegli amori che ti hanno amato fortissimo, ti lasciano andare dolcemente e poi, quando meno te lo aspetti, tornano per ricordarti quanto è stato irripetibile quel tempo trascorso insieme.

La serie di Matthew Weiner è un affresco perfetto degli anni Sessanta americani. Attraverso una finestra su un gruppo di pubblicitari alle prese con rivoluzioni, presidenti assassinati, colpi di stato lavorativi, licenziamenti, gente squartata da decespugliatori, guerre civili, nuove opportunità, sbronze epocali e Christina Hendricks, Weiner offre uno sguardo a un momento storico tanto distante quanto straordinariamente attuale, roba che guardi ogni puntata pensando di essere davanti a un universo alternativo, o a un telegiornale dal futuro in cui i nomi sono stati cambiati per non distrarre l’attenzione del pubblico.

Ma Mad Men è anche e soprattutto la storia, strepitosa, di Don Draper. Un uomo senza identità, un disertore in un’epoca in cui tutti lottano per ottenere qualcosa. Un vincente senza soddisfazione alla costante ricerca della felicità, di uno scopo, di un posto nel mondo che possa definire casa. Una parabola umana straordinaria, lunga sette stagioni in cui ogni episodio è un trattato di storia e filosofia, da guardare con gli occhi sgranati e da seguire con carta e penna. Semplicemente strepitoso.
Mi sono commosso su Outcast Popcorn 91.

Boris (3 stagioni, 1 film - 2007-2010) **********

Il miglior prodotto televisivo italiano di sempre, una fonte inesauribile di citazioni, un modo di scandire la vita ancor prima di una serie TV. Boris è il rewatch obbligato di ogni anno, ma anche di ogni trimestre. Sono arrivato al punto che, se mi serve un sottofondo e non ho voglia di inventarmi qualcosa di nuovo, apro Netflix e metto su la prima puntata di Boris che capita, perché sì.

La serie di Torre-Ciarrapico-Vendruscolo è uno spaccato agrodolce di tutto quello che non va in Italia, indipendentemente dal settore. Una satira sapida che, nonostante l’amarezza, non può che tenere incollati per le situazioni, i personaggi, le interpretazioni e gli scambi di battute che, oltre ad avere tempi comici perfetti, nascondono sempre una profondità e una bellezza inedita a ogni visione. GGGENIOH!

Libri

Chiudo rapidamente il carrellone infinito delle cose che  ̶m̶i̶ ̶h̶a̶n̶n̶o̶ ̶i̶m̶p̶e̶d̶i̶t̶o̶ ̶i̶l̶ ̶s̶u̶i̶c̶i̶d̶i̶o̶ mi hanno distratto durante la disoccupazione in questa prima metà abbondante di 2017 con due libri. Sì, non sono un grande lettore, ma ci sto lavorando.

Open - Andre Agassi/J. R. Moehringer *****

Mio malgrado, pur conoscendo Quedex da più o meno un lustro, non sono un appassionato all’ultimo stadio di tennis. Guardo le finali dei tornei, perché guardo le finali di più o meno tutti gli sport che passano in convento, ma insomma, niente di serio.

Però. Però succede che tutto il mondo, improvvisamente, si ricorda di questa autobiografia. Federico Buffa si ricorda di questa autobiografia (e torna in TV con un’intervista Agassi che tutto sommato non è così esplosiva come i Buffa Racconta). La splendida ragazza che ho frequentato si ricorda di questa autobiografia, ché a tennis ci ha giocato un bel po’. E allora, un giorno di ritorno da Milano, passi in centrale e prendi Open.

Pagina dopo pagina, a forza di prendere a pallonate draghi, figure paterne, aspettative e le autorità, la storia di Agassi ti entra dentro e ti costringe ad arrivare alla fine con una voracità inaspettata, spaventosa, con un gusto narrativo che non ti aspetteresti da una storia di sport. Bellissimo, anche se non sai niente di tennis.

La stanza profonda - Vanni Santoni ***

Candidato al premio Strega 2017, La stanza profonda racconta di come si è evoluta la periferia italiana e le vite di un manipolo di nerd all’ultimo stadio che, grazie a Dungeons & Dragons e ai succedanei dell’escapismo tutto dadi e schede personaggio, saprà toccare le corde giuste di chi, volente o nolente, sta invecchiando e vede sfilare dalle mani un passato che non può tornare. Non senza la giusta curiosità.


E insomma, questo è tutto quello che mi ha tenuto a galla tra un invio di curriculum, un lavoro freelance e qualche corso tanto per mettersi in cascina certificazioni che non interessano a nessuno. Ore e ore di intrattenimento per tutte le tasche, in attesa dell’occasione giusta o, perché no, una buona via di fuga dalle fatiche che state facendo per costruirvi un futuro migliore. E non dimenticate che tra pochissimo escono Destiny 2 e Mario+Rabbids: Kingdom Battle (roba che mi farà comprare Switch, pensa un po’), quindi c’è proprio l’imbarazzo della scelta. Qualunque cosa stiate facendo e comunque state messi in questo momento, ricordatevi sempre che, parafrasando il buon Kubrick, tutto lavoro e niente divertimento non vi porterà a nulla di buono.