Pyre - Ogni maledetta domenica
Se mai c’è stata una qualche pretesa di oggettività in una recensione, io vi avviso già da ora che in questa ogni buon proposito a riguardo è andato tranquillamente a farsi benedire. Non posso nascondere la mia totale ammirazione per ogni titolo che quelli di Supergiant Games sono riusciti a sfornare: in principio ci fu, nell’ormai lontano 2011, il pur acerbo Bastion, mia porta d’ingresso nell’universo indie; poi venne Transistor e la mia prima vera cotta per un personaggio di fantasia, come testimonia la gigantografia di Red, la protagonista, che campeggia all’ingresso di casa. Nell’anno del Signore 2017 mi piomba addosso questo Pyre, e non posso che raccontarvi il loro terzo piccolo e strambo capolavoro.
Nell’essenza, Pyre è un racconto sportivo dalle venature fantasy, e come ogni buona storia di questo tipo fin dai tempi di Rocky e White Men Can’t Jump, è un racconto di sacrificio, rovina e redenzione, ambientato nell’equivalente fantastico di un quartiere periferico o, meglio, di un vero e proprio ghetto. Il protagonista si sveglia da esiliato, in una inospitale landa lontana, metaforicamente e non, dalla civiltà e viene subito accolto dai Nightwings, una squadra dedita alla nobile arte dei “riti”, lo sport oggetto del gioco, che consiste in una sorta di pallacanestro mistica e profondamente tattica. Due squadre da tre giocatori si affrontano in un campo di grandezza variabile con lo scopo di schiacciare una palla nel falò avversario, al fine di smorzare progressivamente la pira avversaria fino a spegnerla del tutto.
Sono concessi passaggi, salti, accelerazioni estoppate, ma anche la possibilità di bandire temporaneamente i giocatori dal campo di gioco se si avvicinano troppo all’aura emanata da un avversario, o se vengono colpiti da vari tipi di poteri. Inutile dire che esistono svariate tipologie di personaggio, ognuna con abilità e caratteristiche profondamente differenti. Le partite sono rapide, frenetiche e coinvolgenti, come se si giocasse una partita a scacchi ad altissima velocità condita da qualche “skill shot”. Non si tratta certo di uno sport dai meccanismi immediati, ma gli sviluppatori hanno posto tantissima cura nell’introdurre i concetti di gioco gradatamente, assicurandosi che i giocatori abbiano assorbito le basi prima di introdurli ad elementi avanzati. I riti non sono eventi sportivi fini a sé stessi, ma si inquadrano in una logica ben più ampia all’interno dell’ambientazione di Pyre. Infatti, come dicevo, le avventure si svolgono in una terra desolata e abbandonata (il Downside) in cui vengono esiliati tutte le creature che si siano macchiate di crimini particolarmente efferati durante la loro vita civile. I riti sono una tradizione millenaria che concede, a qualunque squadra vinca il “campionato”, di far tornare uno dei suoi giocatori nel mondo civile, completamente mondato dei propri peccati. Insomma immaginate Dante e Virgilio che organizzano un NBA in Purgatorio e promettono la salvezza eterna a chiunque riesca a conquistare l’anello. Il protagonista è un silenzioso esiliato subito assunto dai Nightwings come “Reader”, una sorta di mistico allenatore, manager e motivatore all’interno del circuito competitivo dei riti. Da qui si dipana una trama ben più complessa ed efficace di quanto il gioco voglia far credere nei suoi primi momenti, costringendoci a scelte morali ragionate e sentite che però non mi sento di rovinare in alcun modo.
La cifra stilistica di Pyre è inequivocabilmente Supergiant games. Visuali barocche e ricche di dettagli, caratterizzate da una palette di colori quasi sovrannaturale che ricorda da vicino l’art nouveau di un Klimt o di un Mucha. Linee morbide, colori vivi che fanno da contraltare a rigide geometrie dorate. Pyre è un autentico splendore visivo, arte pura in movimento ad altissimi livelli come raramente si vede in un videogioco. Il character design è sublime, sempre fresco ed estremamente caratterizzante senza scadere nel macchiettistico, anche per quel che riguarda la caratterizzazione delle squadre avversarie.
A questo giro la mia cotta nel gioco è Celeste, la guardiana del cancello di accesso all’area finale: è chiaramente un quadro, un affresco, l’immagine di una creatura celestiale dipinta in epoche lontane. La musica di Pyre è sempre gestita dal solito Darren Korb che fa il suo come in passato, ma forse con meno incisività di Transistor, dove però la musica aveva un ruolo molto più cardinale. Certo potrebbe anche cambiare qualche strumento e accordo nelle sue composizioni dopo sei anni e tre giochi di più o meno la stessa roba ma boh, che gli vuoi dire, in fondo mi piace così e magari se cambia stile fa cacare, vai a sapere.
Dicevo all’inizio che Pyre è in fondo un film sportivo, e il paragone è particolarmente calzante quando penso alle meccaniche che muovono il gioco. Pensateci, quanto è importante lo sport in sé in un film del genere? E quale percentuale di tempo di un film sportivo medio viene passata a mostrare l’effettiva azione di gioco? In questo tipo di narrazione, lo sport è quasi solo un pretesto per mostrare meccaniche sociali complesse: relazioni, rivalità, ansie, speranza e riscatto. Pyre fa lo stesso, intessendo con una grande quantità di personaggi interessanti, una fitta trama di relazioni, fatta di amori impossibili, odi atavici, torti subiti eoni or sono, onore, gloria e pietà. Il tutto gestito benissimo, non con la pesantezza nel cuore ma con tocco leggero nonostante la spessa coltre di malinconia che inviluppa l’intero gioco. In fondo il bello di Pyre, e in generale la grande forza di Supergiant Games, è proprio quella di avvolgerti completamente in questi mondi visionari, devastati e disperati ma belli di una bellezza decadente e malinconica che sa di speranza anche a un passo dalla fine del mondo.
Ve l’avevo detto che non sarebbe stata una recensione del tutto oggettiva e che tutti i giochi di questa piccola software house, che sembra non sbagliare un colpo, riescono ad emozionarmi nel profondo come pochi altri. Date una chance a Pyre, perché possa entrare nel vostro cuore grazie alle schiacciate nella pira di fuoco avversaria, ma perché possa rimanervi per il mondo, i personaggi e le storie fantastiche che riesce a intrecciare alla perfezione.
Ho giocato a Pyre perché un amico me lo ha regalato per aiutarmi a sopportare una pur breve convalescenza (grazie JP). L’ho completato in circa undici ore, ma la natura del gioco invoglia tranquillamente ad affrontarlo una seconda (o anche terza) volta. Oltre alla modalità storia, è possibile affrontare i “riti” in partite competitive contro il computer o contro avversari locali, ma non online.