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L'insostenibile leggerezza giapponese di far film brutti

Perché producono sempre brutti adattamenti cinematografici giapponesi di anime e manga?

Per capire come mai questa categoria specifica di film faccia spesso schifo, e fidatevi, vi basta scorrere una qualsiasi galleria su Google per ricordarvelo dolorosamente (ammesso naturalmente di averli visti), bisogna tenere conto di molti aspetti che riguardano il cinema giapponese cosidetto d'intrattenimento.

In questo articolo tento di spiegare perché (usando il mio stand Hollywood Searcher, il cui potere "holyhttp" mi fa trovare cose) ogni volta che annunciano un film tratto da un anime o da un manga, c'è da avere seriamente paura. Miike permettendo.

Come tutte le cose di origine prettamente nipponica, il loro cinema d'intrattenimento è molto diverso dal nostro e funziona con meccanismi assai miglior... Oh, no. Non stavolta, cari otaku di Outcast, not this time

Non si parla di treni in orario che spaccano il secondo - da ricordare la compagnia che per venti secondi di ritardo si scusò in diretta nazionale - o di magici cessi autopulenti e parlanti (con tanto di "Hmmm arigatou!" a fine evacuazione) no, non stavolta. 

Stavolta si parla di arte, della settima, nello specifico.

Che ha problemi, da quelle parti. E pure grossi. 

Per una volta quindi, non fatevi travolgere dalle solite marcotognate qualunquiste, italiche e demagoghe della serie "eh ma noi" e provate a non dar peso a ragionamenti tipo: "Noi che abbiamo i Vanzina/Moccia/De Sica, critichiamo il cinema giapp... "

Certo. Eccome se lo facciamo. E lo facciamo con metodo, ragione e conoscenza, puntualizzo. Sopratutto perché i loro adattamenti di manga e serie animate sono quasi indifendibili, a meno di essere completamente rincoglioniti. Ma anche in quel caso, non vi posso aiutare. Cioè, se vi è piaciuto Tiger Mask, io non posso farci niente. Posso donarvi un sorriso di circostanza e un pietoso "De gustibus" eh. E togliervi da ogni lista "Chiediamo a lui se gli è piaciuto l'adattamento di Blade of The Immortal" 

Tornando a noi, condivido l'esimio parere di diversi critici, distributori e uomini chiave del settore (come Adam Torvel o Garrison) che vivono in JAPOLANDIA da molti anni e, conoscendone a menadito ogni aspetto, lo definiscono un cinema d'intrattenimento vecchio di almeno dieci o vent'anni rispetto a quello coreano, cinese e di altre zone asiatiche come Tailandia e India, che sono in forte sviluppo.  

Ma andiamo per ordine. In primis, quando parlo di cinema d'intrattenimento giapponese, mi riferisco perlopiù alle trasposizioni in carne ed ossa di anime e manga.

Suddetto materiale di origine è semplicemente impossibile da trasporre efficacemente su una pellicola. Non è solo una questione di carattere prettamente pragmatico, della serie "Il disegno in due dimensioni non sta a suo agio nel mondo delle tre dimensioni", considerazione-lampo alla quale il 90% del pubblico medio giunge in meno di quattro secondi e che ogni autore/mangaka giapponese, da Go Nagai a Akira Toriyama sostiene fermamente.

Anime e manga sono un materiale impossibile da adattare al cinema, per una serie innumerevole di elementi in gioco e con cui vi potrei seriamente ammorbare. Quali la profondità e il tratto, a cui nessun film potrà mai comprarsi in maniera del tutto efficace. Non a caso, e molto spesso, le locandine di questi adattamenti cinematografici sono rivelatrici di quanto il disegno fisso ed immoto, senza linee dinamiche, si muova più a suo agio in questa dimensione. Benché sia estremamente squallido vedere il concetto di adattamento che si dipinge su facce umane. Non appena prende vita, ecco che la magia scompare. Io li definisco film da cosplayer professionisti, girati da registi di scarsissimo valore. Again, tranne quelli di Miike e pochi altri. Pochissimi altri.

Il cosiddetto "source material", a meno che non si arrivi ad un punto di svolta, ovvero una fortunata serie di eventi e attente rielaborazioni poste sotto attenzione autoriale, è molto ostico da trasporre, per non dire impossibile. Semplicemente, è un materiale difficilissimo da muovere da una dimensione, ad un'altra. Oltre a questo, è un problema di condensazione. Come si può raccontare efficacemente una serie come Kiseiju - L'ospite Indesiderato o Death Note con due adattamenti? È impossibile.

Non c'è mai limite al male. La Carletta donna metterebbe KO chiunque, ma è un uomo.

Proseguiamo con ordine dunque, spiegando un altro male assoluto dell'industria nipponica: Il famigerato "Comitato di Produzione", il Seisaku Inkai Hoshiki. Ovvero un direttivo di produzione composto SOLO da investitori o perlopiù uomini d'affari. Un gruppo di manager aziendali e sopratutto sponsor pubblicitari che fanno proprio un ruolo "d'interferenza" piuttosto ampio e cagacazzo nella realizzazione di un film. La paura è sempre quella di fallire e quindi, si pensa preventivamente a come rendere l'adattamento da anime-romanzo-videogioco-manga, un sicuro successo commerciale, aprendo quante più collaborazioni commerciali possibili. A costo di sfagiolare in toto persino l'estetica del film. Ciò che realmente conta, alla fin della fiera, è vendere prodotti associati al film, in modo da ammortizzare ogni costo di produzione: quanti più se ne copre, meglio è.

È molto doloroso personalmente, l'adattamento del manga di Minetaro Mochizuchi "Dragon Head" una serie davvero inquietante e toccante ed una avventura unica nel suo genere. L'adattamento è sconnesso ed insipido. Povero.

Tanuki-san propone una bibita al gusto di paprika per il nuovo film delle Sailor Moon, Tsuciya-san propone una profumosa salvietta da culo a tema Gantz, e Yoshimi-san propone di accettare lo sponsor di una famosa crema anale di Polnareff (Le Bizzarre Avventure di JoJo). 
Gli investitori hanno il compito di salvaguardare gli investimenti e, solo dopo, solo molto dopo, concentrarsi sugli aspetti artistici del film. Un metodo diverso quindi, dalla costruzione del successo in salsa occidentale, il più delle volte (non vale sempre, purtroppo). Si pensi ad esempio all'autentica WAVE di merchandise su Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit.  

Contrariamente a quel che si crede, pochissimi autori e registi in Giappone hanno credenziali tali che "basta il nome a garanzia del prodotto". Al di là di nomi della vecchia scuola quali Hayao Miyazaki, Takashi Miike o Hideaki Anno, è molto raro trovare un regista il cui solo nome basti a garantire dei biglietti venduti e di conseguenza arginare il dittatoriale metodo del comitato di produzione. Molto spesso, gli attuali registi non sono altro che marionette piazzate lì dal "Comitato" e spesso sono perfetti incompetenti. Con all'attivo qualche serie televisiva e una manciata di pubblicità, tali da garantire almeno di sapere da che parte stare dietro alla macchina da presa. Spesso, questi registi improvvisati non conoscono i mezzi in uso alla cinematografia moderna (quali tecniche registiche aggiornate o l'uso di nuove tecnologie) Vedono l'offerta come una possibilità di rilancio della propria carriera, ignorando le molte difficoltà insite nel girare film basati su cose che non conoscono affatto.

Perché Miike non ne sbaglia uno, nemmeno quando si tratta di film "minori" come Ace Attorney? Perché Miike è un regista e ne capisce intimamente lo spirito "Sono una pentola, in cui confluisce tutto".

Una cosa che mi ha sempre colpito del metodo di lavoro di Guillermo del Toro o Peter Jackson è il fanatismo con cui questi due (grandi) registi hanno lavorato alle loro opere. Del Toro, per dirigere Hellboy, coinvolse nientemeno che Mike Mignola, l'autore del fumetto originale. Peter Jackson pretese i migliori illustratori anni settanta di "Lord of The Rings".
Niente di tutto questo accade in Giappone. Chi ha prodotto il film di Tiger Mask non aveva nemmeno idea di cosa fosse, in effetti, Naoto Date o La Tana delle Tigri.

Un altro aspetto determinante è la retribuzione cui è soggetto tutto il cast tecnico. I salari di chi lavora nell'industria sono bassi: un direttore della fotografia è pagato poco, uno sceneggiatore o un aiuto regista ancora meno, e spesso non hanno nemmeno mezzi per poter costruire efficacemente la loro performance artistica. Circondati da colleghi che sono poco ispirati e poco pagati. Questo comporta un calo vertiginoso della qualità, poiché si lavora quasi controvoglia e, spesso, l'attenzione su quello che si fa è ai minimi sindacali. Ciò avviene a meno che un regista garantisca salari appropriati come fanno Kitano, Shion Sono, Miike ed altri (A)utori.

Avete mai provato a dover dedicare del tempo a qualcosa sapendo in anticipo che non verrete pagati?  Ecco. Come questo articolo.  

In Giappone, poi, c'è un'altra autentica piaga che si profila all'orizzonte e che contribuisce al sofferto exploit cinematografico: idol e modelle dominano l'intero panorama. Le più importanti, ovvero AKB48, Johnny's ed Exile, generano interesse ed incassi sicuri, poiché la semplice inclusione di una ragazzetta pop o dello strafigo di j-pop/city pop/visual key-rock..(etcc) è già una garanzia per il farabutto Comitato. C'è anche un ulteriore problema che si presenta casisticamente e puntualmente: i modelli assoldati, o le modelle, non sanno minimamente recitare e la loro mimica facciale è a dir poco pietosa. Spesso un cast è autenticamente sfondato da questi personaggi, spesso solo piacenti esteticamente, che non hanno la minima idea di cosa fare o di come farlo. Puntano tutto (o quasi) sulla caratterizzazione enfatica di movenze, smorfie oppure frasi. Il film è visto unicamente come trampolino di lancio. Ad esempio, il film ad alto budget GANTZ (2011), con protagonista Ninomiya Kazunori (che fa parte della boy-band Arashi)servì per rilanciare la sua carriera. Non sono pochi i casi di interviste sfortunate, in cui questi attori-pupazzi non sanno nemmeno chi devono interpretare.

Un altro problema serio è che in giapolandia c'è una totale mancanza di autocritica verso le proprie opere e pare onestamente incredibile. I recensori o i critici di eminenti testate, o siti web, che si occupano di cinema, in pochissimi casi segnalano ai loro lettori effettivi deficit di un film. Questo perché, seguendo un loro antico motto,

Questo proverbio è sempre valido per questi poetici cazzoni fuori tempo (non sarebbe male adottarlo ogni tanto anche da noi, lasciando "correre" l'ennesimo film di Micheal Bay... giù per un dirupo, possibilmente).

Un critico di cinema giapponese, dunque, non dirà MAI che un film fa schifo (Gantz o DevilMan o Shingeki no Kyojin... e fanno schifo...) o che non è propriamente eccelso, ma lo farà (se lo farà...) in maniera sempre molto velata, assai indiretta, selezionando accuratamente ogni parola usata. Un po' come quando presenti un'amica al tuo migliore amico in un appuntamento al buio, evidenziando il fatto che, prima che sia bella, è molto simpatica. Oltre a questo, gli adattamenti di anime, salvo pochissimi casi, vengono raramente presi sul serio dalla stampa professionale, e quindi viene ulteriormente annebbiato il giudizio di critica a favore del pubblico. Della serie: "Oh, è una storia di un uomo che si mette una maschera da tigre e fa il catch/wrestling... che pretendi?" 

Problemi come questi segnano un baratro qualitativo, salvo pochissime pellicole, davvero incolmabile al giorno d'oggi. Dove pochissimi registi riescono a cavarci fuori qualcosa di decente, bypassando il terribile comitato di produzione, gli sponsor di merda, l'inserimento di incompetenti idol come attori ed attrici, lacune e problemi non da poco in sede di produzione (set/location/necessità di trasferirsi/CGI/vetusta/FX non all'altezza/etc) 

Vi sono poi una serie di altri elementi satellitari che concorrono, o almeno lo fanno in parte, alla riuscita o meno della cosiddetta cinematografia d'intrattenimento nipponica. Come per esempio il progressivo allontanamento della sensibilità socio-culturale generale e il modo in cui si è spostata sempre più dai tradizionali temi per adulti (trattati anche e sopratutto nel cinema del passato) verso le simpatie (o antipatie) di carattere infantile. Le aziende che fanno mosse commerciali devono prendere di mira il pubblico. Questo significa che apparentemente temi immaturi e infantili sono più facili da gestire, rispetto ad altre produzioni. In realtà non è matematica o statistica. È arte.

Riassumendo:

  1. materiale di origine difficile da trasporre;

  2. comitato di produzione;

  3. investimenti bassi e salari insufficienti;

  4. assenza di regia o attori che ricoprono con la loro inesperienza i ruoli assegnati;

  5. critica che non indirizza alla corretta lettura il pubblico.

Il JTC (Japan Trash Cinema) che in questi anni ha prodotto autentiche perle splatter/gore/comedy/exploitation, invece, riscuote sempre un certo successo commerciale e di pubblico, a prescindere. Sembrerà paradossale, ma questo genere di film, spesso palesemente low-budget e che offre solo donzelle seminude, trame improbabili, attori insignificanti, ottiene anche cinque sequel e innumerevoli adattamenti TV. E sono pellicole girate da registi che arrivano dal settore AV (Adult-Video). La classificazione è dunque immediata, sono film artisticamente pornografici. 

Il confronto con altre realtà' asiatiche è molto impietoso: Corea o Cina sembrano secoli avanti. Il cinema dell'intrattenimento in Giappone sembra peggiorato, ma in realtà sono gli altri paesi asiatici ad essere migliorati, e di tanto. 

Mentre l'osceno Death Note di Netflix ha confermato che non è proprio un problema solo ed unicamente del cinema giapponese, quanto più di una incomunicabilità completa tra i due medium, il cinema di genere giapponese langue miseramente, ad eccezione delle loro produzioni tokusatsu, in particolar modo sentai e super sentai, che hanno raggiunto in questi anni, vette massime qualitative, diventando serie TV di tutto rispetto. Lontane però dai gusti dei nerd d'oltreoceano, che ancora hanno fumosi ricordi a suon di Power Rangers e, per tale motivazione, non si fidano poi troppo a dedicare attenzione ad eroi mascherati del Sol Levante (forse sbagliando). Bizzarro, come non notare del resto, che un gruppo di eroi mascherati di Marvel o DC abbia un ascendente più marcato rispetto ad un gruppo di eroi mascherati giapponesi.

 Ma tutto ciò esula da questa riflessione. 

Ad ogni modo, il pensiero di vedere un giorno un Koji Kabuto (Mazinger Z) in carne ed ossa è forse peggiore di qualunque fiacco adattamento Giapan. Continuate così, insomma, che non fate danni irreparabili.

Basta che non iniziate con i robottoni, altrimenti, è guerra aperta.