Outcast

View Original

Racconti dall'ospizio #101: Il flusso d'incoscienza di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Da anni, tra i corridoi delle università, gira una specie di leggenda metropolitana: pare che un giovane docente, una volta, per mostrare empiricamente ai propri studenti l’impatto del linguaggio di un medium sui tempi di fruizione dello stesso, e conseguentemente sulle piattaforme in grado di ospitarlo, si sia presentato a lezione con una scatola piena di videocassette sulle quali aveva registrato il longplay di un intero videogioco. Da qui in avanti, il mito, come è tipico di questi racconti, si dirama: secondo alcuni, il gioco era Final Fantasy VII, secondo altri, un episodio non meglio precisato di Grand Theft Auto. Gli esegeti della cazzata, tuttavia, sono abbastanza concordi nel ritenere che si trattasse di Metal Gear Solid, infilato nelle VHS nientemeno che da un giovane e spericolato Matteo Bittanti.

Non ho mai pensato di verificare questa leggenda. Tutto sommato mi diverte così com’è, e preferisco non inquinarla con la realtà. Tra l’altro, se la memoria non mi inganna, il longplay del primo Metal Gear Solid era stato trasmesso anche da Enrico Ghezzi in qualche Fuori Orario particolarmente indecente, quindi sai mai che mi confonda sovrapponendo cose a caso. Oppure, semplicemente, Ghezzi e Bittanti sono la stessa persona. Vai a sapere.

Bando alle ciance. Quando giopep mi ha proposto di scrivere qualcosa su Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty per la Cover Story di questo mese, nonostante Hideo Kojima sia uno tra i mei autori di giochini preferiti (mi lancio: forse addirittura il mio preferito in assoluto), ripensando al secondo Metal Gear Solid mi sono venute in mente appena due cose: un sacco di arancione e guano di gabbiano.

Insomma, quando si parla del secondo Metal Gear Solid, i miei ricordi si fanno confusi, disordinati. La prima volta che ho incrociato Sons of Liberty è stata a casa di amici, nel bel mezzo dello scontro con Vamp, anni prima che la gente iniziasse a parlare di “spoiler” (nah, niente demo in Zone of the Enders come qualcun altro, spiace). Del resto, all’epoca dell’uscita italiana del gioco, nel 2002, ancora non possedevo una PlayStation 2. Anzi, per dirla tutta, stavo attraversando una fase di distacco dai videogiochi (a proposito, è una cosa comune tra i videogiocatori, la fase del distacco? Boh). Un po’ giochicchiavo ancora sulla prima PlayStation, ma nulla che fosse troppo lungo, complesso o strutturato. Di quel periodo ricordo soprattutto sessioni a Street Fighter Alpha 3 e a Tony Hawk's Skateboarding. Col senno di poi, credo che quel momento di dissenso fosse legato a The Legend of Zelda: Majora's Mask, che mi aveva prosciugato le forze. Boh.

Resta che la mia prima vera esperienza con Metal Gear Solid 2 è arrivata solo nel 2005, ossia l’anno in cui mi decisi finalmente a comprare una PlayStation 2 (modello Slim). Tra l’altro, piuttosto vergognosamente, per una serie di circostanze ho affrontato Metal Gear Solid 3: Snake Eater PRIMA di Metal Gear Solid 2, anche se va detto che con tutta la faccenda del prequel, mi è andata abbastanza di culo. Però, oh, in quel periodo ero in piena overdose da videogiochi e non ci capivo più nulla: l’arrivo di PlayStation 2 mi aveva messo davanti all’impossibile, e non ero preparato. Roba come i tre Devil May Cry, ICO, Shadow of the Colossus, God of War, Kingdom Hearts, Silent Hill 2, Resident Evil 4 e Forbidden Siren finii col giocarla praticamente di fila, a rotta di collo. In quel delirio, prendevo a caso tutto quello che arrivava, e si vede che per qualche ragione, semplicemente, Metal Gear Solid 3 era arrivato prima del 2, ecco.

Ad ogni modo, se nel corso degli anni a Snake Eater ho finito col rigiocare un discreto numero di volte, tra un remaster in HD e la versione per 3DS, Sons of Liberty credo di non averlo più ripreso in mano dalla run originale su PlayStation 2. Per questo, ho deciso di ripassarlo attraverso un eroico longplay su YouTube, per rinfrescarmi la memoria, con l’idea di annotare qui di seguito, a ruota libera, tutte le robe che nel caso mi verranno in mente.

Metto subito le mani avanti: in questo istante sono le sette di sera, mi sorbirò le otto ore e passa di video tutte di seguito, vagando da un dispositivo all’altro. Forse tra mezz’ora ne avrò già le scatole piene, forse tra un'ora. Al momento non posso saperlo con certezza. Go!

- Wah, colpo di scena! Avevo completamente rimosso l’introduzione “bondiana” e tutta la faccenda dell’incidente del tank. Cioè, no, stiamo calmi. Mi spiego meglio: conosco bene quella scena, ho piluccato la timeline di Metal Gear diverse volte, eppure, per questioni di demenza senile, avevo finito con l’associare l’inizio di Metal Gear Solid 2 direttamente con l’entrata in scena di Raiden. Comunque, figata tutta la parte introduttiva, sia sul piano della messa in scena, per come ti butta nella storia, ma anche per il gameplay, tra i segmenti di infiltrazione classica e il combattimento con Olga Gurlukovich. Fra l’altro, ricordo che all’epoca mi ero fatto tutti i boss del gioco col “metodo stamina”, ossia seccandoli con le munizioni non letali. Del resto, il mio intero approccio di gioco è piuttosto pacifista. Poi, chiaro che dopo un po’ la rambata ci scappa sempre. Però, insomma, si vede proprio che Kojima ce la mette tutta per favorire la modalità stealth, tra il level design, gli schemi e l’intelligenza artificiale di nemici. È come se ti dicesse tra le righe: «Oh, tu gioca pure come ti viene, ci mancherebbe; ma tieni conto che il modo più coerente per entrare nel personaggio sarebbe quello di ammazzare meno cristiani possibile».

Nella parte introduttiva, saltano fuori anche due o tre momenti tipicamente “kojimiani”, come la trovata dell’ombra di Vulcan Raven, tutta la faccenda di eludere i militari assecondando i loro spostamenti da parata, il Metal Gear RAY che si tuffa e, chiaramente, quella tamarrata pazzesca di Revolver Ocelot “posseduto” dal braccio di Liquid Snake.

- OK, entra in scena l’efebico biondino. Tutta la parte iniziale dell’infiltrazione all’interno della piattaforma di decontaminazione Big Shell fa tanto primo Metal Gear Solid, evocato anche dalla chiacchierata con Roy Campbell, dagli accenni alle VR Mission utilizzate da Raiden per addestrarsi e cose così.

A seguire, attraverso i primi scambi tra il biondino e "Iroquois Pliskin", Kojima inizia a suggerire - in maniera non poi così velata, col senno di poi - la natura metaludica del gioco, accentata pure dalla fidanzatina di Jack/Raiden, Rose (sì, come la coppietta di Titanic).

- Uh, stra-figa tutta la parte delle bombe da disinnescare con lo spray, l’avevo completamente rimossa. Non avevo affatto rimosso, invece, il provetto esperto di esplosivi Peter Stillman e soprattutto il suo allievo bombarolo Fatman, appartenente all’eccentrico gruppetto di terroristi detto “Dead Cell”, che tentano di far pendant con i ribelli di FOXHOUND dell’episodio precedente. Tra l’altro, se lo scontro con Fortune non mi ha mai impressionato, la battaglia contro Fatman è forse la più spassosa dell’intero gioco: quel tragicomico ragazzotto che piazza bombe a destra e a manca girando su pattini a rotelle è Kojima allo stato puro che ci crede tantissimo.

Levateje er vino.

- HAHAHAHAH, che gallata™ la faccenda degli ostaggi col pacemaker del colonnello Ames da identificare, per non dire dell’escamotage del microfono. In pratica, Kojima prende alcune delle meccaniche introdotte nel primo Metal Gear Solid (e pure qualcuna dai primi capitoli in 2D) e si diverte come un matto a declinarle nei modi più creativi possibili, quasi a voler ribadire che, nonostante la fissa per il cinema, lui è un game designer purissimo. In effetti, una simile botta di idee non è stata eguagliata nemmeno dal sequel/prequel, che pure, nel complesso, tendo a preferire.

Ecco, forse in Guns of the Patriots si trova qualcosa di simile, ad esempio nel segmento ambientato in Europa dell’Est, anche se non siamo a questi livelli di spericolatezza. In effetti, mi sento di dire che, al netto di qualche squilibrio, Metal Gear Solid 2 è forse l’opera più coraggiosa di Kojima-san, e non solo per la scelta di sfilare da sotto il culo di Solid la poltrona di protagonista.

- Ah, già, ancora non l’ho detto: bellissime le musiche!

- OK, terminati (per ora) i gimmick da spia, Raiden ritorna nel personaggio dedicandosi un po’ all’infiltrazione classica e a qualche battuta di cecchinaggio, mentre il gioco finalmente si apre ai colori che ricordavo: l’arancione della piattaforma spalmato sull’azzurro del cielo. Ho letto da qualche parte che, all’epoca dell’uscita, la direzione artistica di Metal Gear Solid 2 si beccò diverse critiche; eppure, a riguardarlo oggi, l’aspetto del gioco è eccezionale per pulizia e coerenza. E nonostante ogni capitolo della serie sia definito da una tonalità chiave, questo è forse quello che mi convince di più

Ah, alla fine salta fuori Solidus che cerca di scimmiottare Liquid facendo il ganassa con l’Harrier: deve mangiarne ancora tanto, di pane duro, per star dietro al fratello.

«Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte in posa plastica vestito come Raoul o se non vengo per niente?»

- La chiacchierata con il Presidente degli Stati Uniti riguardo ai Patriots offre una buona opportunità per riflettere sulle differenze tra gli episodi della saga dedicati a Solid Snake e i prequel con Big Boss. Laddove i primi sono quasi sempre più iperbolici, azzardati e spericolati sul piano dei contenuti, i secondi sono un po’ più misurati (per quanto il senso della misura sia sempre quello di Kojima, eh), oltre che più “bondiani” e leggeri a livello di scrittura.

E, ripeto, nonostante le mie preferenze vadano a Snake Eater, credo che la saga di Solid sia quella più aderente alla visione di Hideo Kojima. Ecco, forse una specie di sintesi è stata raggiunta con Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, nonostante rimanga sostanzialmente un’opera incompiuta, per quanto magnifica e monumentale.

- Vamp, parliamone. Nonostante i tratti ambigui, personalmente, credo sia tra i personaggi meno riusciti della saga. Anche la battaglia che ingaggia con Raiden nella stanza con le vasche d’acqua non l’ho mai trovata particolarmente riuscita. Più in generale, trovo che nessuno dei villain di Metal Gear Solid 2 riesca a sfiorare il carisma di uno Psycho Mantis, di un Vulcan Raven o di un Liquid Snake. Poi, sì, se proprio vogliamo metterla su questo piano, nemmeno Raiden è paragonabile a Snake o a Big Boss, ma in questo caso siamo di fronte a un avatar deliberatamente svuotato per ospitare il giocatore.

- Fa la sua apparizone Emma Emmerich, la sorellastra minore di Otacon, che non appena viene stanata dal suo nascondiglio, si fa la pipì addosso per lo spavento, proprio come il fratellastro nel primo episodio (che famiglia di piscioni!). Tra l’altro, mi chiedo: cose del genere, oggi, le infilerebbero ancora in un videogioco “grosso”? Boh, forse sì, forse no. Resta che all’epoca Emma mi attizzava, col quella sua aria da ragazzina nerd con gli occhiali (occhiali che, riscopro ora, porta e conserva esclusivamente per ragioni affettive, un po’ à la Rey Ayanami). Lo confesso: sono un feticista delle ragazze occhialute. Sarò anche, inconsciamente, un feticista del pissing? Vai a sapere: con Kojima, le certezze finiscono sempre per vacillare.

Le secchione con gli occhiali ♥️.

- OK, ci siamo. Parte il primo grosso pippone filosofico. Aiutandosi con qualche ripresa in live action di quelle che non si usan più (uh-uh-uh), Kojima sposta la tematica dai Metal Gear e dalle armi pesanti vecchia maniera all’importanza dell’informazione digitale, potenzialmente l’arma più pericolosa di tutte; l’unica in grado di manipolare le masse, se usata nel modo sbagliato. Insomma, con almeno dieci anni d’anticipo, Kojima aveva intuito l’importanza e il ruolo sociale di piattaforme che raccolgono le informazioni e i dati sensibili delle persone per mangiarci sopra, profilare e questo e quello, eccetera eccetera. Grande Kojima e peccato per Emma, che non arriverà mai ad aprire un account su Facebook o Twitter (spoiler!).

- Dopo il pippone, è tempo di cecchinaggio. Cecchinaggio di copertura per la vecchia Emma, in questo caso, with a little help from my friend (Snake). L’idea in sé non è male: in fondo è l’ennesima prova della capacità di Kojima di far correre meccaniche note su binari desueti. Anche l’atmosfera aggrappata a un tramonto infuocato è molto bella, e l’intromissione finale di Vamp non la ricordavo. Eppure, il fatto che questa sequenza di copertura faccia le veci della boss battle tra cecchini di rito un po’ mi secca: vuoi perché le cecchinate sono tra le cose che riescono meglio a Kojima in termini di meccaniche, vuoi perché, banalmente, mi sfiziano parecchio. Insomma, tutto carino e fatto bene, ma lo scontro con The End è un’altra cosa.

- Immersione di Big Shell in vista dell’Arsenal Gear (o almeno credo: son quasi le due del mattino, le palpebre e la soglia di attenzione iniziano ad abbassarsi) con conseguente inondazione dei corridoi modello Titanic (Jack, Rose: ricordate?). Segue svelamento dell’identità del biondino. Spoiler: è il solito bambino soldato cresciuto sul campo di battaglia. Autentico topos della serie, quello dei bambini soldato “salvati” da qualche pezzo grosso e successivamente infilati in situazioni ancora più schife rispetto a quelle di partenza. Mah. Dopo essere stato messo davanti alla verità, Raiden viene torturato da Ocelot, ché gli prudevano le mani da un pezzo.

- Evvai. Le conversazioni via codec cominciano ad andare in vacca. Prima Rose, poi il Colonnello Campbell iniziano a parlare in modo sempre più incomprensibile, mentre Raiden, fresco di tortura e completamente nudo, attraversa un lungo corridoio scuro dalle suggestioni uterine coprendosi le pudenda, come se qualcuno lo stesse guardando (il giocatore). Da questo momento in avanti, tutto si confonde, si mescola. Realtà e simulazione vengono messe in discussione. Partono filmati televisivi a cazzo di cane, pezzetti di addestramenti in VR dal primo Metal Gear Solid. È tutto un infilare citazioni e rimandi con sopra scritta la parola “meta” con l’UniPosca grosso. Campbell parla di reincarnazione, svelando poco a poco la sua natura di personaggio fittizio. Tutte le certezze dell’avatar, compresa la sua relazione con Rose, crollano un pezzetto dopo l’altro, e a seguire quelle del giocatore. In senso lato, è pure lui un “bambino soldato” alle prese con battaglie virtuali fin dall’infanzia. Kojima punta il dito contro un certo tipo di meccaniche (video)ludiche che lui stesso ha contribuito a creare; lo punta contro il giocatore e persino contro sé stesso. Col senno di poi, lo punta pure contro l’azienda - Konami - che all’epoca gli permetteva di pagare l’affitto, e che qualche anno più tardi avrebbe finito col rigettarlo.

Raiden e Snake alle prese con i dilemmi filosofici di Kojima.

- Usti, intanto che scrivevo è impazzita pure l’interfaccia, con l’area di gioco che per qualche secondo è stata ridotta a finestra. Ora, però, è già tornata in bolla.

- Durante la lunga e tribolata sequenza finale, Kojima mette in scena alcuni tra i momenti più debordanti della sua visione d’autore. Dopo la riflessione sulla natura dell’avatar, quella sul rapporto tra giocatore e game designer e quella sulle intelligenze artificiali, si consuma una pirotecnica battaglia tra Raiden e tre (mi pare: c’è confusione, è tardi, non sto capendo) Metal Gear RAY. A seguire, scontro finale contro il redivivo Solidus, che principia in una struttura astratta dai colori neon che rimanda all’immaginario virtuale di fine anni Novanta, sì, ma anche a certe atmosfere spirituali della tradizione buddista, per poi spostarsi e chiudersi davanti alla Federal Hall di New York (che ci sia di mezzo l’11 settembre? Secondo me, sì).

Oh, un'immagine del Metal Gear RAY dovevo pure infilarla, no?

- Terminati tutti gli scontri, l’intelligenza artificiale GW, mai doma, attacca a riflettere sulle analogie tra il genoma umano e i dati digitali, sollevando la problematica della diffusione di informazioni-spazzatura nell’era digitale. Non sembra migliore l’altra faccia della medaglia, ossia la censura del Web. Per farla breve: nel 2001, Kojima aveva intuito gran parte delle problematiche che affliggono il nostro presente legate alla comunicazione e alla distorsione dell’informazione e aveva scelto di parlarne attraverso un videogioco. Un videogioco a cui hanno giocato milioni di persone. Cristo. Dove abbiamo sbagliato?

Insomma, sarà che ormai si sono fatte la quattro e mezza del mattino, ma trovo la riflessione finale dell’intelligenza artificiale decisamente attuale. Piuttosto che riassumerla, preferisco riportarla pari-pari qui di seguito, e buonanotte (a me, e magari pure a voi che leggete sul tardi).

Un ultimo sguardo commosso all'arredamento e chi s'è visto s'è visto.

Questo articolo fa parte della Cover Story "Metal Gear e Hideo Kojima", che trovate riepilogata a questo indirizzo.