Metal Gear Solid: suggestioni, rimandi e pipponi mentali di natura cinematografica
Metal Gear Solid è una serie che ambisce da sempre a coniugare il medium videoludico con quello cinematografico; e non solo tramite un linguaggio visivo preso a prestito dalla settima arte, ma anche grazie a un'attenzione certosina verso lo sviluppo della trama. Spesso carico di messaggi volti a sfondare la quarta parete, l'impianto narrativo di ogni episodio della saga ha sempre puntato sulla profondità dei personaggi e i loro drammi interiori. Naturalmente, alla base di tutto c'è la visione distopica e potente di Hideo Kojima, con la sua filosofia puntigliosa, ricca e citazionista.
Se dovessi elencare tutti i rimandi cinematografici presenti nella serie di Metal Gear, probabilmente ne uscirebbe fuori qualcosa di freddo e didascalico. Per questo intendo procedere secondo un ordine emotivo e non cronologico, come a seguire un flusso di coscienza libero di fluttuare da un capitolo a un altro, per spulciarne le velleità e gli intenti. Impossibile non iniziare pensando a Jena Plissken, il protagonista di 1997: fuga da New York. E non solo per l'iconico protagonista, ma anche per le sue innegabili virtù sul campo di battaglia e le capacità tattiche e di infiltrazione.
Siamo nel 1981, un periodo (dal '75 al '95) in cui si sta scrivendo la storia del cinema, con pilastri immortali del calibro di Alien, La Cosa, Rambo, Commando, Terminator e innumerevoli altre pellicole capaci, chi più chi meno, di stabilire nuovi punti di partenza, nonché termini di paragone indiscussi per ogni film successivo. Hideo Kojima si nutre e viviseziona letteralmente questo tipo di cinema, per ragioni anagrafiche, chiaramente, ma soprattutto per la loro innegabile potenza visionaria. In Metal Gear Solid (PlayStation, 1998) le cutscene diventano parte integrante dell'esperienza ludica, marchiando indelebilmente la saga e stabilendo dei nuovi canoni per l'intero settore. Eppure siamo ancora lontani da quell'icona intramontabile che porta il nome di Big Boss. Il DNA di Snake è indubbiamente suo, così come sua è la caratterizzazione estetica presa a prestito da Jena Plissken (Snake, in lingua originale).
Tuttavia, il nostro David, che guarda caso dovrà lottare contro un gigantesco Goliath, è un antieroe acerbo, spigoloso - in tutti i sensi! - incapace di trasmettere appieno i propri sentimenti, quantomeno all'inizio della sua epopea. L'eroe inarrestabile John Matrix visto in Commando si mescola col traumatizzato e sofferente John Rambo di First Blood (Rambo), in una mistura che non esita a proporsi tramite filtri filosofici tipicamente orientali. La regia, la fotografia e il montaggio diventano nuovi stilemi da seguire e realizzare, non ricalcare, con l'identità videoludica che comincia a prendere forma al di là del mero scimmiottamento cinematografico.
Le citazioni si moltiplicano, col colonnello Trautman di Rambo, proposto quasi pedissequamente in Metal Gear Solid nei panni di Roy Campbell. Quando il mezzo lo consente, anche il medium che lo utilizza subisce un'evoluzione: con Metal Gear Solid 2 e Metal Gear Solid 3: Snake Eater, Hideo Kojima, forte della potenza di calcolo di PlayStation 2, spinge l'acceleratore sull'impianto scenico/narrativo, introducendo alcune tra le più lunghe cutscene mai inserite in un videogioco.
Se Jack e Rose(mary), i protagonisti di Metal Gear Solid 2, richiamano neanche troppo velatamente il Titanic di James Cameron, in Snake Eater ritorna con forza il tema della sopravvivenza già visto in Rambo, il soldato che può cucirsi le ferite da solo e mangiare qualsiasi cosa pur di non collassare. Le tematiche stealth, inoltre, impreziosite da equipaggiamenti rudimentali e grandi capacità d'infiltrazione del protagonista, hanno forti rimandi a Die Hard e Die Hard 2 (da noi, rispettivamente: Trappola di Cristallo e 58 minuti per morire), mentre i siparietti pseudo-comici e le scene action di Snake e Raiden fanno il verso a Tango & Cash, interpretati, non a caso, da Sylvester Stallone e Kurt Russell.
Complice anche il periodo nel quale è ambientato, Metal Gear Solid 3 diventa uno straordinario inno alle spy story, in cui la guerra fredda scaldava gli animi e le poltrone dei cinema anni' '60. Sin dalla straordinaria canzone d'apertura, Snake Eater, cantata da Cynthia Harrel, il gioco diretto da Kojima è un chiaro omaggio alla filmografia di genere, con l'agente 007 in cima alla lista. Il talentuoso direttore artistico ci mette chiaramente del suo e i rimandi esoterici e fantascientifici non tardano a farsi vedere, portandoci alla mente classici come Predator, alternando senza soluzione di continuità tematiche più crude e realistiche. La caratterizzazione dell'Unità Cobra, ad esempio, è concettualmente molto simile alle emozioni trasformate in nomi in codice, come citato nel tragico epilogo di Apocalypse Now per bocca del colonnello Kurtz.
Il secondo e il terzo capitolo della saga sono un vero coacervo di citazioni, rimandi e omaggi, dai più sibillini (i nomi di Hal e David presi a prestito da 2001: Odissea nello spazio) ai più espliciti (i già citati film di James Bond). La fusione tra uomo e macchina, la perdita d'identità, la supremazia dell'automazione e il controllo dei media incrociano le loro tematiche videoludiche con film indimenticabili: Terminator, Terminator 2, Robocop, Aliens Scontro Finale, Total Recall
Facendo un balzo, neanche così ardito, al quinto capitolo della serie, mi sovviene il chiaro omaggio a 1984, il romanzo di George Orwell. I riferimenti "all'occhio che tutto osserva", oltre a esplicitarsi iconograficamente nei poster disseminati lungo il gioco, trovano riscontro nella stessa trama, ambientata proprio nel 1984. Il solitario protagonista di Mad Max 2, insieme al suo cane, è un'ulteriore citazione in Venom Snake e D-Dog. Ma è proprio la filosofia open world a riallacciarsi in maniera sottesa a decine di pellicole, con spunti che arrivano a solleticare persino le atmosfere western, prese a prestito da uno dei suoi più illustri padri: Sergio Leone.
Assolutamente tragico nel suo incedere narrativo, Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots ribalta nuovamente eroi e antieroi: il "goffo" Raiden del secondo episodio ritorna in forma smagliante nel quarto, nei panni di un letale androide (come in Casshern/Kyashan, il famoso anime di Tatsuo Yoshida), mentre il "mitico" Solid Snake lotta coi sintomi accelerati della vecchiaia, mesto retaggio tecnologico dei nanoidi presenti nel suo sangue. Un Kyashan che non ci è permesso utilizzare il primo, uno stanco e demotivato ronin da portare avanti il secondo. Entrambi, tacito monito di Kojima per le critiche ricevute dal ribaltamento dei due protagonisti in Metal Gear Solid 2, qui riportati alla normalità ma scambiati nuovamente per forza e presenza scenica. Un grande inganno che si perpetua, quindi.
Ad oggi, senza considerare episodi laterali, spin-off e medium di altra natura (visual novel, manga e libri) la grammatica narrativa di Metal Gear Solid è tutt'ora ineguagliata. Non certo per spettacolarità o approccio maturo, ravvisabili in più di una produzione odierna. Quello che tratteggia i confini della saga Konami, oramai orfana del suo autore, è la volontà visionaria, sperimentale e intermediale di offrire un'esperienza completa e appagante a ogni fruitore.
Semmai un giorno i videogiochi dovessero assurgere ad arte, la saga di Metal Gear Solid non avrà diritto a un solo un padiglione, ma a un museo tutto suo.
Questo articolo fa parte della Cover Story "Metal Gear e Hideo Kojima", che trovate riepilogata a questo indirizzo.