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Backlog #8: Tower 57 è una spremuta di nostalgia, sparatorie e problemi tecnici

Backlog è la rubrica in cui chiacchieriamo fuori tempo massimo di giochi che abbiamo recuperato nella nostra lotta infinita contro il cumulo di arretrati. Sono quei giochi troppo recenti per poter essere ammessi nell'ospizio, ma già troppo vecchi perché possa ancora interessare a qualcuno una recensione classica.

Come penso tutti quelli che seguono Outcast, ho un backlog che fa provincia. Per fortuna, da ormai un pezzo sono riuscito a disintossicarmi dalla droga dei saldi e ho smesso di accumulare giochi su Steam, ma sono comunque pieno di roba che mi guarda languida e ammiccante dagli scaffali, virtuali e non, e a cui non mi sento di mentire: non lo so, se faremo mai all’amore. Oltretutto, in questo marasma di cose a cui vorrei giocare ma chissà se mai ci giocherò, vanno ovviamente ad infilarsi anche i giochi che non possiedo ma vorrei provare, e quelli di cui manco conoscevo l’esistenza. Per esempio: durante le feste, mi sono messo lì a smaltire un altro backlog, mettendomi in pari con qualche arretrato accumulato delle varie riviste che seguo più o meno regolarmente. Facendolo, sono incappato in recensioni di giochi che avevo completamente perso di vista, piccole produzioni indipendenti, intriganti e sfiziose. E che fai, non vuoi aggiungere al backlog pure quelle?

Non proprio. Ho infatti deciso di giocarmi la mossa Backlog, intesa come la rubrica nella quale si infila questo articolo, e chiedere ai rispettivi sviluppatori se avessero voglia di inviarmi qualche codice Steam. Ché, insomma, OK, il buzz è finito da tempo, ma magari fa comunque piacere se si continua a parlare del gioco. Ho quindi recuperato un codice Steam per Tower 57, a cui ho giocato – non senza qualche difficoltà – nello scorso paio di settimane e del quale mi ritrovo qui oggi a scrivere. Ma non prima di avervi agevolato lo streammino del pisolino in cui ho affrontato le prime fasi di gioco.

Tower 57 nasce da una campagna di raccolta fondi su Kickstarter, con l’idea di creare uno sparatutto twin stick che omaggi i giochi degli anni Novanta e in particolare l’epoca Amiga. A me, come scelte cromatiche ed estetiche, fa per qualche motivo venire un po’ in mente anche Smash T.V., ma insomma, visto il riferimento chiaro al computer di casa Commodore, è difficile non pensare a The Chaos Engine, il gioco di culto dei Bitmap Brothers. Quale che sia la fonte d’ispirazione, il modello è chiaro: uno sparatutto twin stick dalla progressione moderatamente lineare, strutturato su una serie di livelli che portano avanti una storia abbozzata, con un hub centrale nel quale è possibile cazzeggiare un po’ fra negozi, potenziamenti e personaggi, magari nella speranza di capire come sbloccare i segreti sparsi in giro. È tutto abbastanza tradizionale e l’aspetto forse più intrigante sta nella natura e composizione del team di personaggi.

In avvio, bisogna scegliere i propri tre guerrieri fra una rosa di sei (giocando in cooperativa, quindi, ci si porta dietro l’intero gruppone), ma in partita li si controlla uno alla volta e gli altri due fanno sostanzialmente da vite di riserva. È però anche possibile alternarsi al controllo dei tre personaggi (tramite appositi terminali o consumando la barra di energia deputata anche all’utilizzo degli attacchi speciali), cosa molto utile non tanto perché ognuno parte con le sue armi – in fondo è possibile cambiarle – ma perché la struttura da GdR permette di potenziare separatamente i fisici dei personaggi e le bocche da fuoco che si portano dietro, creando magari build che si complementino. Diventa quindi importante “curare” tutti e tre i propri blastatori e i rispettivi equipaggiamenti, soprattutto se si gioca al livello di difficoltà massimo e non si vuole giungere impreparati ai combattimenti più tosti.

Fra le caratteristiche più interessanti del sistema di gioco c’è la natura “indipendente” delle parti del corpo dei personaggi. In qualsiasi momento, se colpiti da un certo tipo di arma, è possibile perdere parti del corpo come braccia, gambe o testa. Le conseguenze, ovviamente, cambiano fra il non poter più tenere in mano un’arma, lo spostarsi molto lentamente o, beh, la morte. Tramite appositi terminali, però, possiamo comprare nuove parti del corpo e rimetterci in sesto. Tower 57 racconta insomma di un futuro distopico in cui la carne viene trattata come un attrezzo, né più né meno, al punto che possiamo addirittura decidere di vendere, che so, il braccio sinistro, rimanendo senza arma secondaria, se ci servono un po’ di soldi facili. È un immaginario inquietante e interessante, che la storia di Tower 57 affronta in maniera decisa, senza particolari approfondimenti, ma creando un contesto senza dubbio intrigante per le avventure dei nostri eroi, con tanto di finale ambiguo per le vicende (e finale segreto un po’ più lieto, ma neanche troppo).

Non si tratta, comunque, di un gioco incentrato sulla narrazione: la maggior parte del tempo viene trascorsa massacrando nemici, con una minima componente d’esplorazione a fare da contorno, non tanto per la progressione del gioco, abbastanza lineare, quanto per la scoperta dei segreti. La composizione delle armi, la loro varietà e potenziabilità, regala al sistema di gioco una buona profondità e c’è una bella attenzione per i dettagli. Basti pensare che la “scomponibilità” dei corpi si applica anche ai nemici e, per esempio, certi boss, capaci di assorbire parecchi proiettili se affrontati con armi regolari, possono essere decapitati con un singolo colpo ben piazzato di sega circolare o fatti saltare per aria all’istante col lanciarazzi.

Considerando anche che lo stile visivo retrò fa assolutamente il suo dovere, Tower 57 sarebbe un successo completo, se non fosse che la mia esperienza col gioco è stata appesantita da alcuni problemi tecnici piuttosto fastidiosi e francamente un po’ difficili da perdonare, considerando il tempo trascorso dall’uscita e il numero di aggiornamenti pubblicati. Prima ho “scoperto” che, se completi un livello con un’arma a secco di proiettili, da lì in poi, quando provi a fare fuoco con quell’arma (senza averla ricaricata) il gioco crasha. E poi mi è successo di ritrovarmi completamente bloccato, perché in un punto del gioco non appariva il nemico da distruggere per far aprire un cancello. Il servizio clienti mi ha ringraziato per aver fatto scoprire due problemi di cui non erano a conoscenza e ha risolto il primo spiegandomi come aggirarlo. Dopodiché abbiamo deciso che, per aggirare il secondo, la mossa migliore era quella di farmi passare un salvataggio nuovo. Da un lato ho perso i personaggi che avevo sviluppato, dall’altro ho potuto provare build diverse. Bicchiere mezzo pieno.

Intendiamoci, sono problemi tecnici che possono capitare e va anche un po’ a fortuna: non dubito che sia possibile completare Tower 57 senza incappare in roba del genere, ma a me è successa e mi sembra giusto segnalarlo. Ben più problematica, invece, è la natura delle collisioni fra personaggi e ambienti, dato che in più occasioni, soprattutto durante il combattimento con un boss specifico, mi è capitato che il personaggio si “incastrasse” su qualche pixel e non potesse muoversi, nonostante non ci fossero ostacoli visibili, e talvolta sono rimasto proprio definitivamente bloccato. E questa non è una bella cosa, soprattutto per un gioco che, già di suo, gestisce le collisioni in maniera abbastanza punitiva, dato che gli ambienti sono pieni di ostacoli che bloccano il cammino e i nemici stessi, se ci vengono addosso, ci impediscono il movimento. Nelle fasi più concitate, qualche bestemmia è partita. Eppure, questi problemi tecnici, che spero vengano prima o poi risolti, non mi impediscono di consigliare Tower 57 a chi apprezza il genere degli sparatutto twin stick e ama l’afflato nostalgico. È però importante sottolineare una cosa: si tratta di un gioco incentrato soprattutto sulla sua impostazione da “avventurona” lineare, con un inizio, una fine e un po’ di segreti da scovare nel mezzo. Non ci si aspetti, insomma, una bestia arcade dalla rigiocabilità infinita in stile Nex Machina. Si rimarrebbe delusi.