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Red Sparrow è meno atomico e meno biondo di quell’altro film (ma comunque non è male)

Nonostante la Cover Story dedicata a Metal Gear & a Kojima-san sia appena terminata, mi concedo un’ultima botta di spionaggio per parlare di Red Sparrow, il nuovo film con (e sostanzialmente costruito attorno a) Jennifer Lawrence, in uscita oggi nei cinema italiani.

Diretto da Francis Lawrence - che non è imparentato con la protagonista del film, ma comunque ci ha già avuto a che fare per via degli ultimi tre Hunger Games - e sceneggiato da Justin Haythe (Revolutionary Road), Red Sparrow è l’adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 2013, scritto da Jason Matthews, un ex agente operativo della CIA, evidentemente padrone delle cose che va raccontando.

In termini di premesse, la trama è piuttosto convenzionale, in effetti quasi stereotipata: la giovane e promettente ballerina del Bolshoi Dominika Egorova (Jennifer Lawrence, chiaramente), dopo essersi bruciata la carriera a seguito di un brutto incidente, viene coinvolta in certi fattacci di spionaggio dal “caro” zio Vanya (Matthias Schoenarts), un pezzo grosso dei servizi segreti russi, oltre che cosplayer di Putin, nonché evidentemente attratto in maniera morbosa dalla bella nipotina.

«Dovete respingere Soros, i suoi patti e la sua pericolosa influenza, altrimenti correte il rischio di soccombere davanti agli interessi dei globalisti!»

Ovviamente, quello che doveva essere solo un inghippo occasionale finirà per far scivolare la ragazza in una nuova vita da spia - del resto, lei si rivela piuttosto versata per l’arte dell’inganno - fino a portarla, passo dopo passo, al centro di un complesso intrigo internazionale, con annesso il classico bagaglio di tradimenti, doppi giochi e quant’altro.

Ora, non faccio mistero di essere un appassionato delle storie di spionaggio e giù di lì: da bambino, mentre tutti i miei compagni delle elementari sognavano di diventare calciatori, cantanti o attori famosi, io già desideravo di fare la spia. Non è un caso se alcuni tra i miei videogiochi favoriti appartengono alla saga di Metal Gear, né che uno dei mie film preferiti del 2017 sia stato Atomica Bionda, che ho visto in sala addirittura tre (quattro?) volte. In ragione di questo, mi sono avvicinato a Red Sparrow con una discreta fotta, nonostante i trailer sembrassero alludere a una scopiazzatura del film di David Leitch.

E invece, al netto di ovvie analogie di genere, i due film non potrebbero essere più divergenti, rispecchiando per certi versi le differenze - fisiche, attitudinali - fra le attrici a cui sono stati cuciti addosso. Laddove in Atomica Bionda la Lorraine Broughton di Charlize Theron è una donna sicura di sé, algida e spigolosa; bellissima ma perennemente ammaccata, in virtù del suo approccio al mestiere nettamente fisico (leggi: mena durissimo), la Dominika Egorova - nome in codice “DIVA” - della Lawrence è una ragazza giovane e ribelle, dai tratti senz’altro più morbidi. Addestrata alla manipolazione psicologica e versata per la seduzione, piuttosto che per le mazzate.

Sempre Atomica Bionda è un film iperbolico, di movimento, orientato all’azione più spettacolare e tenuto assieme dagli intrighi quanto (se non di più) dalle coreografie. Un film che mette in scena una violenza tanto bella quanto dura e nauseante (per dire: la mia morosa in sala stava quasi per svenire, e dopo il film è partito un bisticcio per il fatto che io, con due visioni sul groppone, non l’avessi comunque avvisata).

Red Sparrow, invece, nonostante qualche bottarella di violenza sadica qua e là, prova a mettere assieme una spy story senz’altro più classica, psicologica, plasmando la protagonista sulle fattezze di una moderna Mata Hari. Pure il ritmo e il montaggio non viaggiano troppo velocemente, a favore di una una messa in scena complessiva più pacata e convenzionale.

«Mi faccio bionda?»

Nonostante sia ambientato più o meno ai giorni nostri tra Budapest e la Russia, il film di Francis Lawrence persegue un’idea di spionaggio - e relativo immaginario cinematografico - un po’ retrò, quasi anni Settanta e Ottanta (tra i riferimenti, mi è parso di leggere La casa Russia, Gorky Park e I tre giorni del Condor). Viene riesumata persino la tensione tra USA e Russia, ma senza troppi approfondimenti politici: nel film si parla genericamente di una Guerra Fredda che «non se n’è mai andata, si è solo frammentata».

Eppure, nonostante Red Sparrow lasci intravedere qualche pretesa, non riesce a raggiungere la raffinatezza che vorrebbe agguantare né sul piano formale, che nonostante qualche guizzo e una buona illuminazione, rimane tutto sommato un pelo piatto, né tantomeno su quello narrativo.

Poi, per carità, roba che funziona ce n’è: tutta la parte deputata all’addestramento dell’unità Red Sparrow è riuscita e accattivante, anche per la presenza di un’ottima Charlotte Rampling, col suo personaggio a metà tra la “talpa” di Spy Game e il sergente Hartman di Full Metal Jacket in versione mistress, che insegna alle reclute varie tecniche di manipolazione e seduzione senza risparmiare loro umiliazioni di ogni tipo. Certo, le lezioncine di psicologia spiccia elargite qua e là non sono ‘sto granché (anche se Lawrence sembra crederci fortissimo), ma nel complesso tutto il segmento regge bene, ed è anche vero che se in una storia del genere sbagli il momento di formazione, butti via un po’ il film.

«Non mi piace il nome Lawrence, solo finocchi e marinai si chiamano Lawrence!»

Tutta la parte dell’intrigo vero e proprio, invece, mi è parsa più indecisa. Vuoi perché l’ho trovata eccessivamente prolissa, vuoi per i colpi di scena un po’ citofonati, ma soprattutto perché scoperchia la natura di compromesso del film, che alla fin fine è un “vorrei ma non posso”.

Francis Lawrence si dibatte tra l’operazione commerciale e il cinema d’autore wannabe, ma non trova il suo equilibrio. Confeziona un film tutto sommato piacevole, quello sì, visivamente adeguato ma che non riesce a volare al di sopra della media.

Anche a livello di recitazione. non si registrano grossi botti: al netto della buona presenza scenica, la Lawrence restituisce un personaggio po’ piatto. Joel Edgerton nei panni dell’agente americano fa la sua parte, ma dubito che dopodomani ricorderò qualcosa della sua prova. Certo, ci sono Matthias Schoenaerts, Jeremy Irons e Charlotte Rampling che alzano un po’ il livello; anche Mary-Louise Parker non è male, ma pure loro non riescono a rendere indimenticabile il film.

Però, ripeto, non è che Red Sparrow sia brutto o sgradevole, anzi: offre senz’altro un’esperienza piacevole; racconta una storia di maniera, OK, ma funzionale e messa in scena come si deve. Certo, non riesce ad andare oltre la soglia del puro intrattenimento - e per quanto mi riguarda non è un problema, ché i film brutti sono altri - ma ho la sensazione che il regista puntasse a qualcos’altro, ecco.

Ho visto Red Sparrow in anteprima grazie a una proiezione stampa alla quale siamo stati (al solito, gentilmente) invitati. Questa volta – colpo di scena – il film è stato proiettato in lingua originale con i sottotitoli in italiano, e nonostante abbia apprezzato molto la cosa, ho trovato abbastanza incomprensibile la scelta di tarare completamente la lingua sull’inglese, quando più della metà dei personaggi in scena è di nazionalità russa o comunque non americana (e per buona parte del film parlano solo tra loro). Boh?!