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Racconti dall'ospizio #116: No More Heroes era veramente cretino

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

I miei primi contatti “consapevoli” con il mondo allucinato di Suda51 risalgono (credo) al 2005. Lavorando ormai da anni su PSM, avevo visto passarmi davanti agli occhi Flower, Sun and Rain e Michigan: Report from Hell, ma me ne ero interessato molto di sfuggita. Con Killer7, però, presi a curiosare sul serio. A un certo punto di quel 2005, venne organizzato da Halifax un evento stampa di Killer7, a cui partecipai con tutto il mio entusiasmo, ritrovandomi seduto in prima fila a una fra le presentazioni più agghiaccianti, ammorbanti, stranianti, interminabili che storia ricordi. I sette killer, presentati uno per uno, con spiegazioni e filmati tutti stilizzati à la “Guarda quanto sono bello”, lunghissimi, lunghissimi, porco cane non finivano mai. Probabilmente duravano, boh, cinque minuti l’uno, ma nella mia testa era almeno mezz’ora. L’uno. Non ce la potevo fare. Ero lì, in prima fila, sempre più sprofondato nella sedia, con - immagino – un’espressione in volto da “Non ce la posso fare”, fra l’altro in tuta, perché all’epoca andavo in giro conciato in una maniera che al confronto oggi sembro elegante, e ricordo chiaramente lo sguardo disgustato di uno degli organizzatori in stile “Ma dimmi tu con che schifo umano di gente devo avere a che fare”. Good times.

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Comunque, insomma, complessivamente, Killer7 era il classico gioco in cui la somma delle parti è superiore al valore delle stesse (tanto più che diverse “parti” erano clamorose) e la classica cosa di cui apprezzi anche solo l'esistenza e l'aver avuto la possibilità di giocarci. Poi persi nuovamente di vista il Suda51 e, a cavallo fra il 2007 e il 2008, lui se ne saltò fuori su Wii con No More Heroes. Io, sul momento, non ci giocai. Sarà che era una fase turbolenta della mia vita, fra cambi lavorativi (fu quando passai dal lavorare nelle riviste, con localizzazione a lato, al lavorare nella localizzazione, con riviste a lato) e altro di personale che non mi sembra il caso di raccontare, sarà che forse non avevo ancora Wii (o forse sì, non so, non ricordo), ma non ci giocai. Lo feci successivamente, nel 2010, in avvicinamento all'uscita del seguito. A quel punto la mia vita era cambiata in maniera radicale, avviandosi verso uno status che perdura ancora oggi, compreso un dietrofront lavorativo che mi aveva riportato alle riviste come prima attività e alla localizzazione come seconda. E in quel momento, come più volte m’è capitato, decisi che poteva essere interessante unire l'utile al dilettevole: recuperai No More Heroes per poi recensire No More Heroes 2: Desperate Struggle su Videogame.it. Dieci anni dopo, quindi, eccoci qua: mi ritrovo a chiacchierare nostalgicamente di un gioco del Suda51, che ricordo con affetto nonostante i suoi immensi problemi. Cosa che per altro potrei dire tutti i suoi giochi su cui ho messo mano a parte Lollipop Chainsaw. Quello no, quello è splendido e basta.

Comunque, No More Heroes. Concepito inizialmente come gioco per Xbox 360, No More Heroes si sposta su Wii perché l'idea di utilizzare il Wiimote fa ingrifare Goichi Suda e compagni. Lo spirito alla base del progetto va ricercato nel desiderio sudiano di sviluppare un gioco che si inserisca nel filone degli open world, anche se declinandolo, ovviamente, alla sua maniera tutta particolare. Purtroppo, questo impeto apertomondista si rivela, ad esser buoni, croce e delizia. Da un lato, il mondo di No More Heroes è uno splendido e delirante coacervo di puttanate, un frullato di omaggi, citazioni, allegorie, critiche alla società giapponese, pennellate d’amore verso il cinema, la letteratura, la musica la [inserire qualsiasi cosa piaccia a Suda51 e ai suoi collaboratori]. Dall'altro, il mondo di No More Heroes è un'insostenibile palla al cazzo. Enorme, vuoto, noiosissimo da esplorare, pieno di minigiochi, attività e lavori simpatici, sferzanti, dissacranti, divertenti la prima volta, insopportabili quando il gioco ti costringe a ripeterli più e più volte per proseguire. Insomma, bene ma non benissimo.

D'altro canto, la verità è che, come al solito, per apprezzare gran parte dei giochi su cui Suda51 mette le mani, bisogna essere pronti a tollerare quel che non va (e può essere tosta) e aggrapparsi con amore a quel che funziona (e può essere meraviglioso). Qui, a funzionare, c'è per esempio un taglio clamorosamente dissacrante, sferzante, deflagrante nell'approccio ai cliché del videogioco open world, alla mentalità del Giappone moderno, alla cultura pop. C'è una narrazione completamente sborracciata e sopra le righe, che la butta per aria senza alcun timore. C'è, per certi versi, un gioco che anticipa quel che anni dopo, seppur con un taglio completamente diverso, fosse anche solo perché occidentale, farà Volition con i suoi Saint's Row più sparati per aria. È il trionfo dell'accazzodecane before it was cool. E poi c'è un sistema di combattimento che, nella sua semplicità, funziona abbastanza bene, mescolando con gusto comandi tradizionali e motion control e trovando la sua perfetta espressione negli scontri coi boss, davvero clamorosi per caratterizzazione, idee e divertimento puro. Alla fin fine, dentro, anche dieci anni dopo, mi rimane soprattutto quello. Un gioco rotto, grezzo, stronzo, ma clamoroso in quel che riesce a fare bene e che paradossalmente, o forse no, finirà per dare vita a un seguito molto meno interessante proprio perché più pulito, curato, quadrato e "oggettivamente" riuscito, divertente, funzionante. O almeno così me li ricordo io.