Amici miei, sono Peter Rei
Che poi, a parlare di Gundam, ci si può solo fare del male. Perché o sei un grande fan, che si è visto tutti i subbed, o non sei titolato a parlarne. Se mostro arroganza nel cominciare questo discorso è perché ho un paio di modelli in metallo in vetrina, in pose molto fashion: modelli scelti più per il mech design che per la componente nostalgica o il ruolo nella storia. Storia di cui conosco alcune parti e il disegno generale, ma che non saprei ricollegare tra una serie e l’altra. Ma il motivo per cui Gundam salta fuori sulle pagine di Outcast è un altro: il nuovo film di Steven Spielberg, tratto dal libro di Ernest Cline, in cui compare anche il robottone simbolo di Bandai.
Di base, Gundam, nelle fattezze dell’RX-78 di Amuro Ray, è l’emblema stesso della cultura pop del Giappone contemporaneo. Non tanto quella underground, quanto quella più di massa, che però, qui in occidente, fa quasi radical chic. Secondo alcuni studiosi giapponesi, tra questi Hiroki Azuma, autore dello splendido libro Generazione Otaku (Jaka Book, 2010 - Se lo comprate su Amazon tramite questo link, un po' di soldi vanno a noi senza sovrapprezzo per voi), la serie di Gundam rappresenta una fra le ultime “grandi narrazioni” prodotte dalla cultura giapponese. E a questo punto merita una digressione.
Cultura otaku e postmodernità
Azuma, infatti, comincia il suo ragionamento partendo dalla definizione di “postmoderno”, l’aggettivo usato per descrivere la cultura dopo gli anni Sessanta e Settanta. La società odierna emerge dalla frattura che si è creata in quegli anni, che hanno visto, da un lato, crescere l’influenza di forme d'espressione popolari (come la musica rock, il cinema di fantascienza, i telefilm e la pop art), mentre, dall’altro, la politica, la letteratura e le avanguardie artistiche hanno perso di importanza nel plasmare il modo in cui concepiamo il mondo. All’interno di questo contesto, nasce la figura dell’otaku, termine che designa le persone interessate in maniera ossessiva a manga, anime e videogiochi.
Otaku (letteralmente “la sua casa”) è un pronome onorifico rivolto a chi non si conosce e assume un’accezione ironica tra pari. È entrato in uso negli anni Ottanta per identificare quegli sconosciuti che si ritrovano a fiere ed eventi specializzati, accomunati solo da una stessa forte passione. In occidente, può trovare dei corrispettivi con i termini “geek” e “nerd” anche se non c’è una perfetta sovrapposizione.
In Giappone, infatti, il termine ha avuto anche valenza negativa in seguito a fatti di cronaca nera e solo al cambio del millennio è stato riabilitato dagli studiosi, che hanno individuato una vera e propria cultura otaku, fondata su alcuni fenomeni caratterizzanti: prima di tutto i dojinshi, produzioni amatoriali derivate da opere commerciali di successo, e poi il cosplay (crasi di “costume” e “playing”, con cui si indica l’attività di disegnare, confezionare e indossare i vestiti dei propri personaggi di videogiochi, manga e anime preferiti).
Secondo Azuma, “La storia della cultura otaku è un’addomesticazione della cultura americana, in cui la particolare estetica di manga e anime è solo un tratto di un immaginario eccentrico e senza limiti, che rappresenta il Giappone contemporaneo”. Tale immaginario è popolato da ibridi che riprendono temi cari alla tradizione giapponese, profanati da un’immaginazione senza radici. E a tale proposito, Azuma cita Sailor Mars, la sacerdotessa scintoista vestita da collegiale che conosce l’astrologia e usa una bacchetta magica.
In particolare, la pervasività di questa cultura, capace di estendere le sue radici anche nel nostro mondo, ha la sua ragione d’essere nella diffusione dei simulacri e nel declino delle grandi narrazioni. Mentre l’onnipresenza dei simulacri è un mutamento imputabile al progresso tecnico (Jean Baudrillard pronosticò che nella società postmoderna si sarebbe affievolita la distinzione tra opera originale e copia, dando origine a una nuova forma di prodotto, il simulacro), il declino delle grandi narrazioni è una trasformazione sociale e ideologica.
Un altro studioso francese, il filosofo post-strutturalista Jean-François Lyotard, sosteneva che l’apparato normativo ed etico di una società sarebbe stato destinato a divenire inefficace e ad essere rimpiazzato da una moltitudine di piccoli valori.
Tra la fine del diciottesimo secolo e la metà del ventesimo, gli stati moderni hanno adottato diversi sistemi per riunire i membri di una comunità a vari livelli: sul piano filosofico con la concezione dell’essere umano e della ragione; sul piano politico con l’ideologia dello stato e della rivoluzione; sul piano economico con la supremazia della produzione. Tali sistemi erano designati con il termine di grandi narrazioni.
Tuttavia, nell’epoca postmoderna, tali narrazioni sono divenute disfunzionali, portando a un indebolimento della coesione sociale. Non potendo più cogliere la grandezza di concezioni sostenute da tradizioni come “società” e “dio”, gli otaku tentano di colmare il vuoto con elementi culturali alla loro portata, riflettendo così le caratteristiche peculiari della postmodernità.
Tale vuoto è colmato dagli otaku consumando simulacri, senza distinzione rispetto all’originale. Tale cambiamento nelle abitudini di produzione e consumo riguarda anche gli autori, che mettono in vendita su canali alternativi i prodotti derivati delle loro stesse opere commerciali. Inoltre, persino un’opera considerata originale può essere composta da disegni e citazioni di opere precedenti: sin dall’inizio possono essere concepite come simulacri (Evangelion anyone?)
In questo scenario, gli otaku attribuiscono importanza al modo in cui è costruita l’opera, piuttosto che al suo messaggio. Non importa che si tratti di giocattoli, videogiochi o fumetti: non è il prodotto in sé ad essere consumato, ma questo acquista valore solo grazie a ciò che in esso corrisponde a una grande narrazione, della quale presenta una porzione, oppure dalla presenza di un ordine individuabile sullo sfondo. È questo valore che lo rende atto al consumo. La vendita di un insieme di prodotti simili è dunque favorita dal modo con cui i consumatori sono indotti a credere che, con la ripetizione di queste condotte di consumo, potranno avvicinarsi al quadro generale di una grande narrazione. Come accade, per l’appunto, con l’infinita saga di Gundam, a cui è possibile accedere da qualsiasi manifestazione di intrattenimento, dal videogioco al modellismo fino all’installazione artistica, passando ovviamente per produzioni animate e a fumetti.
Ad essere consumata non è la specifica vicenda narrata o uno specifico prodotto derivato, ma il sistema che si presume vi sia celato dietro. Attraverso il consumo di “piccole narrazioni” (una storia specifica all’interno di un prodotto specifico), gli utenti finiscono così per accedere alla grande narrazione. Mentre le piccole narrazioni costituiscono elementi di costruzione per raffigurare un’ambientazione, le grandi narrazioni costituiscono un’idea generale di immagine/concezione del mondo. I prodotti originati dalla cultura otaku hanno quindi la funzione di consentire l’accesso alle grandi narrazioni e il risultato di questo meccanismo è la proliferazione di prodotti derivati (simulacri).
Ready Player One e l’archivio di dati
Nella rappresentazione moderna del mondo, da una parte c’è il mondo superficiale che appare alla nostra coscienza, dall’altra uno strato profondo che determina il mondo superficiale e che corrisponde alle grandi narrazioni. L’oggetto del metodo scientifico moderno è stato mettere in risalto questo strato profondo. Al contrario, nella rappresentazione postmoderna del mondo, la struttura è quella del reticolo cangiante del rizoma di Deleuze e Guattari. Questo modello rappresenta la sparizione dello strato profondo e la moltiplicazione delle combinazioni di segni nel mondo superficiale. Il modello a cui si fa riferimento è quello dell’archivio di dati: il web non ha un centro, non presenta una grande narrazione nascosta che determina l’insieme dei siti nella rete. Internet è una struttura a doppio livello: da un lato rappresenta un accumulo di informazioni in codice e, dall’altro, viene fruita come pagine individuali date da un accumulo di dati elaborati dagli utenti.
Mentre il modello ad albero ha dominato la società fino agli anni Cinquanta, producendo come ultime grandi narrazioni le tesi di estrema sinistra (che hanno dato il via al movimento studentesco), dagli anni Sessanta in poi, la logica postmoderna ha cominciato a prendere piede, ottenendo il sopravvento negli anni Settanta. Tuttavia, sebbene il mondo abbia iniziato a funzionare secondo il modello dell’archivio di dati, il modello ad albero è stato integrato tramite il sistema educativo e le opere scritte. La prima generazione di otaku si è quindi lanciata nel tentativo di costruire nuove grandi narrazioni. Ed è qui che arriva Gundam.
Le nuove generazioni, invece, che fin dall’inizio considerano il loro ambiente come un immenso archivio di dati, non hanno più bisogno di inventare una rappresentazione del mondo (seppure immaginaria), ispirata dalla loro subcultura. Le nuove generazioni si accontentano di consumare solo i dati senza relazionarsi alla vicenda narrata o al messaggio dell’opera. Come accade, per esempio, in Evangelion dello studio Gainax. A differenza di Gundam, la saga di Evangelion non è una singola grande narrazione incentrata sulla coerenza della serie animata, quanto un insieme di elementi frammentari, liberamente interpretabili secondo le propensioni emotive dello spettatore. In definitiva è una grande non-narrazione.
E qui arriva Ready Player One. Se avete letto il libro, già sarete a conoscenza dell’arco narrativo, che poco si discosta dal tradizionale Viaggio dell’Eroe (Cfr. Christopher Vogler). La forza dell’opera di Cline sta in tutti gli elementi dell’archivio di dati da cui pesca, suscitando un senso di reverenziale nostalgia in quei lettori che hanno potuto vivere direttamente i primi anni della storia dei videogiochi. La trasposizione multimilionaria di Spielberg non può certo limitarsi all’esclusivo pubblico dei quarantenni nerd e così, per aprirsi al mondo intero e a generazioni precedenti e successive, pesca a piene mani dall’immaginario geek-pop degli ultimi cinquant'anni, dando un posto tanto a Tracer di Overwatch, quanto al RX-78 di Gundam. E nel fare questo, si dimostra forse l’opera più postmoderna della postmodernità.
Che poi è dove effettivamente volevo arrivare con tutto questo pippone.
In sintesi: il mondo come lo conosciamo potrebbe finire il 29 marzo. Sei pronto, giocatore uno?
Questo articolo fa parte della Cover Story su Ready Player One, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.