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Post Mortem #31 - Star Wars Battlefront VR: nello spazio, nessuno può sentirti piangere di gioia

Una rubrica in cui vi raccontiamo i post mortem dei principali videogiochi, vale a dire le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, su cosa abbia funzionato e cosa no durante il lungo processo che porta alla nascita di un videogioco.

Tutte le opere che hanno segnato la nostra vita, specie se in modo positivo, lo hanno fatto grazie a emozioni fortissime. Emozioni che possono venire tanto dalla storia che viene raccontata, quanto tramite le immagini, le suggestioni musicali o, nel caso dei videogiochi, le meccaniche stesse. Kieran Crimmins e Mark Bridges di Criterion Games, come tanti altri nella loro fascia demografica, sono evidentemente cresciuti a pane e Star Wars, emozionandosi come bambini (probabilmente perché erano dei bambini) quando hanno visto sfrecciare le astronavi di George Lucas sul grande schermo. E, durante la loro carriera da art director e game designer, hanno sempre voluto riproporre e in qualche modo rivivere quelle emozioni incredibili, oltre che trasmetterle al loro pubblico.

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, i due non sapevano ancora di essere alla ricerca di una serie di stimoli che sapesse restituire determinate emozioni, ma sapevano di stare cercando qualcosa, un’immersione emozionale simile a quella che si ha quando si gioca propriamente di ruolo. Curiosamente, questa sensazione è stata ritrovata quasi per caso durante una delle hackaton interne che si svolgono negli uffici di Criterion, durante le quali i creativi si “sfidano” a dare il meglio, sfoderando idee a getto continuo e sviluppandole in un paio di giorni intensissimi, allo scopo di mostrare le capacità di tutti e le possibili idee creative per nuovi progetti.

In particolare, Crimmins e Bridges si sono visti piovere addosso dei Google Cardboard da un amico e, ovviamente, i due si sono presi benissimo, hackerando i giochi spaziali per telefoni, creando un’esperienza multigiocatore in cui, in pratica, si pilotava un’astronavina attraverso le galassie vivide di laser e altre circostanze molto familiari a chi è cresciuto a pane e Star Wars. Un giochino, per l’appunto, nato dalla volontà di rivivere l’emozione di spararsi nello spazio, sentire sfrecciare le astronavine e, perché no, risentire l’amore per una saga che, non va mai dimenticato, ci ha dato anche Jar-Jar Binks.

Tuttavia, il giochino non solo funzionava, ma era anche capitato in una congiunzione astrale incredibile: Criterion, fino a quel momento, aveva lavorato principalmente ai nuovi Need for Speed e ai mezzi di Battlefront e Battlefield 1, ma grazie a una serie di agevolazioni e un supporto costante da parte di EA e Sony UK, si sono ritrovati a poter ampliare e migliorare il loro concept di base fino ad arrivare là, dove solo Industrial Light & Magic era arrivata prima.

Con il supporto di Sony UK, Criterion ha cominciato a studiare e a elaborare le regole d’oro dietro lo sviluppo per la realtà virtuale, ma mantenendo sempre l’idea, per certi versi controproducente, di mettere la ricerca delle emozioni e della presa bene davanti alle regole e al buon senso necessari allo sviluppo in VR (leggasi: le norme assodate per evitare che i giocatori vomitino anche la cena di Natale del ‘97).

Al netto dei vari tecnicismi più spinti, che comunque ci sono stati risparmiati, l’esempio pratico più comprensibile che il duo ha portato alla GDC è stato quello della visuale: il giocatore immerso nel cockpit è impercettibilmente fuori asse rispetto al mirino, così come il movimento della navicella che si attua tramite la levetta sinistra agisce con un tempismo ancora diverso. Il risultato, sulla carta dissonante, è quello finale, perfetto, che garantisce il giusto “wobble” della telecamera e dei comandi, e soprattutto un effetto wow clamoroso.

Un effetto garantito anche e soprattutto grazie alla perfezione con la quale sono stati creati molti dettagli, specie per quanto riguarda la cabina di pilotaggio dell’X-Wing. Chiaramente, essendo il “luogo” dove il giocatore passa tutto il tempo, il numero di dettagli presenti e la cura con la quale sono stati riportati ha del maniacale, con ogni singolo pulsante che ha una funzione specifica, proprio affinché il giocatore ottenga la giusta risposta emozionale a una curiosità razionale (“Cosa fa questo tasto? OOOH!”).

Senza contare che è proprio seduti al comando dell’X-Wing che succedono quelle cose che, a noi come agli sviluppatori, fanno venire gli occhioni lucidi: l’uscita dall’iperspazio, quel momento in cui è tutto calmo prima che arrivino gli altri ribelli e le loro battutine sarcastiche, l’incrociatore gigante che ti pettina i peli dietro le orecchie prima di sparare al tuo deretano galattico.

Senza contare che, a detta di Crimmins e Bridges, replicare l’emozione dello “sbarco” di uno Star Destroyer su schermo è facile, ma con un visore per la realtà virtuale, in cui il giocatore può fare quello che vuole e spostare la visuale, è molto più difficile. Per fortuna, agli sviluppatori è bastato (?) deviare l’attenzione e dirigere lo sguardo dei giocatori per far arrivare lo Star Destroyer indisturbato: durante la scena madre del DLC, tutti i Tie-Fighter volano verso, ehm, l’orizzonte (?), focalizzando il loro fuoco su una corvetta ribelle. Il video e l’audio, a quel punto, spingono l’attenzione del giocatore in quel punto nello spazio, lasciando lo Star Destroyer libero di fare la sua teatrale entrata in scena.

Per altro, con la scusa dell’arrivo dello Star Destroyer, i controlli dell’X-Wing venivano disabilitati, in modo da non indurre i giocatori a sparare e/o dirigersi (e schiantarsi) sull’incrociatore. Allo stesso tempo, disabilitare il movimento e “annunciare” in qualche modo l’arrivo di un oggetto estraneo ha aiutato gli sviluppatori ad alleviare il naturale senso di nausea che colpisce quando guardiamo un oggetto enorme, mentre si muove e noi rimaniamo inerti. La mente è misteriosa: basta dirle come sentirsi e quella annulla la nausea.

La mente, del resto, è quella che fa in modo di garantirci l’immersione e l’immedesimazione, a patto di ricevere i giusti stimoli e le giuste ricompense. Come in un gioco di ruolo, Crimmins e Bridges hanno ideato la loro esperienza VR in modo da coinvolgere e ricompensare i giocatori, spingendo la loro curiosità e dando loro in cambio nuovi stimoli, che li tenessero ancorati in quella galassia e a quelle emozioni. Senza esagerare con elementi grafici astratti, ma anzi integrando tutto con una interfaccia grafica pulita e leggibile, il cockpit dell’X-Wing è disegnato per tirare dentro tutti nel ruolo del(la feccia) ribelle, dal primo dei novellini al general manager di EA, protagonista di un video in cui prova letteralmente ogni bottone dell’X-Wing parcheggiato nel menu principale del DLC, sorridendo a ogni risposta del caccia. Una sensazione di immersione che è stata valorizzata anche attraverso la prima missione, concepita per far sì che i Tie Fighter andassero incontro ai giocatori, per farli sentire al centro dell’attenzione e, soprattutto, in modo che potessero riempirli di laser, effetti sonori e visivi che li portassero subito in una galassia lontana lontana, indipendentemente dalla loro effettiva bravura pad alla mano.

Una missione compiuta, dal momento che i due, da sempre immersi nel progetto, non si erano resi conto della bontà del loro gioco di ruolo sui generis. Alla prima gamescom in cui è stato mostrato il gioco, però, il team di Criterion si è reso conto quanto il loro prodotto facesse leva sulle emozioni delle persone: gente in lacrime, che ricordava i sogni spaziali che ha fatto dal ‘77 a oggi, finalmente diventati realtà grazie alla realtà virtuale. Io stesso, presente a quella tristissima gamescom, mi sono intrufolato alla demo per la stampa e ne sono uscito un uomo diverso, di nuovo innamorato, con gli occhi un po’ lucidi e il cuore caldissimo. E allora, ancora una volta, viva la Forza (e che dio la benedorza).