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Somewhere: The Vault Papers, messaggi da una sconosciuta

La cosiddetta Interactive Fiction poggia le sue basi nei primi anni di vita dei personal computer. Prima ancora che ci fosse un barlume di aspetto grafico, grazie ad aziende come Infocom, i giocatori di inizio anni Ottanta potevano vivere avventure incredibili tramite del semplice testo su schermo e, armati di carta, penna e tanta pazienza, passavano le giornate a disegnare mappe per riuscire a scappare da un dungeon o per ricordarsi dove fosse quella cripta con l’accesso al tesoro. Sono passati trentotto anni, dal primo Zorke il mondo è cambiato, ovviamente. Abbiamo giochi con orpelli grafici che sfiorano il fotorealismo, motori fisici che simulano qualsiasi oggetto e tecnologie che permettono di ricreare quasi ogni superficie, ma anche in questo mondo ipertecnologico è possibile rimanere ammaliati dal un racconto interattivo.

In realtà, ciò che ha permesso ad un genere così antico di tornare discretamente in auge è proprio la tecnologia, e in particolar modo gli smartphone. Ormai è qualche anno che su iOS e Android vengono pubblicati giochi in cui il giocatore viene coinvolto in trame che vanno dalla spy story all’horror, come se qualcuno lo contattasse via SMS o Whatsapp.  

I giochi di questo genere si dividono in due macro categorie, quelli che io chiamo “qualcuno ti contatta e tu rispondi” e quelli invece che “hai trovato il telefono di qualcun altro, ora sono fatti tuoi”. Lasciatemi spiegare, parto dal fondo: la seconda categoria simula il fatto che noi abbiamo trovato il cellulare di qualcun’altro e grazie a questo veniamo invischiati in complotti vari, o addirittura dobbiamo salvare il proprietario del telefono. Esempio lampante di questa categoria è S.I.M. (She Is Missing) dove scopriamo che il telefono rinvenuto è di una ragazza che sembra essere vittima, almeno dei video che troviamo nella memoria della smartphone fittizio), di qualche aggressione.

L’altra categoria, la “qualcuno ti contatta e tu rispondi”, è molto più diffusa e prevede il fatto che iniziamo a ricevere messaggi da persona sconosciute che pian piano ci mettono al corrente di pericoli, personaggi, situazioni che stanno vivendo in quel momento.

Somewhere: The Vault Papers fa parte di quest’ultima categoria e, una volta lanciato il gioco, veniamo contattati da una ragazza, evidentemente in pericolo, dal nickname Cat. Risulta chiaro da subito che non siamo noi la persona che Cat voleva realmente contattare, ma comunque ci chiede aiuto e chi siamo noi per dirle di no? Somewhere ricalca in maniera abbastanza classica le caratteristiche di titoli simili, come per esempio la serie Lifeline, quindi per rispondere alle domande di Cat sono disponibili alcune scelte preimpostate che possono far andare la trama in una direzione o nell'altra.

Cat può essere in una situazione difficile, e chiederci se rimanere nascosta o rischiare una corsa a perdifiato per raggiungere il bus che sta arrivando, noi possiamo darle un consiglio, ma ovviamente possiamo anche sbagliare. Questo genere di giochi ha un difetto, e SomeWhere, purtroppo, non riesce ad evitarlo: il game over. Se scegliamo la frase sbagliata, o una serie di risposte che mettono in pericolo Cat, questa rischia di essere catturata o uccisa. In caso il gioco finisse così, senza raggiungere almeno uno dei finali, è obbligatorio rifarsi parte dell’avventura da determinati punti, stile checkpoint.

La cosa non sarebbe così tragica se non fosse che le azioni accadono in tempo reale, quindi, quando Cat dice che si sta spostando in un’altra città e che ci metterà anche ore, la storia non progredirà fino a che lei non arriverà virtualmente a destinazione. Raggiungendo invece uno dei finali, è possibile tornare su decisioni passate e vedere come siano gli altri rami narrativi. 

Per mantenere il giocatore sempre in tensione, l’app invia, quando necessario e se sono state attivate, una serie di notifiche, proprio come se stessimo messaggiando.  Un consiglio: spiegate alla vostra compagna/compagno/moglie/marito/convivente che è un gioco, ché l’arrivo di notifiche da gente sconosciuta non è mai ben accetto.

Un punto di distinzione del gioco di Plug In Digital è che ogni tanto Cat ci chiede delle informazioni reperibili tramite Google Maps o con una ricerca su internet. Per esempio, ad un certo punto sbuca da una fermata della metropolitana (il gioco è inizialmente ambientato a Berlino) e ci chiede quale sia il parco più vicino. Senza dare un’occhiata alle mappe, rischiamo di farla sbagliare e metterla in pericolo. Questo aspetto rende l’esperienza più realistica e anche decisamente più interessante, ma Somewhere, a mio avviso, ha problemi sul piano dell’interazione tra Cat e il giocatore.

Al contrario di quanto avviene in altri giochi simili, qui c’è troppo testo da leggere, ma non perché uno non abbia voglia, ma perché mi immagino che una persona braccata da chissà quali nemici, con il telefono hackerato e alla ricerca di aiuto, non passi minuti e minuti a chiacchierare dell'importanza di Wikileaks via chat con uno sconosciuto (che sarei io).

Plug In Digital è un team di sviluppo specializzato in questo genere,  e nel loro portfolio ci sono chicche davvero pregevoli. Somewhere: The Vault Papers è un buon gioco, non tra i loro migliori, ma se comunque si è degli appassionati, un occhio lo merita sicuramente, anche solo per la novità di aprire le mappe perché ce l’ha chiesto una fuggitiva che esiste solo nell’ambito di un’app.

Ho giocato a Somewhere: The Vault Papers su iPhone 6s grazie a un codice per il download gentilmente inviatomi dagli sviluppatori. Mi è praticamente impossibile dire quanto tempo ci ho messo a raggiungere uno dei finali, dato che aprivo l'app quando riuscivo, senza seguire pedissequamente le notifiche. Il gioco è disponibile in inglese, spagnolo, francese e tedesco, ed è necessario avere una certa dimestichezza con la lingua. Somewhere: The Vault Papers è disponibile al momento solo per piattaforme mobili Apple.