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Lo ammetto: anche dopo averci giocato, non ho idea del perché Mulaka si chiami Mulaka

Mulaka è un gioco dal tema molto originale. È infatti ispirato alla mitologia e alla cultura Tarahumara, ovvero, come ho scoperto dopo una breve capatina su Wikipedia, una popolazione indiana residente nel nord del Messico. Sperando di non peccare troppo di semplificazione, mi pare di capire che si tratti dei discendenti degli Aztechi, che ancora oggi vivono in quelle zone. Ai fini del gioco, questa scelta si riflette sia nella caratterizzazione dei personaggi e dei nemici, ispirati ai costumi e agli animali di quell’area, che nella storia, che credo si rifaccia a qualche mito di questo popolo. Protagonista del gioco è un Sukuruame, ovvero uno sciamano-guerriero che lotta contro la corruzione della terra del suo popolo. Il suo aspetto è quello di un indiano ricoperto di puntini bianchi, e tutti nel gioco lo trattano come se fosse un superuomo. Non a caso, combatte contro mostri anche piuttosto grossetti e corre come una lippa (l’abilità nella corsa è uno fra i tratti principali dei Tarahumara, e ovviamente l’ho scoperto pochi minuti fa).

Ma ora vediamo di uscire dal momento Rieducational Channel e passiamo al gioco vero e proprio: Mulaka è un gioco d’azione in 3D, basato sui classici cardini di questo genere, ovvero esplorazione, soluzione di puzzle e combattimento. Estremizzando, il gioco ricorda un po’ gli action adventure di un paio di generazioni fa, complice anche la grafica low poly che dà al gioco un’atmosfera un po’ retro. Questo sapore di “stagionato”, non so se voluto o capitato, è legato a un paio di fattori: il livello tecnico generale, che è un po’ sotto quello a cui siamo stati abituati di recente, in particolare per i movimenti nervosi del personaggio e una leggera imprecisione generale dei controlli, non gravissima, ma visibile; e il livello di dettaglio e cura nella realizzazione delle ambientazioni, che sono assolutamente funzionali, ma offrono pochi elementi aggiuntivi a quelli strettamente necessari per procedere nel gioco. A colpo d’occhio, Mulaka pare un po’ “vuoto” a causa del low poly, ma anche giocando ed esplorando gli ambienti, ci si rende conto che, al netto di una serie di elementi interattivi abbastanza facili da identificare, il resto del mondo di gioco è piuttosto statico.

La struttura di gioco vede il Sukuruame affrontare una serie di livelli open world, ognuno con una sua identità tematica (il deserto, il canyon, etc.) e un boss, che va sconfitto per avanzare nel gioco. In ogni livello, l’obiettivo è aprire un portale recuperando tre pietre magiche, che generalmente vanno conquistate una per volta risolvendo puzzle di varia natura. Per semplificare l’orientamento all’interno dei livelli, che sono tutto sommato piuttosto grandicelli, il Sukuruame ha una sorta di “terzo occhio” attivabile con il tasto R, che mostra su schermo la direzione dei punti di interesse, generalmente tesori o interruttori. Ottenere le pietre non è banale, in particolare all’inizio, quando non sono chiari il livello di interazione offerto dal gioco e le azioni a disposizione dell’eroe, ma dopo averci fatto un po’ la mano, le cose diventano più semplici. Mulaka offre fondamentalmente tre tipi di sfide: puzzle ambientali (ruota X, turnica Y), nemici da sconfiggere e “porte” da aprire utilizzando i poteri del Sukuruame. Sui puzzle non c’è moltissimo da dire, e anche i combattimenti funzionano in modo piuttosto standard, il nostro eroe ha infatti a disposizione tre tipi di attacco: debole/veloce, forte/lento e a distanza. Non sto a spiegarvi i primi due, ma mi soffermo un po’ sull’attacco a distanza, perché onestamente è piuttosto scomodo da usare, per colpa di un mirino minuscolo che spesso viene coperto dal corpo del personaggio. Ci sono un paio di nemici che vanno colpiti per forza con questo attacco e che sono una pena tutte le volte che si incontrano. In aggiunta agli attacchi, il Sukuruame ha a disposizione anche una classica schivata e il salto, che possono essere utilizzati per uscire dalle situazioni più difficili. Dal secondo mondo in poi, devo dire che ho trovato i combattimenti di Mulaka mediamente difficili, per via della combinazione di nemici con attacchi abbastanza efficaci e il potere di cura troppo lento da attivare. Singolarmente, i mostri sono tutti OK, ma spesso il gioco fa ricorso ad arene chiuse in cui bisogna sterminare un certo numero di mostri prima di proseguire, e in questi frangenti le cose possono farsi rapidamente pesanti, soprattutto se ci sono nemici che richiedono di essere attaccati a distanza. Niente che non sia facilmente sistemabile con una patch, basterebbe aumentare la velocità della funzione di cura, sistemare il mirino o rallentare gli attacchi dei nemici, ma al momento ci sono senz’altro picchi di difficoltà inaspettati.

Passando ai poteri, il Sukuruame ha una serie di abilità che si sbloccano avanzando nei livelli, attivabili quando si vuole e che si ricaricano raccogliendo erbette in giro. Il potere più importante è senz’altro il terzo occhio, che oltre a indicarci la posizione degli oggetti sensibili è anche utile per vedere piattaforme segrete e l’energia dei nemici. Dopodiché abbiamo altre cosette, come il potere di cura, un paio di attacchi speciali e le trasformazioni, che mutano il protagonista in vari animali, come un Falco o un Orso, ognuno con sue abilità specifiche. Anche se sulla carta i poteri e le abilità dovrebbero garantire una certa varietà, in realtà il mondo di gioco relativamente poco interattivo li rende “solo” OK. Il problema di fondo, rispetto a titoli dal budget più importante, è che in Mulaka non c’è una reale fisica alla base delle interazioni, e pertanto l’utilizzo dei vari poteri appare più piatto di quanto non sarebbe in giochi in cui personaggio, nemici ed elementi interattivi sono collegati e resi coesi dalla fisica. Ribadisco che non è un problema molto grave, ma è importante non aspettarsi una interazione alla Zelda.

Concludo con una parentesi sull’aspetto tecnico, che come accennato più volte, si basa su due pilastri: la grafica low poly e il tema Tarahumara. Insieme, questi due elementi conferiscono a Mulaka un aspetto molto singolare, che spicca nel panorama dei titoli indie e che rende molto soprattutto nelle schermate statiche. Una volta in movimento e ancora di più entrando nel vivo dell’azione, la qualità tecnica tende a lasciarsi un po’ andare a causa di controlli leggermente approssimativi e una generale imprecisione nella struttura dei livelli. Se in giochi di questo tipo, di solito, il posizionamento di piattaforme ed edifici è legato a un griglia costruita sulla lunghezza di un salto standard del personaggio, in Mulaka, spesso, ho avuto l’impressione che le cose fossero posizionate a caso, con il risultato che non si capisce mai bene se un certo punto si possa raggiungere o no. E lo stile grafico non aiuta affatto, perché le superfici senza texture sembrano tutte uguali ed è un casino tarare i salti. Poi, intendiamoci, Mulaka è un gioco fatto di grosso, non ci sono mai movimenti precisi da fare e in qualche modo si va sempre avanti, ma un po’ più di cura ci sarebbe stata bene.

Pollice in su, invece, per la caratterizzazione, perché al di là di tutto, Mulaka ha quantomeno il merito di avermi fatto conoscere i Tarahumara, che non avevo la più pallida idea di chi fossero. Non che adesso la mia vita sia più ricca, ma quantomeno posso dire che questo gioco mi ha insegnato qualcosa e se fossero gli anni Ottanta, questa sarebbe senz’altro la morale di questa puntata di Outcast!

A tirare le conclusioni finali, Mulaka è un gioco con una forte identità e una buona idea alla base, ma limitato da una realizzazione tecnica appena sufficiente e un level design un po’ vecchio. Con la mole di titoli in uscita su Switch, mi risulta difficile consigliarlo spassionatamente, ma se il tema e il genere vi interessano, fateci un pensiero, ricordandovi di tarare correttamente le aspettative.

Ho giocato a Mulaka grazie a un codice gentilmente fornito dallo sviluppatore, principalmente in modalità portatile su Switch. Non ci sono differenze di performance tra questa e la modalità docked, ma vi segnalo che in entrambe le modalità, le scritte, soprattutto dei menu, sono borderline illeggibili. Per fortuna sono poche! E occhio che il comando di save si trova nelle opzioni.